DADAismo by Beni Culturali - Illustrated by Virginia Carucci - Ourboox.com
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DADAismo

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Artwork: Virginia Carucci

  • Joined Nov 2016
  • Published Books 34

Dal “Manifesto del Dadaismo” del 1918, di Tristan Tzara:

“Per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c, firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio.
Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contradittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono nè favorevole nè contrario e non dò spiegazioni perchè detesto il buon senso.

DADA non significa nulla.

Se lo si giustifica futile e non si vuol perdere tempo per una parola che non significa nulla. Il primo pensiero che ronza in questi cervelli è di ordine batteriologico: trovare l’origine etimologica, storica, o per lo meno psicologica. Si viene a sapere dai giornali che i negri Kru chiamano la coda di una vacca sacra DADA. Il cubo e la madre di non so quale regione italiana: DADA. Il cavallo a dondolo, la balia, doppia conferma russa e romena: DADA . Alcuni giornalisti eruditi ci vedono un arte per i neonati, per latri santoni, versione attuale di Gesùcheparlaaifanciulli, è il ritorno ad un primitivismo arido e chiassoso, chiassoso e monotono. Non si può costruire tutta la sensibilità su una parola, ogni costruzione converge nella perfezione che annoia, idea stagnante di una palude dorata, prodotto umano relativo.
L’opera d’arte non deve rappresentare la bellezza che è morta. Un’opera d’arte non è mai bella per decreto legge, obiettivamente, all’unanimità. La critica è inutile, non può esistere che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun carattere di universalità. Si crede forse di aver trovato una base psichica comune a tutta l’umanità? Come si può far ordine nel caos di questa informa entità infinitamente variabile: l’uomo? Parlo sempre di me perchè non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare.

Così nacque DADA da un bisogno d’indipendenza. Quelli che dipendono da noi restano liberi. Noi non ci basiamo su nessuna teoria. Ne abbiamo abbastanza delle accademie cubiste e futuriste: laboratori di idee formali: Forse che l’arte si fa per soldi e per lisciare il pelo dei nostri cari borghesi? Le rime hanno il suono delle monete. Il ritmo segue e il ritmo della pancia vista di profilo.
Tutti i gruppi di artisti sono finiti in banca, cavalcando differenti comete. Una porta aperta ha la possibilità di crogiolarsi nel caldo dei cuscini e nel cibo. Il pittore nuovo crea un mondo i cui elementi sono i suoi stessi mezzi, un’opera sobria e precisa, senza oggetto. L’artista nuovo si ribella: non dipinge più (riproduzione simbolica e illusionistica) ma crea direttamente con la pietra, il legno, il ferro, lo stagno, macigni, organismi, locomotive che si possono voltare da tutte le parti, secondo il vento limpido della sensazione del momento.

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Qualunque opera pittorica o plastica è inutile; che almeno sia un mostro capace di spaventare gli spiriti servili, e non la decorazione sdolcinata dei refettori degli animali travestiti da uomini, illustrazioni della squallida favola dell’umanità .Un quadro è l’arte di fare incontrare due linee, parallele per constatazione geometrica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo la realtà di un mondo basato su altre condizioni e possibilità. Questo mondo non è specificato, nè definito nell’opera, appartiene alle sue innumerevoli variazioni allo spettatore.

La spontaneità dadaista.

L’arte è una cosa privata. L’artista lo fa per se stesso. L’artista, il poeta, apprezza il veleno della massa che si condensa nel caporeparto di questa industria. E’ felice quando si sente ingiuriato: una prova della sua incoerenza. Abbiamo bisogno di opere forti, dirette e imcomprese, una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. Tutti gli uomini gridano: c’è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo nè progetto alcuno, senza organizzazione: la follia indomabile, la decomposizione. Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione della famiglia è DADA; protesta a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell’azione distruttiva: DADA; presa di coscienza di tutti i mezzi repressi fin’ora dal senso pudibondo del comodo compromesso e della buona educazione: DADA ; abolizione della logica; belletto degli impotenti della creazione: DADA ; di ogni gerarchia ed equazione sociale di valori stabiliti dai servi che bazzicano tra noi: DADA ; ogni oggetto, tutti gli oggetti, i sentimenti e il buoi, le apparizioni e lo scontro inequivocabile delle linee parallele sono armi per la lotta: DADA ; abolizione della memoria: DADA ; abolizione dell’archeologia: DADA ; abolizione dei profeti: DADA ; abolizione del futuro: DADA ; fede assoluta irrefutabile inogni Dio che sia il prodotto immediato della spontaneità: DADA .”

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PICCOLA RIFLESSIONE SUL DADAISMO E CIO’ CHE NE CONSEGUE

Era il 1918, l’Europa da ben quattro anni era spaccata e dilaniata dal primo conflitto mondiale, la così definita “Grande Guerra” che di magniloquento ha solo il nome, di infimo e inumano tutto il resto. In questo contesto di profondo disagio sociale e morale certe persone decidono di reagire opponendosi alla società contemporanea che pensava di aver regalato loro un inatteso e di certo ben voluto conflitto bellico; d’altronde cosa si potrebbe chiedere di meglio della completa annientazione dei principali valori umani?
Secondo questi giovani molto altro, come il diritto a svagarsi e divertirsi attraverso sane serate ai caffè piuttosto che attendere la morte dietro le trincee. Perchè la guerra è guerra, non c’è progresso, nè positività, neanche a cercare con la lente di ingrandimento.
Ed ecco che s’innalza la voce di un giovane rumeno di 22 anni che decide di opporsi ai valori sostenuti da una società che non ha portato altro che a un conflitto mondiale, nel quale ha bruciato il fiore della sua gioventù. come poter dargli torto e definire migliori i principi dettati da una collettività che lo ha costretto a rifugiarsi in Svizzera per cercare di vivere e non, invece, tentare la sopravvivenza al fuoco delle mitraglie? Secondo me questa è la visione dell’artista nei confronti della sua contemporaneità, un individuo che cerca un modo per reagire in base alle proprie ispirazioni e attitudini.
“Così nacque Dada da un bisogno di indipendenza” del goivane Tristan Tzara, all’anagrafe Samuel Rosenstock, che rivoluziona il concetto di fare arte. Da quel momento ogni oggetto, ogni idea, ogni progetto che non abbia un fine, un’utilità è arte. In quel manifesto si conia la generale tendenza artistica dell’arte contemporanea: se un artista decide che qualche cosa è arte, automaticamente quel qualcosa lo diventa. “Dio e il mio spazzolino sono Dada” afferma Tzara.
A riprova di ciò è il ready-made di Duchamp (inventato ancor prima del dadaismo stesso) dove un oggetto comune come una ruota grazie al tocco magico dell’artista si trasforma in un’opera d’arte.

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Personalmente apprezzo l’idea alla base del dadaismo di Tzara e come egli lo esponga in una prosa fluida e provocante; la ribellione del suo concetto che risiede nel riplasmare dalle fondamenta la tradizione artistica basata sul bello e dunque sulla critica di bello e non-bello. Quello che non condivido è l’evoluzione di questo principio, la sua messa in pratica: questo sopratutto perchè, d’altronde, esso non si è purificato della componente giudicatrice, tanto è vero che oggigiorno un’artista si crea sulle critiche degli “intenditori” d’arte.
Così come l’ideale comunista può ritenersi giusto e la sua applicazione – tra l’altro parallela al dadaismo (piccola parentesi ininfluente nel discorso) – inadeguata, anche l’ideale di Tzara ha per me una sua validità e la sua applicazione, che sfocia in ultimo nell’odierana arte contemporanea, è il risultato di una sua deformazione.
Mi spiegherò meglio: Tzara intende l’arte come “cosa privata” in quanto “l’artista lo fa per se stesso” e dunque “la critica è inutile, non può esistere che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun carattere di universalità”. E torna a sottolineare “parlo sempre di me perchè non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare”. Solo in questo senso posso condividere una latrina appoggiata al contrario o un ritratto che non ritrae nessuno ma è solo una sovrapposizione di materiali informi.
Ma quando essi sono soggetti di mostre e musei, vengono giudicati per la loro “qualità” da critici, entrano nel mercato dell’arte, la faccenda, in contrasto col Manifesto del Dadaismo, non mi piace già più, percè a oggetti elevati ad opere d’arte semplicemente tramite il singolo arbitrio di un “artista” viene concessa una legittimità artistica assoluta, imosta universalmente. Purtroppo la situazione oggigiorno è questa e l'”arte” contemporanea è essenzialmente un mercato slegato da qualsiasi logica nel quale il successo non dipende dalla qualità, ma da criteri oggettivamente inspiegabili che mirano esclusivamente a fare soldi.

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SCHIZZI

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BOZZETTO n° 1 | scala 1:4

 

  1. Caravaggio, Maddalena penitente, 1594-95, olio su tela, 122,5 x 98,5 cm, Galleria Doria Pamphily, Roma.
  2. Caravaggio, S. Francesco in meditazione, 1605, olio su tela, 128 x 97 cm, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma.
  3.  Bob Dylan.
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BOZZETTO n°2 | scala 1:4,5

 

Ho aperto il giornale e l’ho sfogliato varie volte, fino a quando istintivamente mi si è delineata in mente un’idea che comprendesse alcune immagini presenti, ma che non presentassero necessariamente affinità. Le ho ritagliate ed accostate in vari modi fino a trpvare la soluzione definitiva, successivamente fotografata. In sintesi il significato che ho dato all’opera è legato all’informazione mediatica attuale, che ci ripropone delle realtà filtrate da giudizi, pregiudizi, secondi fini, in modo tale che al lettore non viene esposta uan visione oggettiva e veritiera della realtà.

Uno degli argomenti oggi tanto dibattuti e tanto oscurati è la situazione siriana della quale i media danno una lettura deviata e falsa. Ed è proprio attraverso l’uso del materiale derivante da un giornale, il media cartaceo, che faccio passare il messaggio dell’andare oltre, dell'”aprire gli occhi” e rendersi consapevoli delle inattendibilità dei mezzi di informazione.

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OPERA FINALE | scala 1:1

 

ANALISI DENOTATIVA

L’opera è un collage fotografico eseguito sul software per elaborazione digitale di immagini GIMP. Le foto presenti nel fotomotaggio sono state prelevate da Google secondo un progetto ben preciso, ovvero quello di accostarle in modo tale da ricostruire il celebre dipinto di Renoir “La colazione dei canottieri” (129×172,5 cm) realizzato tra il 1880 e il 1882 ed ora esposto alla Phillips Collection di Washington.

Il metodo di lavoro è stato il seguente: una volta scelta l’opera da imitare tramite collage fotografico, ho cercato singolarmente i vari elementi che la componevano (i personaggi, lo sfondo) sul motore di ricerca Google. Confrontando le immagini che mi venivano proposte con l’opera di Renoir ho selezionato quelle da me ritenute più appropriate e le ho aperte come livelli su un foglio elettronico di GIMP. A quel punto le ho ritagliate e posizionate in modo tale che corrispondessero approssiamtivamente al dipinto. Infine, una volta aver unito i livelli, ho utilizzato l’effetto tela che ha ricreato il pattern dell’armatura sulla superficie del fotomontaggio. Il passo successivo è stato stampare il collage creato e allegarlo al book di presentazione.

 

ANALISI CONNOTATIVA

Dopo aver eseguito i tre bozzetti la mia preferenza si è subito indirizzata verso gli ultimi due: il secondo mi piaceva particolarmente per il significato recodnito che portava e il come esse fosse esposto, il terzo invece semplicemente mi piaceva, senza se e senza ma. Come potevo fare una scelta logica tra un’opera che ha un senso e una che non ce l’ha? La risposrta mi si è subito rivelata: DADA.

Perchè ho scelto di fare come ho fatto il terzo bozzetto? Chi lo sa! Semplicemente mi è saltato in mente una cosa del genere (probabilmente influenzata da L.H.O.O.Q. di Duchamp e dalla tecnica del fotomontaggio) e altrettanto semplicemente, senza approfondire troppo l’idea, l’ho eseguita, trasportandola dal piano mentaler a quella reale. Ho deciso così di premiare la casuale “spontaneità dadaista” professata dall’artista Tristan Tzara nel suo Manifesto del Dadaismo del 1918.

Come colmare dunque lo spazio dedicato all’analisi connotativa? Riempendola di significati costruiti ad hoc per colmare il vuotot lasciato dalla casualità, forse? Ma così si perderebbe la forza del dadaismo stesso, della creazione di una realtà dove l’opera d’arte esiste per se stessa e non deve giustificare nulla. L’unica cosa dunque che posso dire di aver scelto “razionalmente” è la tecnica usata, perchè “l’artista nuovo si ribella: non dipinge più (riproduzione simbolica e illusionistica)”: è così che mi sono votata al fotomontaggio.

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P. A. Renoir, La colazione dei canottieri, 1880-1882, olio su tela, 129×172,5 cm, Phillips Collection, Washington.

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RELAZIONE

Il tema fornitomi per l’esecuzione progettuale è inerente all’arte dadaista degli inizi del ‘900 e dunque legato a caratteristiche quali la casualità e la totale libertà creativa. La richiesta è quella di delineare “un proprio progetto ispirato alle tematiche del Dadaismo” che possa in ultimo provare la capacità interpretativa ed espressiva e le competenze tecnico_artistiche della sottoscritta.
Una volta ricevuto l’iter mi sono dedicata agli schizzi e all’anotazione di possibile idee da elaborare sotto forma di tre bozzetti in scala. Compiuta la selezione degli operati li ho sviluppati e segnato il rapporto in scala. Tra questi a sua volta ho scelto l’opera definitiva della quale ho scritto l’analisi denotativa e connotativa.

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