Un secolo di follia by Caterina  - Ourboox.com
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Un secolo di follia

  • Joined Nov 2017
  • Published Books 20
PARTE I Capitolo I "Stultifera Navis" E’ a partire dalla scomparsa della lebbra in Europa che, anche se ancora a livello inconscio, l’esperienza dell’isolamento della follia e dell’internamento cominciano a farsi strada nella mentalità medioevale, fino all’esplosione che avranno nell’Età Classica. Gli ospedali e gli edifici sanitari che erano destinati ad ospitare i malati di lebbra si riveleranno allora i luoghi più adatti per quell’esperienza correzionaria di isolamento e prigionia che contraddistinguerà la follia nel XVII secolo.

PARTE I

Capitolo I

“Stultifera Navis”

E’ a partire dalla scomparsa della lebbra in Europa che, anche se ancora a livello inconscio, l’esperienza dell’isolamento della follia e dell’internamento cominciano a farsi strada nella mentalità medioevale, fino all’esplosione che avranno nell’Età Classica. Gli ospedali e gli edifici sanitari che erano destinati ad ospitare i malati di lebbra si riveleranno allora i luoghi più adatti per quell’esperienza correzionaria di isolamento e prigionia che contraddistinguerà la follia nel XVII secolo.

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Ma nel Medioevo la concezione di follia era ancora inserita nell’antica contrapposizione Bene/Male come parte inscindibile dell’umana tragicità, e sebbene già sulla via dell’alienazione e della punizione, il folle era largamente ammesso nella società come parte costitutiva di essa. L’isolamento non gli precludeva un ruolo sociale e simbolico che l’arte e la cultura dell’epoca non mancheranno di concedergli, e la sua fascinazione sulla filosofia e sulla religione era ancora molto influente. Ancor più che uomo in carne ed ossa, nel Medioevo il folle è un personaggio, oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, stereotipo dell’insensatezza della condizione umana e ricettacolo delle paure dei propri contemporanei.

Il campo in cui più la figura del folle ebbe successo fu sicuramente la pittura. “Sotto la superficie dell’immagine s’insinuavano tanti significati diversi a tal punto che essa non presentava più che un volto enigmatico. Ed il suo potere non era più di insegnamento ma di fascinazione“. La definizione presente nel libro mostra in modo evidente il tipo di rappresentazione della follia che andava diffondendosi nei primi secoli dell’anno mille, e che saranno poi definitivamente codificati da geni visionari come Durer, Brueghel e Bosch. Proprio quest’ultimo è l’autore di un quadro fondamentale, la “Nave dei Folli”, attorno a cui Foucault fa ruotare la propria interpretazione dell’esperienza medioevale della follia, analizzandone i significati impliciti. Nel dipinto di Bosch il folle è in tutto e per tutto stereotipo della sregolatezza e dell’insensatezza della condizione umana, reso protagonista di un viaggio insulso alla volta del nulla, o forse del sapere universale. La navigazione è al contempo simbolo dell’isolamento e della purificazione, preludio dell’internamento e rito misterioso che si riconduce ad antiche magie e cabale che nel Medioevo affiancavano costantemente l’immagine del folle.

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l fianco del viaggio verso l’ignoto, nella rappresentazione della follia di Bosch troviamo anche la tendenza a raffigurare animali fantastici ed il più delle volte mostruosi, uomini dai visi deformi e dagli arti mutilati, ed una serie di altre visioni sconcertanti in cui sono sfogate le paure inconsce della società sua contemporanea. Le figure fantastiche diventano allegoria delle incertezze dell’uomo, dell’incapacità di rispondere alle domande della vita, anche se a volte sono semplicemente sfruttate per la satira sociale o per l’esaltazione del mondo alla rovescia carnevalesco. Emblematici di questo sono anche alcuni quadri di Brueghel ed il sinistro libro di Brandt, il Narrenschiff, odissea dantesca della follia a bordo di una nave carica di tipi umani e personaggi simbolici.

Ma il folle è visto anche come il possessore di un sapere oscuro e proibito, capace di vedere realtà superiori che nascondono segreti misteriosi o rivelazioni religiose. Spesso è associato alla figura del mago e del sapiente, e non a caso è proprio la filosofia che tende a sconfinare nella follia durante il Medioevo; il primo canto del poema di Brandt è consacrato ai libri ed ai sapienti, e nell’incisione che appariva sulla copertina della prima edizione troneggia al centro della cattedra di libri il Maestro che porta dietro il suo berretto di dottore il cappuccio dei pazzi tutto cucito di sonagli. Anche Erasmo dedica molto spazio ai filosofi ed ai teologi nella sua ronda dei folli, come d’altra parte l’infinito di Cusano, che è la saggezza di Dio, non si distacca molto nella sua definizione dall’abisso della follia: “Nessuna espressione verbale può esprimerla, nessun atto di comprensione farla comprendere, nessuna misura misurarla, nessun compimento darle un compimento, nessun limite limitarla, nessuna proporzione proporzionarla, nessun paragone paragonarla, nessun simbolo simboleggiarla, nessuna forma darle forma…“. Anche la teologia si trova quindi implicata nel paradosso della follia; la ragione umana al confronto di quella di Dio non è che follia.

La complementarità della follia con la ragione si ritrova nella distinzione che veniva fatta, a partire da Erasmo, di due tipi di follia: da una parte una “folle follia”, che rifiuta la follia caratteristica della ragione e rifiutandola la raddoppia, cadendo nella più semplice, chiusa ed immediata delle follie; d’altra parte una “saggia follia” che accoglie la follia della ragione, la ascolta e la lascia penetrare nei propri pensieri: ma così facendo si difende dalla follia più di quanto possa fare l’ostinazione di un rifiuto sempre sconfitto in partenza.

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Gli Argonauti
Gli Argonauti furono un gruppo di cinquantadue famosi eroi greci che, sotto la guida di Giasone, diedero vita ad una delle più note e affascinanti narrazioni della mitologia greca: l’avventuroso viaggio a bordo della nave Argo che li condusse nelle ostili terre della Colchide, alla conquista del Vello d’Oro.
Giasone era figlio di Alcimeda e di Esone, re di Iolco. Ancora piccolo venne affidato al saggio centauro Chirone per fuggire dalle persecuzioni dello zio Pelia determinato a usurpare il trono al fratello. Divenuto adulto Giasone si recò dallo zio per rivendicare il trono che gli spettava di diritto, ma questo richiese in cambio il magico Vello d’Oro. Allora Giasone, ambizioso e determinato, radunò i più famosi eroi greci e partì alla conquista del magico manto, ma solo dopo numerose avventure la spedizione riuscì a raggiungere la terra di Colchide. Re Eeta decise di condegnare il Vello d’Oro all’uomo unicamente se egli fosse riuscito a superare due impossibili prove: dapprima avrebbe dovuto aggiogare all’aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti e in seguito avrebbe dovuto tracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago. Medea, figlia di Eeta ed esperta conoscitrice delle arti magiche, aiutò Giasone, di cui si innamorò per opera di Afrodite, nel compimento delle fatiche. Nonostante il superamento delle prove Eeta si rifiutò di cedere il Vello, allora Giasone, senpre con l’aiuto di Medea, addormentò il drago messo a guardia del Vello e impadronitosene ripartì in direzione di Iolco. Pelia, incredulo, ci rifiutò di cedere il trono. Con uno stratagemma Giasone uccise lo zio e prese il posto che gli spettava di diritto.
Il Vello d’Oro
Il Vello d’Oro era il manto di un ariete d’oro capace di volare, che Ermes donò a Nefele e che fu, in seguito, rubato da Giasone e gli Argonauti con l’aiuto di Medea.
Nefele, dea delle nubi, fu ripudiata dal marito Atamante, re beota, che sposò in seguito Ino. Ino odiava Elle e Frisso, i figli che Atamante aveva avuto da Nefele, e cercò di ucciderli per permettere al proprio figlio di salire al trono. Venuta a conoscenza dei piani di Ino, Nefele chiese dunque aiuto ad Ermes, che le inviò un ariete dal vello d’oro. Crisomallo, questo il nome dell’animale, caricò in groppa i due e li trasportò, volando, in Colchide. Elle cadde in mare durante il volo ed annegò. Frisso invece arrivò a destinazione, dove venne accolto da Eete. Il ragazzo sacrificò l’animale agli dei, donando il Vello, rimasto intatto, a Eete, che lo nascose in un bosco, ponendovi un drago di guardia.
La nave Argo
Argo era la mitica nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del Vello d’Oro.
Essa venne costruita dal carpentiere Argo di Tespi e il suo equipaggio era protetto dalla dea Era.
Alcune versioni del mito raccontano che Argo fosse stata progettata e costruita con l’aiuto della dea Atena, secondo altre invece la prua della nave pareva contenere un frammento di legno magico, in grado di parlare e fornire profezie, proveniente dalla foresta di Dodona.
Dopo il riuscito viaggio, Argo venne consacrata a Posidone, quindi trasportata in cielo e trasformata nella costellazione Argo Navis.
Gli autori antichi furono divisi sulle origini del nome dato alla nave. Alcuni lo attribuirono al suo costruttore, Argo figlio di Phrixus; altri alla parola greca αργός, “rapida”, trattandosi di una nave leggera; quindi alla città di Argos, dove si suppone venne costruita.
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