Jane Eyre by Angela Storace - Ourboox.com
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

Jane Eyre

  • Joined Jan 2023
  • Published Books 2

In quel giorno era impossibile passeggiare. La mattina avevamo errato per un’ora nel boschetto spogliato di
foglie, ma dopo pranzo (quando non vi erano invitati, la
signora Reed desinava presto), il vento gelato d’inverno
aveva portato seco nubi così scure e una pioggia così
penetrante, che non si poteva pensare a nessuna escursione.
Ne ero contenta. Non mi sono mai piaciute le lunghe
passeggiate, sopra tutto col freddo, ed era cosa penosa
per me di tornar di notte con le mani e i piedi gelati, col
cuore amareggiato dalle sgridate di Bessie, la bambinaia, e con lo spirito abbattuto dalla coscienza della mia
inferiorità fisica di fronte a Eliza, a John e a Georgiana
Reed.

2

Eliza, John e Georgiana erano aggruppati in salotto
attorno alla loro mamma; questa, sdraiata sul sofà ac
canto al fuoco e circondata dai suoi bambini, che in quel
momento non questionavano fra loro né piangevano, pa
reva perfettamente felice. Ella mi aveva proibito di unir
mi al loro gruppo, dicendo che deplorava la necessità in cui trovavasi di tenermi così lontana, ma che fino al mo
mento in cui Bessie non guarentirebbe che mi studiavo
di acquistare un carattere più socievole e più infantile,
maniere più cortesi e qualcosa di più radioso, di più
aperto, di più sincero, non poteva concedermi gli stessi
privilegi che ai bambini allegri e soddisfatti.
— Che cosa vi ha detto Bessie di nuovo sul conto
mio? — domandai.

3

— Jane, non mi piace di essere interrogata. Sta male,
del resto, che una bimba tratti così i suoi superiori. Se
detevi in qualche posto e state buona fino a quando non
saprete parlare ragionevolmente.
Una piccola sala da pranzo metteva nel salotto, andai
in quella pian piano.
Vi era una biblioteca e io m’impossessai di un libro,
cercando che fosse ornato d’incisioni.
Mi collocai allora nel vano di una finestra, sedendomi
sui piedi come i turchi, e tirando la tenda di damasco
rosso, mi trovai rinchiusa in un doppio ritiro.
Le larghe pieghe della cortina scarlatta mi nasconde
vano tutto ciò che era alla mia destra: alla mia sinistra
una invetriata mi proteggeva, ma non mi separava da
una triste giornata di novembre.

4

Di tanto in tanto, sfogliando il libro, gettavo
un’occhiata al difuori e studiavo l’aspetto di quella serata
d’inverno; in lontananza si scorgeva una pallida striscia
di nebbia con nuvole, più vicino alberi bagnati, piante
sradicate dal temporale e, infine, una pioggia incessante,

che lunghe e lamentevoli ventate respingevano sibilan
do.
Tornavo allora al mio libro; era La storia degli uccelli
dell’Inghilterra, scritta da Berwich. In generale non mi
occupavo del testo, nondimeno c’erano delle pagine
d’introduzione che non potevo lasciar passare inosserva
te, malgrado la mia gioventù.
Esse parlavano di quei rifugi degli uccelli marini, di
quei promontori, di quelle rocce deserte abitate da essi
soli, di quelle coste della Norvegia sparse d’isole dalla
più meridionale punta al capo più nordico, là dove

5

“l’Oceano Polare mugge in vasti turbini attorno all’isola
arida e malinconica di Tule, là ove il mare Atlantico si
precipita in mezzo alle Ebridi tempestose.”
Non potevo neppure saltare la descrizione di quei pal
lidi paesaggi della Siberia, dello Spitzberg, della Nuova-
Zembla, dell’Islanda, della verde Finlandia!
Ero assorta nel pensiero di quella solitudine della
zona artica, di quelle immense regioni abbandonate, di
quei serbatoi di ghiaccio, ove i campi di neve accumula
ti durante gli inverni di molti secoli, ammucchiano mon
tagne su montagne per circondare il polo e vi concentra
no tutti i rigori del freddo più intenso.
Mi ero formata un’idea tutta mia di quei regni pallidi
come la morte, idea vaga, come sono tutte le cose capite
per metà, che fluttuano nella testa dei bimbi; ma quella
che mi figuravo produceva in me uno strano effetto.

6

In quella introduzione il testo, accordandosi con le fi
gure, dava un significato allo scoglio isolato in mezzo a un mare di onde e di spuma, alla nave gettata su una co
sta desolata, alla fredda e fantastica luna, che, spingendo
i suoi raggi luminosi attraverso un cumulo di nubi, illu
minava appunto un’altra scena di naufragio.
Io non potrei dire quale sentimento animasse il tran
quillo e solitario cimitero, con le sue lapidi, le sue can
cellate, i due alberi e l’orizzonte limitato dal muro rotto
e la luna crescente che indicava l’ora della sera.
Le due navi, in quel mare immobili, mi parevano due
fantasmi marini.

7

Sfogliai sollecitamente la figura che rappresenta il
mortale nemico, inchiodando il fardello sulla schiena
del ladro; era per me un soggetto di terrore, come quella
creatura con le corna, seduta sullo scoglio, che spiava la
lontana turba che circondava la forca.
Ogni incisione mi narrava una storia, spesso misterio
sa per la mia intelligenza poco sviluppata e per il mio
incompleto sentimento, ma sempre interessantissima;
così interessante come i racconti che ci faceva Bessie
nelle serate invernali quando era di buon umore e quan
do, dopo aver portato la tavola da stirare nella stanza dei
bambini, ci permetteva di sedersi vicino a lei.

8

Allora, pieghettando le sciarpe di trina della signora
Reed e le cuffie da notte, ci riscaldava la fantasia con
narrazioni di amore e di avventure, tolte dai vecchi rac
conti di fate e dalle antiche ballate, o, come mi accorsi
più tardi, da Pamela e da Enrico, conte di Mareland.
Così, avendo Borwick sulle ginocchia, ero felice, felice a modo mio. Temevo soltanto una interruzione, che non tardò. La porta della stanza da pranzo fu vivamente
aperta.
— Oh! signora scontrosa, — gridò John Reed. Poi
tacque, perché gli parve che la stanza fosse deserta.
— Per bacco, dov’è? Liszy, Giorgy, — continuò egli
volgendosi alle sorelle, — dite alla mamma che la catti
va bestia è andata a correre in giardino con questa pioggia!

9

—Ho fatto bene a tirare la tenda, — pensavo fra me;
e mi auguravo sinceramente che non scoprissero il mio
nascondiglio.
John non lo avrebbe mai trovato da sè stesso: non
aveva lo sguardo pronto; ma Eliza, avendo sporto la te
sta dall’uscio, esclamò:
— Ella è certamente nel vano della finestra!
Uscii subito, perché mi sgomentavo al pensiero di es
ser condotta fuori dal mio nascondiglio da John.
— Che cosa volete? — gli domandai con timidezza
rispettosa. — Dite: Che cosa volete, signor Reed?
Mi rispose. — Voglio che veniate qui! — e collocan
dosi nella poltrona, mi fece cenno di accostarmi e di star
ritta dinanzi a lui.
John era un ragazzo di quattordici anni, io ne avevo
allora dieci solamente.

10

Era alto e forte per la sua età, ma aveva una carnagio
ne scura e malsana. I lineamenti del volto grossolani, le
membra pesanti e le estremità molto sviluppate.

Soleva mangiare avidamente, e ciò avevagli prodotta
quella tinta biliosa, quello sguardo turbato e quelle
guancie flosce.
In quel tempo avrebbe dovuto trovarsi in collegio, ma
sua madre avevalo tolto per un mese o due col pretesto
della sua delicata salute.
Il signor Miles, direttore del collegio, assicurava che
sarebbe stato benissimo se da casa gli avessero mandate
meno dolci e meno ghiottonerie, ma il cuore della madre
si era ribellato contro questa severità e aveva preferito
di accoglier l’idea più gentile che il malessere di John
dipendesse dal soverchio studio e dal dolore di esser se
parato dai suoi.

11

John non voleva molto bene né alla madre né alle so
relle.
Io poi gli ero antipatica; mi maltrattava e mi puniva,
non due o tre volte la settimana, non due o tre volte al
giorno, ma sempre; ognuno dei miei nervi aveva paura
di lui, ogni brano della mia carne e delle mie ossa fre
meva allorché egli si accostava a me.
Vi erano momenti in cui divenivo selvaggia per il ter
rore che mi ispirava, perché non sapevo a chi ricorrere
contro le sue minaccie e le sue punizioni. I servi non
avrebbero voluto prendere le mie difese per non offen
dere il loro giovine padrone, e la signora Reed su
quell’argomento era cieca e sorda, ella fingeva di non
accorgersi quando mi picchiava o m’insultava, benché
egli ciò facesse spesso in presenza di lei, ma più spesso
quando non c’era.

12

Essendo assuefatta ad ubbidire a John, mi accostai
alla seggiola sua. Egli stette tre minuti a mostrarmi la
lingua, allungandola quanto più poteva, sapevo che sta
va per picchiarmi e spiavo sulla sua brutta faccia il mo
mento in cui la collera avrebbegli fatto allungare la
mano.
Credo che s’accorgesse del mio pensiero, perché a un
tratto si alzò senza dir parola, e mi colpì duramente.
Barcollai e poi rimettendomi in equilibrio, mi allonta
nai di un passo o due dalla sua sedia.
— Questo è per l’impudenza con cui avete risposto
alla mamma, — mi disse, — e per esservi nascosta die
tro la tenda e per lo sguardo che avevate negli occhi
poco fa, talpa!

13

— Assuefatta com’ero agli insulti di John, non mi
venne neppur l’idea di rispondergli; ponevo ogni cura
invece nel sopportare coraggiosamente il colpo, che
avrebbe tenuto dietro all’insulto.
— Che cosa facevate dietro la tenda? — mi domandò.
— Leggevo.
— Fatemi vedere il libro.
— Mi diressi verso la finestra per prenderlo.
— Non c’è bisogno che prendiate i nostri libri; dipen
dete da noi, dice la mamma; non avete quattrini, vostro
padre non vi lasciò nulla; dovreste andare ad accattare
invece di star qui con noi, che siamo figli di signori, di
mangiare i medesimi cibi che mangiamo e di esser vestita alle spese della mamma.

14

Ora v’insegnerò a frugar nella mia biblioteca, perché
questi libri sono miei, tutto mi appartiene in casa, o mi
apparterrà fra pochi anni. Andate vicino alla porta, lon
tano dallo specchio e dalla finestra.
Ubbidii senza sapere che intenzione avesse; ma quan
do vidi che alzava il libro e far atto di gettarmelo contro,
mi tirai istintivamente da parte, mandando un grido
d’allarme. Non fui però abbastanza pronta; il volume
volò per aria e mi colpì nella testa; io caddi e battendo
nello spigolo della porta mi ferii.
La ferita sanguinava ed io provai un gran dolore: ma
il terrore era svanito per dar luogo ad altri sentimenti.
— Perfido e crudele ragazzo! — dissi, — siete simile
a un assassino, a un guardiano di schiavi, a un imperato
re romano!

15

Avevo appunto letto la storia di Roma di Goldsmith e
mi ero fatta un concetto di Nerone, di Caligola, che non
credevo di dover esporre mai a voce alta.
— Come! Come! — esclamò. — Dice a me forse?
L’avete sentita, Eliza, Georgiana? Vado a dirlo a mam
ma, ma prima….
Egli si slanciò contro di me, e mi sentii afferrare per i
capelli e per le spalle con disperato furore. Io vedevo
realmente in lui un assassino, un tiranno.
Sentii scendermi dalla testa e cadere sul collo una o
due gocce di sangue e provai un’acuta sofferenza; queste
sensazioni per un momento dominarono la paura e mi
resero furente.

16

Non so dire quello che io facessi con le mani, ma
John mi chiamava: “Talpa! Talpa!” e continuava a insul
tarmi. Egli fu subito soccorso.
Eliza e Georgiana erano corse a chiamar la mamma,
che era salita al piano superiore. La signora Reed entrò
durante quella scena, seguita da Bessie e da Abbot, la
cameriera. Ci separarono ed io sentii dire:
— Dio mio, che orrore! Percuotere il signorino John!
— Avete mai visto una rabbiosa come questa?
Allora la signora Reed soggiunse:
— Portatela nella camera rossa e chiudetevela dentro.
Quattro mani mi afferrarono e io fui trascinata su per
le scale.

17
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

Ad Remove Ads [X]
Skip to content