I PROCESSI COGNITIVI: MEMORIA, LINGUAGGIO E INTELLIGENZA by RAFIQ MOHAMMAD ROMEES - Ourboox.com
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I PROCESSI COGNITIVI: MEMORIA, LINGUAGGIO E INTELLIGENZA

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I PROCESSI COGNITIVI

Com’è possibile farsi un’idea di un oggetto, comunicarla ad altri e condividerla? In che modo diamo un significato alla realtà circostante? Quali processi psichici consentono di organizzare la nostra esperienza? Fino a che punto si spingono i nostri pensieri, seguendo le leggi della logica?

I processi cognitivi consentono di ricevere, analizzare, elaborare trasformare e immagazzinare le informazioni.Attraverso la percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero, il linguaggio e l’apprendimento, siamo in grado di rappresentare e conoscere la realtà, impariamo a rispondere agli stimoli per adattarci all’ambiente e a orientare le nostre azioni in vista di scopi determinati.

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LA MEMORIA

La memoria è la capacità dell’individuo di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per entrare in rapporto con la realtà presente e futura.La ricchezza di espressioni linguistiche che richiamano la funzione del ricordo evidenzia il ruolo fondamentale della memoria nella vita degli esseri umani. In sua assenza, infatti, non ci potrebbe essere alcun apprendimento o pensiero, e verrebbe pure meno quel senso di continuità attorno al quale si svolge la storia personale di ognuno di noi.In passato, per descrivere la capacità di conservare tracce delle esperienze trascorse, si ricorreva alla metafora del deposito, che raffigurava la memoria un contenitore statico, dal quale recuperare all’occorrenza le informazioni riposte al suo interno. Diversamente da quelle di ieri, le interpretazioni e i modelli descrittivi odierni evidenziano l’aspetto dinamico della memoria, mettendo in luce lo stretto legame tra i processi mnestici e le funzioni cognitive, come attenzione, percezione e apprendimento.

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HERMANN EBBINGHAUS

 

Hermann Ebbinghaus è stato uno psicologo e filosofo tedesco, precursore degli studi sperimentali sulla memoria. Ebbinghaus identificò la curva dell’apprendimento e la curva dell’oblio.

Ebbinghaus non disponeva di un laboratorio, e svolse le sue ricerche in relativa solitudine, senza alcun collegamento con le università del tempo. Nonostante questo, il suo lavoro è estremamente rigoroso. Con il suo lavoro sulla memoria, Hermann Ebbinghaus fu un precursore della psicologia sperimentale, della quale contribuì a fondare l’orientamento associanista. Nella sua ricerca sull’apprendimento usò varie tecniche poi affermatesi in quel campo. L’autore imparava

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scrupolosamente a memoria gruppi di sillabe senza senso (facendole scorrere in un dispositivo detto mnemometro), per cercare di capire come influiscono sulla memoria fattori come il numero di ripetizioni.

Nel corso delle sue ricerche, Ebbinghaus arrivò ad alcune conclusioni che sono state sostanzialmente confermate dalle ricerche successive, tra queste ricordiamo:

  1. l’effetto del superapprendimento: aumentando il numero di ripetizioni la memorizzazione cresce fino ad una certa soglia;
  2. la curva dell’oblio: la memoria dei dati appresi in una determinata sessione diminuisce con il passare delle ore e dei giorni. L’oblio è più marcato nelle prime ore e meno dopo un certo numero di ore. Le tracce, passato il primo indebolimento, diventano più tenaci;
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  1. l’apprendimento massivo e distributivo: distribuire il carico di apprendimento su più sessioni rende la memorizzazione più facile che tentare di apprendere tutto in una sola volta. Per ricordare meglio, bisogna suddividere l’apprendimento in più sedute distanziate;
  2. l’effetto seriale: la posizione delle sillabe è importante ai fini della memorizzazione. Le prime e le ultime sillabe di una lista, si ricordano più facilmente di quelle di mezzo.

 

In psicologia esistono tre modi per valutare la memoria:

  1. condotte di ricordo: si chiede alla persona di richiamare alla mente ciò che ha memorizzato in precedenza;
  2. condotte di riconoscimento: si mostra al soggetto un insieme di oggetti o fotografie e si chiede di riconoscervi
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  • 3. cose già viste in precedenza;
  • 4. condotte di riapprendimento: si impara due volte la stessa lista di sillabe in due sedute successive e a distanza di tempo. L’apprendimento della lista nella seconda seduta è naturalmente facilitato. Il risparmio di lavoro nella seconda seduta, restituisce la misura della memoria accumulata nella prima.Lo psicologo tedesco utilizzò quest’ultimo metodo. Nel 1885, grazie alle numerose ricerche sperimentali, lo scienziato tedesco formulò quella che successivamente passò alla storia come “legge di Ebbinghaus”: “tra l’ampiezza del materiale da memorizzare e il tempo di apprendimento vi è un rapporto costante”.
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MEMORIA E CERVELLO

Negli ultimi anni i progressi delle varie discipline delle neuroscienze hanno consentito una migliore comprensione dei processi della memoria. La struttura fisica dei circuiti cerebrali nel cervello umano si modifica in risposta all’attività cognitiva. I processi di memorizzazione sono dinamici e molto complessi, implicano la collaborazione di numerose aree cerebrali, che intervengono in maniera selettiva per alcuni tipi memoria.

Il nostro cervello è formato da due emisferi preposti a funzioni di pensiero diverse. L’emisfero sinistro si occupa di linguaggio, logica, ragionamento e analisi; quello destro è coinvolto invece nei processi di immaginazione, associazioni, attenzione a colori e musica. Questo dato ci è utile per integrare la conoscenza del nostro modo personale di affrontare lo studio: entrambi gli emisferi sono infatti coinvolti nel processo di apprendimento.

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L’OBLIO

L’ oblio è l’incapacità di riprodurre e ricordare i contenuti appresi e, nella tradizionale interpretazione della psicologia generale, esso è il frutto di un progressivo indebolimento dei depositi mnesici.

Nella teoria psicanalitica, invece, l’oblio è concepito come il risultato di un processo difensivo di rimozione contro l’emergere di contenuti mnemonici sgraditi; difatti, Sigmund Freud identifica l’oblio come una delle facoltà difensive della mente umana che tende a rimuovere contenuti e pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi.
L’ oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita momentanea di

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memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento.

La prima ricerca sull’oblio è stata condotta dallo studioso tedesco Ebbinghaus (1885-1923) che, usando se stesso come soggetto dell’esperimento, apprese un numero sterminato di liste di sillabe senza significato, per verificare quante ne avrebbe dimenticate col passare del tempo. Dimostrò che, quando si apprendono sillabe senza senso, l’oblio passa da una condizione molto rapida ad una molto più lenta, intuendo che la sua funzione fosse approssimativamente logaritmica.
Tuttavia, quando si passa da studi di laboratorio a studi naturalistici, la situazione che emerge è molto più ottimistica: si è trovato, ad esempio, che si dimentica ben poco del vocabolario e della grammatica di una lingua straniera e che si ricordano

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abbastanza bene facce e nomi. Appare quindi evidente che il ricordo percorre strade molto individuali.
Nella memoria umana la perdita dell’informazione che caratterizza l’oblio, può avvenire in uno qualsiasi dei diversi processi di memorizzazione: codifica, ritenzione e recupero, e diversi sono i fattori che possono determinarlo, primo fra questi il trascorrere del tempo. Molto importante è anche il ruolo dell’attenzione: se infatti non ne prestiamo abbastanza nel momento di codifica dell’informazione, sarà più difficile in seguito recuperarla.

 

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I SISTEMI DELLA MEMORIA

Gli psicologi Atkinson e Shiffrin ritengono che vi siano tre memorie: memoria sensorialememoria a breve termine (MBT) e memoria a lungo termine(MLT).

La memoria sensoriale trattiene per pochi attimi un’elevata quantità di informazioni e rende possibile la percezione della realtà. Ha caratteristiche diverse a seconda dei sensi coinvolti. La memoria sensoriale visiva, chiamata “memoria iconica”, è un tipo particolare di memoria di cui generalmente non siamo consapevoli e ci permette di ricordare cose o immagini viste anche per pochi istanti.
La memoria sensoriale uditiva, chiamata “memoria ecoica”, dura circa due secondi e ha un’importanza fondamentale nella

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comprensione del linguaggio verbale. Le parole sono costituite da un insieme di suoni e una persona non è in grado di identificare una parola prima di averne udito tutti i suoni.

La memoria a breve termine (MBT) trattiene le informazioni per un breve spazio di tempo (qualche decina di secondi), dopo di che tali informazioni scompaiono. La memoria a breve termine può contenere contemporaneamente solo poche unità di informazioni: nell’individuo adulto, circa sette, con qualche variazione a seconda delle caratteristiche del materiale da ricordare. Le informazioni presenti in essa se non vengono trasferite nella memoria a lungo termine sono destinate a scomparire. Per evitare che ciò accada esiste una tecnica, chiamata reiterazione, consistente nel ripetere più volte l’informazione, a voce o solo con il pensiero. La memoria a breve termine ha una funzione di transito per le informazioni

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provenienti dalla memoria sensoriale, prima che esse si trasformino in tracce permanenti, denominate tracce mnestiche, nella MLT.
Nella MBT avviene l’elaborazione delle informazioni mediante strategie che sono richiamate dalla MLT in tal modo la MBT agisce come memoria di servizio.

La memoria a lungo termine (MLT) può essere paragonata a un archivio, di capacità quasi illimitata, dove sono conservate tutte le esperienze e le conoscenze acquisite nel corso della vita, oltre a quelle che fanno parte del nostro patrimonio genetico, come gli istinti. La memoria a lungo termine è suddivisa in memoria esplicita, o dichiarativa, e memoria implicita, o procedurale.

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I PROCESSI DI CODIFICA

 

Il primo stadio che caratterizza il funzionamento della memoria è la codifica, essa si attiva fin dai primi attimi in cui si presenta il materiale da elaborare ed apprendere, una semplice informazione entra nel nostro sistema, viene aggiunta e registrata assieme ad una rete fitta di altre informazioni. Questa viene chiamata fase di registrazione o codifica.

Essa è molto importante in quanto se la soglia di attenzione prestata allo stimolo non è sufficiente, ecco che l’informazione può esser codificata in maniera confusa o parziale e non ne consente una fissazione. Anche lo stato psicofisico ed emotivo del soggetto come la natura dell’informazione stessa può

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influenzare tale fase. Se invece il materiale viene codificato con successo ecco che l’informazione verrà trasformata in una rappresentazione mentale idonea all’immagazzinamento.

Numerosi sono gli studi che si sono interessati allo studio di questo stadio. Conrad e altri (Conrad et al., 1964) ipotizzarono che la codifica e la registrazione nella memoria a breve termine fossero di tipo acustico-verbale. Sottoponendo ad un gruppo di soggetti una lista di lettere e richiedendo loro subito dopo di rievocare il materiale codificato visivamente, questi tendevano a confondere quelle lettere che erano acusticamente simili rispetto quelle che non lo erano. A conferma di questa evidenza sperimentale abbiamo anche la ricerca portata da Baddeley (Baddeley, 1966) il quale volendo confermare che la codifica avveniva per via acustica-verbale, presentò ad un gruppo di persone, liste di parole simili e dissimili acusticamente

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e parole simili e dissimili semanticamente. I maggiori errori di codifica vennero commessi e registrati con le parole acusticamentesimili rispetto a quelle acusticamente dissimili, mentre non si registravano differenze significative tra le parole semanticamente simili e dissimili.Dunque la codifica acustica sembra essere nuovamente rilevante e prevalere rispetto a quella semantica. In seguito autori come Craik e Lockhart (Craik e Lockhart, 1972) hanno individuato diversi tipi di codifica elaborando una teoria: la teoria dei livelli di elaborazione. Secondo gli autori esisterebbero diversi livelli di elaborazione, partendo da un’analisi superficiale o detta anche fonologica fino ad arrivare ad un’analisi profonda chiamata anche semantica. Va da sé che il livello di elaborazione semantico permette un maggiore immagazzinamento e consolidamento del materiale in quanto l’elaborazione e la codifica stessa avviene non su caratteristiche superficiali, come quelle fonologiche della parola, ma su elementi profondi legati alla traccia stessa come il suo significato.

 

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LA MEMORIA DI LAVORO

Negli ultimi decenni sono stati elaborati modelli descrittivi più complessi per delineare il funzionamento della memoria a breve termine. La working memory è un tipo di memoria a breve termine grazie alla quale vengono conservate ed elaborate le informazioni durante l’esecuzione dei compiti cognitivi.

I primi studiosi che si occuparono di memoria cercarono di spiegarla nei termini di un singolo processo unitario, esattamente come tentavano di spiegare i processi di apprendimento. Successivamente gli psicologi iniziarono a proporre modelli relativi a specifici aspetti della memoria, giungendo così a formulare teorie multiprocesso e multimodali della memoria umana che appariva, quindi, composta da vari

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sistemi interconnessi.La prima di queste teorie multiprocesso è quella proposta da Atkinson e Shiffrin (1971). Il loro modello è un tentativo di unificare le precedenti ricerche sui vari sistemi implicati nel processo di memoria. Questo modello implica che l’informazione sensoriale sia conservata, per un periodo di tempo molto breve, in un magazzino di memoria sensoriale specifico a seconda del tipo di informazione, per passare successivamente al magazzino di memoria a breve termine, dove può essere ricodificata e mantenuta grazie alla reiterazione (rehearsal). Solo successivamente, una parte delle informazioni rielaborate dalla memoria a breve termine raggiunge la memoria a lungo termine, dove può permanere più a lungo. Secondo quest’approccio, vi è una relazione diretta tra la quantità di reiterazione che avviene nel magazzino a breve termine e la probabilità che le informazioni siano trasferite alla memoria a lungo termine.

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Secondo la teoria di Atkinson e Shiffrin il magazzino di memoria a breve termine e quello a lungo termine differiscono sostanzialmente per due aspetti:

la capacità estremamente limitata del primo rispetto al secondo;

la fragilità dell’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a breve termine.

Questa teoria modulare, sebbene di fondamentale importanza dal punto di vista storico, è un po’ semplicistica. I suoi punti deboli sono sostanzialmente quattro:

ipotizzare un magazzino di memoria a breve termine unitario.

Il modello proposto da Baddeley e Hitch (1974) sostituisce il concetto di memoria a breve termine con quello di “working memory”. La working memory è “un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi, come la comprensione, l’apprendimento e il ragionamento” (Baddeley, 1986, p 46).

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Tale sistema sarebbe, secondo gli autori, costituito da:

un sistema di elaborazione centrale modalità-dipendente, il cui compito è, similmente all’attenzione, quello integrare tra loro le varie informazioni (esecutivo centrale);

un circuito articolatorio che conserva l’informazione in forma verbale (loop articolatorio);

un taccuino visuo-spaziale che codifica le informazioni spaziali e visive (sketch pad);

Questo modello ha numerosi vantaggi rispetto al precedente:

offre una spiegazione dei difetti solo parziali della memoria a breve termine;

si occupa sia dell’immagazzinamento attivo (compiti di memoria classici) sia di quello provvisorio (implicato per esempio nella comprensione della lettura);

la reiterazione perde il suo carattere fondamentale e diviene un processo facoltativo che si verifica all’interno del loop

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articolatorio.

Nel 1986 Baddeley propone une versione revisionata della sua stessa teoria, spiegando più approfonditamente il ruolo giocato dalle tre sottocomponenti della working memory.

Il loop articolatorio o ciclo fonologico è probabilmente la componente del sistema che lo stesso Baddeley spiega meglio. Esso è composto di due sottocomponenti; un magazzino fonologico che ha il compito di mantenere l’informazione linguistica e un processo di controllo articolatorio basato sul linguaggio interno. Le tracce delle informazioni che sono contenute nel magazzino fonologico decadono in tempi piuttosto brevi, circa due secondi; a quel punto non possono più essere recuperate; tuttavia, è possibile mantenere viva la traccia mnestica attraverso il ripasso subvocale. L’esistenza di questo sistema e delle sue sottocomponenti è confermata da alcuni dati sperimentali:

l’effetto similarità fonologica: la rievocazione seriale è compromessa quando gli elementi da rievocare sono tra loro simili per

 

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suono o caratteristiche di rievocazione;

l’effetto dell’informazione a cui non si presta attenzione: il materiale ignorato, durante la fase di apprendimento, può aver accesso al magazzino fonologico interferendo con il successivo compito di rievocazione;

l’effetto lunghezza della parola: i soggetti incontrano difficoltà maggiori nella rievocazione di parole lunghe. Questo fenomeno sembra dovuto al fatto che la ripetizione subvocalica coinvolge meccanismi motori che operano in tempo reale. In altre parole, maggiore è la lunghezza dello stimolo più tempo sarà necessario per pronunciarlo, sebbene si tratti di una pronuncia subvocalica;la soppressione articolatoria: se viene richiesta al soggetto l’articolazione esplicita di uno stimolo irrilevante (ad esempio la ripetizione continua di una sillaba) le operazioni del ciclo fonologico vengono disturbate e viene soppresso il ripasso subvocale.

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Il ciclo fonologico sembra essere d’importanza decisiva nell’apprendimento della lettura e nella comprensione del linguaggio scritto.Il taccuino visuo-spaziale è il secondo sistema previsto dal modello di Baddeley. Esso è responsabile dell’elaborazione e dell’immagazzinamento delle informazioni visive e spaziali. Questo sistema è in parte analogo al sistema fonologico e sembra implicato nell’orientamento geografico e nella pianificazione dei compiti spaziali.

La terza componente della working memory è l’esecutivo centrale. Si tratta di un sistema di controllo più simile ai sistemi attenzionali che a quelli di memoria.Questo sistema potrebbe assomigliare grossomodo al SAS (sistema attivante superiore) proposto da Norman e Shallice (1986).Il modello di Norman e Shallice assume che le azioni in corso possano essere controllate in due modi differenti. Il primo modo interviene nel caso di attività consolidate in cui l’apprendimento permette che l’attività si svolga in modo automatico. Due attività automatiche possono essere svolte contemporaneamente senza che ci sia eccessiva interferenza, quando, però, le attività entrano in conflitto è necessario decidere a quale delle due dare priorità. Questa decisione

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è presa sulla base di un catalogo delle decisioni che definisce le regole relative all’importanza delle varie attività. La seconda componente per controllare le azioni, definita Sistema Attivante Superiore, è in grado di interrompere volontariamente una delle attività. Questo meccanismo di controllo superiore è coinvolto nell’attività decisionale e consente una risposta flessibile alle situazioni nuove.

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I PROCESSI DI MEMORIA

Le informazioni possono essere elaborate su tre livelli differenti: a livello strutturale, cioè relativo alla forma di una parola; a livello fonemico, cioè relativo al suono; e al livello semantico, cioè relativo al significato. L’interazione tra codifica delle informazioni nella MLT e informazioni presenti al recupero è stata messa a fuoco dallo psicologo Endel Tulving (1927) nella teoria della specificità della codifica, secondo la quale il recupero delle informazioni nella MLT può essere favorito dal ricorso a particolari “suggerimenti”, che forniscono l’informazione elaborata in fase di codifica.

Alle ricerche di Tulving si deve inoltre la destinazione, all’interno della memoria a lungo termine, tra due tipi di conoscenze, una relativa al “sapere come” eseguire azioni (memoria implicita

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o procedurale), l’altra riferita al “sapere che” determinati episodi ed esperienze fanno parte della storia di un individuo (memoria esplicita o dichiarativa).

Nella memoria procedurale rientrano anche le esecuzioni che richiedono abilità, come il saper guidare o andare in bicicletta, ossia tutte quelle operazioni che vengono svolte spesso in modo automatico e inconsapevole. Alla memoria dichiarativa sono invece riconducibili le conoscenze generali (memoria semantica) e le esperienze personali (memoria episodica).

La memoria semantica ha a che fare con la conoscenza concettuale. La memoria episodica si riferisce invece agli eventi specifici che segnano il corso della vita di ogni persona.

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LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA

LA MEMORIA

La memoria è una di quelle capacità naturali che tendiamo a dare per scontate e di cui ci accorgiamo solo quando non funzionano bene. Ogni momento del nostro tempo è fatto di continui ricorsi alla memoria.

È la struttura psichica che organizza l’aspetto temporale del comportamento, che determina un legame tra eventi attuali e passati. Lo studio sperimentale della memoria si concentra sul come si formano e si organizzano le tracce.

Nella sua definizione più ampia, la memoria è il deposito mentale di tutte le informazioni acquisite da un individuo e, al tempo stesso, è l’insieme dei processi che consentono all’individuo di

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recuperare e utilizzare tali informazioni quando sia necessario (Gray). La funzione in cui si esprime la memoria è il ricordo, la cui estinzione o scomparsa determina l’oblio. Quando si parla di memoria ci si riferisce ad un complesso di sistemi interconnessi che consentono il mantenimento delle informazioni nel tempo. Questi sistemi sono caratterizzati da tre processi fondamentali:

  • Fase di Acquisizione dello stimolo e la sua Codificazione, cioè la traduzione dello stimolo in una rappresentazione interna registrabile in memoria.
  • Fase di Ritenzione e Immagazzinamento, cioè la stabilizzazione dell’informazione in memoria e la ritenzione per un determinato lasso di tempo.
  • Fase di Recupero (rievocazione o riattivazione o attualizzazione), cioè il far riemergere l’informazione archiviata al livello della consapevolezza. Nel corso degli vince dall’aggettivo
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  • studi sulla memoria ci si è resi conto che la capacità mnestica non è costante nel corso della vita, ma presenta delle fasi ben precise.

La prima fase (che riguarda il primo anno di vita) concerne la memoria motoria. La capacità di memorizzare del lattante, piuttosto limitata, è legata alla sua attività motoria e si sviluppa attraverso l’imitazione.1

Come la percezione si sviluppa trasformandosi da sincretica (globale e mal definita) in analitica (capacità di discernere e separare), così anche la memoria si organizza a partire dalle cose più vicine al bambino (mamma, biberon,) separandole gradualmente. La memorizzazione sembra limitarsi a ciò che si percepisce nel presente immediato.1

La seconda fase (secondo e terzo anno di vita) riguarda la memoria iconica. La traccia mestica, così come si e

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iconica, è costituita da un’immagine mentale. Il processo di imitazione ora non è più solo immediato, ma anche differito (persiste quando il modello esce dal campo).

La terza fase (quarto e quinto anno di vita) è quella della memoria semantica o linguistica; la traccia mestica è formata da un concetto di tipo verbale.

Quindi la capacità mestica migliora con l’età, anche per la maggiore facilità d’uso delle strategie mestiche che riguardano la possibilità di adoperare volontariamente l’organizzazione come mezzo per migliorare il ricordo.

La memoria non è un elemento passivo, ma è costantemente al lavoro nel guidare i nostri pensieri e le nostre azioni. Il fatto che la memorizzazione sia sempre all’opera non significa però che essa registri integralmente e in modo recuperabile tutte le nostre percezioni, sensazioni o esperienze; anzi è vero il contrario, ossia viene esercitata una continua selezione attentiva.

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L’AMNESIA

Negli ultimi anni l’interesse verso lo studio della memoria ha permesso di porre l’attenzione non solo sull’aspetto teorico di tale processo cognitivo, ma è aumentato anche l’interesse sull’aspetto pratico, grazie all’osservazione di numerosi casi di pazienti affetti da disturbi della memoria. La ricerca e le neuroscienze con le loro tecniche di neurogaming hanno permesso di studiare da vicino i disturbi della memoria sia a lungo termine che a breve termine, permettendo di trovare anche dei correlati neurali a tali disturbi.

La forma più grave che riconosciamo di disturbo della memoria a lungo termine è l’amnesia. La sindrome amnesica o anche chiamata amnesia globale prevede una compromissione della regione anatomica conosciuta con il nome di circuito di Papez. All’nterno di questo circuito troviamo diverse aree che svolgerebbero un ruolo fondamentale nei processi della memoria

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come: l’ippocampo, il talamo, il giro del cingolo e altre formazioni. In particolar modo quando si parla di amnesia, la lesione è nella maggior parte dei casi clinici di natura bilaterale con compromissione delle strutture corticali medio temporali e sottocorticali diencefaliche (Pizzamiglio e Denes, 1996). Non si escludono casi di amnesia anche a seguito di lesioni unilaterali seppur rare con deficit di memoria di minore entità. Secondo l’autore Moscovitch e collaboratori (Moscovitch et al., 2007) dunque è bene fare una distinzione tra amnesia globale e parziale, nel primo caso il disordine prevede una dissociazione e compromissione totale sia della MBT sia della MLT e per ogni tipo o genere di stimolo; mentre nel secondo sia la dissociazione sia il deficit sarebbe di natura specifica-selettiva. Comunque, non è da escludere, che la sindrome amnesica possa essere il risultato di lesioni anche diffuse, dunque non circoscritte esclusivamente al circuito di Papez. Questo trova fondamento, anche dal fatto che, la stessa eziologia di tale disturbo può essere variabile, quindi le cause possono essere molteplici e di diversa natura.

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PENSIERO E LINGUAGGIO

Una delle particolarità della nostra specie è la capacità di formulare pensieri complessi e comunicarli. Il mezzo principale attraverso il quale comunichiamo i pensieri è il linguaggio. Esso è universale: ogni società umana ha un linguaggio e ciascun essere umano normale impara la sua lingua nativa e la usa senza sforzi.

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IL PENSIERO 

Il pensiero è la facoltà di conoscere e comprendere gli aspetti generali e universali delle cose, senza dipendere immediatamente, e di volta in volta, dalle singole cose e dagli aspetti isolati con cui esse ci appaiono. Si tratta cioè della capacità di cogliere il reale per “astrazione”. Ad es. con la parola “mela” possono essere comprese e identificate tutte le mele del mondo, anche se ogni mela può essere diversa dall’altra. Inoltre col concetto di “mela” s’intende un vasto complesso di elementi strettamente integrati: forma, colore, volume, peso, ecc.

Il pensiero è presente in ogni fenomeno cosciente: è l’attività che percepisce, elabora ricordi, coordina immagini, astrae, compara, giudica, ragiona. Abbiamo un pensiero percettivo che ci mette in contatto con gli avvenimenti che accadono in noi e nel mondo esterno; un pensiero immaginativo che ci rappresenta i dati percepiti o evocati dal passato; un pensiero associativo

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IL LINGUAGGIO

Il linguaggio è la capacità cognitiva che più caratterizza la specie umana. Esso permette sia la funzione comunicativa, con la quale l’individuo ha la possibilità di favorire la trasmissione di informazioni e l’interazione sociale sia quella conoscitiva, poiché il linguaggio permette di descrivere gli eventi attraverso i concetti.

Il linguaggio possiede inoltre diverse proprietà funzionali tra cui: una proprietà espressiva,evocativa,rappresentativa e intraindividuale. Tra i principali modelli teorici che si sono occupati del linguaggio ricordiamo: Teorie del rinforzo, Teorie innatiste, Teorie innatiste,Teorie interazioniste. Molti autori si sono occupati dello sviluppo del linguaggio, uno dei più noti è Chomsky. Quest’ultimo avviò gli studi sulla psicolinguistica: la scienza che studia le regole che governano la produzione del

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linguaggio, le conoscenze che il parlante-ascoltatore deve possedere per poter usare correttamente la propria lingua ed essere in grado di poter produrre ed usare frasi all’infinito. Chomsky parla di linguistica generativa cioè sottolinea l’uso creativo del linguaggio tramite l’acquisizione delle regole della lingua madre. Secondo Chomsky vi è una predisposizione innata, genetica ad acquisire e ad apprendere qualsiasi lingua. Il bambino apprende le regole grammaticali della lingua particolare a cui è esposto vivendo in un dato ambiente.
Secondo Piaget è impossibile isolare il linguaggio dal contesto generale di sviluppo. E’ nei primi 18 mesi di vita, infatti, che i bambini imparano a esplorare il mondo attraverso azioni quali toccare, annusare, afferrare o portare alla bocca gli oggetti. Secondo Piaget è attraverso questa esplorazione che i bambini imparano a conoscere il mondo, il

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comportamento delle persone e l’esistenza degli oggetti. Il linguaggio appare solo dopo che questo fase (detta stadio senso-motorio) sta per completarsi permettendo di oltrepassare simbolicamente il tempo e lo spazio. Il linguaggio, è solo un aspetto limitato del processo di rappresentazione simbolica; contemporaneamente allo sviluppo del linguaggio i bambini imparano a disegnare, a correre, a giocare e ad imitare azioni più o meno complesse dagli adulti. Piaget inoltre sostiene che negli stadi successivi è solo l’intelligenza che permettere lo sviluppo del linguaggio e non altri fattori. Viene quindi rifiutata sia l’ipotesi di Skinner (condizionamento), sia quella di Chomsky (abilità innata) sottolineando invece la centralità dello sviluppo cognitivo. Un altro aspetto importante è quello che Piaget chiama egocentrismo infantile (stadio pre-operatorio, che solo più tardi diventerà referenziale) ossia la tendenza ad essere “incentrato sull’io”. Il bambino guarda le cose unicamente dalla sua prospettiva non rendendosi conto che esistono molteplici punti di vista. Questo dato è evidente soprattutto nel linguaggio o comunque nella conversazione ove il bambino non tiene conto dell’interlocutore, come se l’altro conoscesse il suo stesso pensiero.

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L’INTELLIGENZA

Con il termine intelligenza, in senso psicologico generale, si intende quel processo mentale che permette di acquisire nuove idee e capacità che consentono di elaborare concetti e i dati dell’esperienza per risolvere in modo efficace diversi tipi di problemi. Tuttavia, il concetto è molto ampio, sicché non esiste una definizione univoca e accettata universalmente; ogni spiegazione risente sempre dell’orientamento di pensiero di chi la formula.

 

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Secondo Ch. Spearman l’intelligenza è una capacità mentale generale, cioè un fattore di base comune a tutte le attività intellettuali, che egli chiamò fattore g. L.L. Thurstone e Guilford criticarono però la posizione di Spearman sostenendo l’esistenza di molteplici fattori di abilità mentale tra loro indipendenti (7 per Thurstone, non meno di 120 per Guilford). R. Sternberg ha cercato di sintetizzare queste diverse posizioni sostenendo che il numero dei fattori cambia con il crescere dell’età: si passa infatti da un’abilità intellettuale generale a vari gruppi di abilità. Di conseguenza, le teorie che si basano su un numero inferiore di fattori rappresentano meglio l’intelligenza dei bambini, mentre quelle che si basano su molti fattori sono più adeguate per gli adolescenti e per gli adulti. Più recentemente H. Gardner ha elaborato la teoria delle intelligenze multiple, secondo la quale non esisterebbe un’unica forma generale di intelligenza, ma distinti tipi di competenze (linguistica, musicale, spaziale, logico-matematica ecc.) ciascuna competente per l’elaborazione di uno specifico ambito di informazioni.

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La Gestalt, proseguendo questa linea di indagine, considerò il comportamento intelligente come una forma di adattamento all’ambiente, diverso però dal comportamento istintivo e da quello per prove ed errori. In un comportamento intelligente, infatti, lo scopo non viene raggiunto per caso, ma dopo aver compreso la globalità della situazione, cioè dopo aver collegato consapevolmente i mezzi e i fini. I francesi A. Binet e J. Simon elaborarono un primo test di intelligenza che avrebbe dovuto predire la prestazione scolastica di un bambino attraverso una serie di prove riguardanti la conoscenza, il pensiero, il ragionamento e il giudizio.L.W. Stern introdusse poi il concetto di quoziente d’intelligenza, o QI, dato dal rapporto tra l’età mentale di un bambino e la sua età cronologica moltiplicato per 100. L’utilità pratica che può avere un punteggio ottenuto in un test di intelligenza dipende soprattutto dalla sua stabilità nel tempo. Attraverso una serie di studi si è visto che il QI rimane relativamente stabile nel corso della vita (pur con qualche piccola oscillazione), iniziando a declinare con l’età solamente dopo gli 80 anni.

53

L’intelligenza è stata considerata per molto tempo una capacità innata, dipendente dal patrimonio genetico ereditato dai genitori. Attualmente, grazie soprattutto agli studi di J. Piaget sullo sviluppo dell’intelligenza nel bambino, si ritiene che a innalzare o ad abbassare il rendimento intellettuale del bambino contribuiscano sia i fattori genetici, sia i fattori ambientali.

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I PROCESSI COGNITIVI: MEMORIA, LINGUAGGIO E INTELLIGENZA by RAFIQ MOHAMMAD ROMEES - Ourboox.com

VERIFICA

         ___LE CONOSCENZE___

Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.                                                                                           

  V         F

|Immagini della memoria

a. La memoria è la capacità, a breve o a lungo termine, di elaborare, conservare e recuperare informazioni.

b. In passato, per descrivere la capacità di conservare

tracce delle esperienze trascorse, si ricorreva

alla metafora del deposito

c. Sigmund Freud formulò una legge che prese

il suo nome in cui si afferma l’esistenza di un

rapporto tra tempo dedicato all’apprendimento e

contenuti da memorizzazione

d. Le informazioni possono essere elaborate

su tre livelli differenti: livello strutturale, livello

fonemico e livello semantico.

e. Lo psicologo Alan Baddeley ha introdotto

il concetto di memoria di lavoro.

 

 

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 V            F

|Pensiero e linguaggio                                                                                                                 

a.  Il mezzo principale attraverso il quale comunichiamo

i pensieri è il linguaggio

b. Il pensiero è la facoltà di conoscere e comprendere gli aspetti

generali e universali delle cose

c.Il termine medio si trova solo nella premessa maggiore.

d. Il pensiero si manifesta soprattutto nei processi di

categorizzazione, ragionamento e risoluzione dei problemi.

e. Il ragionamento può essere solo deduttivo.

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V            F

|L’intelligenza                                                                                                                           

a. Lo studio dell’intelligenza è un argomento molto complesso, per la mole di

ricerche e approcci teorici

b. L’analisi fattoriale è un metodo statistico che si basa sull’analisi delle correlazioni

tra vari test mentali e prove

c. Guilford sostiene che L’intelligenza si compone e si articola in un numero elevato

di abilità distinte ed autonome.

d.Il ragionamento deduttivo va dal particolare al generale

e. Il ragionamento induttivo va dal generale al particolare

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FINE

RMR

 

 

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