DIVERSI MA AMICI by gaia - Illustrated by  Gaia Elia, Irene Ingrami, Elena Ragazzi, Marika Tonej - Ourboox.com
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DIVERSI MA AMICI

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Artwork: Gaia Elia, Irene Ingrami, Elena Ragazzi, Marika Tonej

  • Joined Mar 2021
  • Published Books 3

Quando avevo sedici anni, credevo che avrei vissuto gli anni d’oro della mia vita. Avete presente no? Gli amici, le discoteche, le avventure…

Invece, l’universo ha deciso di punirmi e far scoppiare una pandemia globale. Che simpatico.

Passavo le mie giornate in casa a studiare davanti allo schermo del mio computer, senza rendermi conto delle ore che passavano. L’unico modo per scaricare la tensione erano le videochiamate serali con il mio gruppo di amici, con cui non avevo incontri fisici da mesi. Per farmi capire la mia fortuna, mia madre mi aveva obbligato a fare volontariato, specialmente a consegnare la spesa agli anziani. Devo ammetterlo, non mi piaceva farlo, ma non volevo sembrare senza cuore, così decisi di buttarmi. E menomale, perché se non l’avessi fatto, ora non sarei qui a raccontarvi la storia di come ho conosciuto Mauro.

 

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“Ma non lo voglio fare”, così iniziò tutto. “Vale, non te ne pentirai vedrai. Sarà un’occasione per sentirti meglio con te stesso”, disse mia madre. Il mio primo pensiero, dopo aver sentito quella specie di invito-offesa, era stato “come se fossi io quello che ne ha bisogno”, ma sorvoliamo. Fatto sta che, dopo una litigata con lei e un discorso di tre minuti con mio padre, mi convinsero ad iscrivermi al nuovo programma di aiuti per anziani, creato apposta per i giovani. L’idea di portare la spesa a casa degli anziani, di per sé era carina, ma era più un un invito a perdere i propri pomeriggi a camminare, sudare e cercare di farsi capire con la mascherina. O almeno era quello che gli altri credevano che pensassi. La verità, era che quella pandemia mi aveva influenzato più di quanto volessi ammettere. Non uscivo perché credevo fosse giusto rispettare le regole, ma allo stesso tempo mi chiedevo perchè se lo facevano tutti, io non ci riuscivo.

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Sapevo che mi preoccupavo troppo, ma avevo perso la capacità di lasciarmi andare. Decisi, allora, di parlarne con il mio migliore amico, che tuttavia non fu d’aiuto. Però era colpa mia, dovevo scegliere qualcun’altro con cui sfogarmi, perchè lui non è proprio il tipo da discorsi seri. E’ una di quelle persone molto semplici da capire: ogni cosa che gli passa per la testa la urla fuori, ma non si preoccupa delle conseguenze; ho sempre pensato gli mancasse quella vocina che hanno tutti gli esseri umani, quella che ogni tanto parte e ti dice “Guarda che se dici questa cosa ti scavi la fossa da solo”. Nah, lui non ce l’aveva.

 

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Vale, ti devi tranquillizzare”, mi disse Fra. “Sei troppo spaventato, e onestamente mi sembra di parlare con mia nonna”. “Grazie Fra, sei sempre d’aiuto”, gli risposi con tono sarcastico, che però lui non colse. “Senti, non ho più voglia di trascorrere le giornate a dirti che non ti succederà niente, quindi prima ti farò passare questa fissa, prima ricominceremo tutti e due a vivere.” Attaccò il telefono. Credevo di essere arrabbiato per quello che aveva detto, ma in realtà aveva ragione. Nemmeno io riuscivo ad andare avanti così, con tutto il peso di qualcosa molto più grande di me sulle spalle. Perciò iniziai il programma di volontariato. Proprio quel pomeriggio. Uscii di casa e senza dire niente andai verso il negozio vicino casa mia a comprare quello che mi avevano detto. Avevo la lista con nomi e indirizzi a cui dovevo portare la spesa, e per fortuna c’era molto da camminare: avrei avuto il tempo di schiarirmi le idee.

 

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Dopo una decina di case ero così stanco da non sentirmi più le gambe. Volevo solo tornare a casa il prima possibile, e non capivo perché avessi scelto di cimentarmi in questa nuova esperienza. Avevo un’ultima consegna da fare, al numero civico 7, il mio numero fortunato. Non che credessi in queste cose, ma spesso notavo questo numero nelle mie giornate migliori.

Suonai al citofono e mi aprì un uomo. Aveva poche rughe, e non sembrava così anziano da essere bisognoso d’aiuto. 

“Ehi ragazzo, grazie. E’ così bello vedere qualcuno che, anche in questo brutto momento, si preoccupa per i più deboli.” 

“Grazie, signore. Ma io non sono quel tipo di persona”, dissi ridendo.

“Ti sottovaluti, giovanotto. Voi giovani non capite l’importanza di questi piccoli gesti.”

Sembrava diverso dagli altri: era più in forma e sorridente, nonostante la situazione. Mi trovavo in una circostanza diversa dal solito, per questo ero distaccato e freddo nei suoi confronti. Speravo non lo notasse.

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Mi invitò ad entrare, ma io gli dissi, con gentilezza, che non volevo disturbare, e che non mi sembrava il caso visto che dovevo tornare a casa. “Coraggio, ti mostro una cosa…”

Lo ammetto, all’inizio rimasi senza parole. Non mi sarei mai aspettato che il Sig.Baldini fosse stato un importante maratoneta, come diceva la targa vicino alle medaglie olimpiche.

Mentre mi mostrava tutti i trofei e riconoscimenti che aveva vinto , vedevo i suoi occhi illuminati dalla gioia, ma allo stesso tempo dalla nostalgia. Mi offrì di sedermi, e io ovviamente accettai. 

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“Vedi figliolo, visto che ti è tanto piaciuto ciò che hai visto, voglio raccontarti una storia”. Per non farlo dispiacere rimasi, anche se ero già lì da mezz’ora. “Molti secoli fa, nell’antica Grecia, viveva un importante filosofo, di cui forse hai già sentito parlare: Platone. Quest’uomo, a parer mio, è stato colui che ha posto le basi per la società di oggi. Comunque, il punto non è questo. Dicevo, questo grande filosofo, aveva una teoria con cui non concordo assolutamente: egli diceva che gli opposti non possono essere amici”. “In realtà, credo che più due persone siano simili, più facile sia andare d’accordo”, dissi, sempre rispettoso. “Può darsi, magari in certi casi funziona meglio così. Però, voglio raccontarti un episodio che forse ti farà cambiare idea. Durante una Olimpiade, c’erano due atleti in gara: facevano parte di due squadre diverse, e la voglia di vincere gli aveva offuscato la vista, facendoli diventare così tanto competitivi, che sembravano due animali. 

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Non solo erano in squadre diverse, ma avevano anche ideali e tendenze politiche opposte: insomma, non c’erano due persone più diverse di loro”. “Sembra proprio impossibile dimostrare la loro amicizia, signore”. “Chiamami Mauro, d’accordo? Capisco cosa stai pensando, perché così di istinto è molto difficile credere che ci fosse qualsiasi tipo di rapporto tra questi. Tuttavia, ti sbagli. Prima di una gara, uno dei due atleti venne attaccato dagli spettatori, poiché erano state diffuse falsi voci sul suo conto”. “Del tipo?”. “Che fosse un assassino o un ladro, non ricordo in questo momento. Non è questa la parte importante, però. Perché mentre tutti si accanivano su di lui, il suo avversario decise di difenderlo, perché la vita privata degli sportivi non aveva, e non ha, niente a che vedere con la bravura sul campo. Gareggiarono, e l’atleta che era stato insultato vinse. Il perdente gli fece i complimenti, e da quel giorno, ad ogni olimpiade, si dice che i due si abbracciassero come vecchi amici”. 

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In effetti, quello che diceva aveva molto senso. Non importa la vita privata delle persone, perché se c’è anche una piccolissima parte che accomuna due uomini, questi sono in grado di superare le diversità e creare un vero legame. Proprio come successe a me e Mauro. L’unica cosa che ci accomunava era il fatto che tutti i lunedì gli portassi la spesa, nient’altro. Non avevamo la stessa età, gli stessi interessi o problemi simili. Eravamo due opposti. Però, andando avanti con le settimane mi sentivo sempre più vicino a lui; e tutt’ora, ogni lunedì vado a salutare l’uomo che mi ha permesso di superare il periodo più buio della mia vita.

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