L’ultima Charter by Sara Simeoli - Ourboox.com
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

L’ultima Charter

  • Joined Jul 2021
  • Published Books 1

Simeoli Sara

L’ultima Charter

2

Ad Astid,

che in un anonimo pomeriggio

mi ha spinto a credere in questa storia.

3

Prefazione

4

Hellen

I segreti sono sempre stati la base del rapporto che loro cercarono di costruire con me, ma i segreti non restano tali quando la mente delle persone risuona forte nella tua.

Tutto è ricominciato quando ho incontrato lui, lo stregone più potente col quale avessi mai avuto a che fare. Helgi era uno stregone immortale che odiava la sua immortalità, mi venne a cercare due anni dopo l’attacco, fu allora che cominciò la mia incessante corsa verso la morte e allo stesso tempo verso la salvezza. Tra qualche ora la battaglia finale comincerà e sento il bisogno di raccontare come tutta questa storia è cominciata, per quale ragione tutto questo sta per avvenire, chi sono i colpevoli che hanno distrutto il mondo che conosciamo. Il mio nome era Hellen un mezzosangue asgardiano a cui era stata concessa la divinità, dopo il primo attacco ero scappata dalla mia casa, costretta a vivere nel Miðgarðr per due anni, mi ero confusa tra gli uomini usando una falsa identità per costruirmi una falsa vita.

Era il primo giorno dello Sigrblót, l’inizio del periodo di razzia e gli uomini pregavano Odhinn in quei giorni, mentre noi invece banchettavamo e festeggiavamo per due giorni, fu allora che parte del mio potere cominciò ad andare fuori controllo, ma la verità è che si stava evolvendo, qualcosa che sin dalla nascita era stato sepolto nelle profondità della mia energia in quei giorni stava venendo fuori.

La notte prima dello Sigrblót volsi lo sguardo verso il nero cielo nel quale si stava espandendo il potere della luna nuova, gli spiriti dei boschi e le fate preparavano la cerimonia e i banchetti che sarebbero cominciati alla mezzanotte; mentre mi perdevo nell’assaporare l’energia che ci circondava, la regina mortale, il cui volto veniva occultato dalle ombre della notte e dal cappuccio del mantello, si avvicinò a me porgendomi gli abiti da cerimonia. Distrattamente presi la mia armatura e mi condussi verso le mie stanze, quando chiusi la porta alle mie spalle tirai un sospiro, quella mattina ero riuscita a percepire, di sfuggita, i pensieri di quello che è il mio nonno materno: Loki, e non era stato affatto piacevole, quello che avevo letto nella sua mente era molto oscuro e mi tormentava costantemente. Mi infilai i pantaloni di pelle nera, la camicia da cerimonia e il corpetto nero da battaglia, battuto nell’acciaio più resistente dell’Ásgarðr; quando uscì, nel corridoio del palazzo mi aspettava ancora quella regina umana, che dopo la sua caduta in battaglia era stata accolta tra le fila di Friga. La regina mortale mi porse la tiara, una corona forgiata dai nani su ordine di Vé e Odhinn quando la sua dolce nipote compì diciotto anni, nella quale il Grande Padre aveva fatto incastonare dei diamanti ricavati da una vecchia grotta situata sul confine della terra degli Asi. Me la donarono il giorno della mia ascensione come simbolo d’appartenenza a quella nobile famiglia: io sono la nipote di Loki, detentrice dei poteri illusorei e nella mia mente potevano risuonare le parole degli altri. Io sono ciò che rimane della stirpe dei grandi sovrani dell’Ásgarðr, ma la realtà è che non sapevo davvero chi fossi, perché la verità veniva occultata costantemente.

Ero cresciuta in una casa-famiglia in una cittadina nella periferia di Londra fino a quando la notte del mio diciottesimo compleanno vidi una luce, che da anni non vedevo nel cielo, quella notte mi fu rivelata la mia natura, mi fu detto ciò che loro credevano fosse necessario che sapessi. Da quel giorno cominciò il mio addestramento, dovevo diventare forte come loro e dovevo imparare a dominare i miei poteri, gli stessi che nel corso della mia vita avevano provocato strani eventi e svariati incidenti; per quanto fossi affascinata da quel mondo che tanto mi apparteneva, mi sentivo comunque esclusa da tutto quello che mi scorreva attorno e continuavo a pensare alla vita che avevo lasciato. Tra gli umani non mi ero mai sentita a mio agio, ero sempre stata quella diversa, eppure lì tra i miei “simili” le cose non erano cambiate, anche con loro ero diversa, non ero totalmente come loro e non sapevo quanto la mia natura fosse distante da quella degli altri, perché non furono sinceri con me fino all’inizio della fine.

I festeggiamenti per lo Sigrblót iniziarono alla mezzanotte del quattordici luglio, tutti iniziarono a mangiare e bere allegramente, mentre io me ne stavo dietro una finestra, rinchiusa in una torre senza il minimo desiderio di unirmi a loro. Pensavo che la mia natura comprendesse entrambi i mondi e che probabilmente nessuno dei due mondi mi avrebbe mai soddisfatto; mi persi affascinata e preoccupata ad ammirare le luci del cielo divino, luci che dopo quei due giorni non avrei più visto fino alla fine dei tempi ed è qui che comincia la nostra storia, una storia che mi porterà proprio dove tutto è iniziato, come un cerchio che non si rompe mai.

– Hellen la festa è cominciata. Tutti si chiedono dove tu sia finita, mia dolce nipote. – disse Loki mentre mi aiutava a stringere la cintola della spada donatami dalle Valkirie al mio arrivo nell’Ásgarðr.

– Vedo che anche voi siete rintanato nei corridoi del palazzo, nonno Loki. – mi pronunciai fissando il volto di quel Dio che per tre anni avevo creduto buono, non riuscivo a non pensare all’oscurità che invece si portava dentro.

Loki scosse il capo e mi fece strada verso la sala grande dove tutti gli Dei maggiori si stavano riunendo, quando entrammo nella sala Sygin porse il semplice calice, ricolmo di Idromele, a Loki, mentre rivolse a me quello sguardo di disprezzo che mi aveva sempre riservato, io le sorrisi e mi diressi verso la colonna che mi avrebbe nascosto dagli sguardi di chiunque si aspettasse qualcosa da me in quei due giorni. All’arrivo di Odhinn tutti si sedettero alle loro postazioni aspettando che il Grande Padre desse il via alla riunione, la quale finì come al solito, in furiosi litigi e con molti di loro ubriachi; al termine della riunione divina ognuno di loro si dedicò alla festa che apriva ufficialmente il periodo di razzie per gli uomini. Non appena potei divincolarmi da quella tortura volai fino alle scale esterne della torre di vedetta, dalle quali si vedevano le porte del Valhalla cercando di percepire i resti della sua anima, dell’anima dell’uomo che amavo, un uomo che era stato distrutto da Mòdi, figlio di Thor. Cercavo disperatamente di trovare l’anima del primo figlio di Ragnar Loðbrók, Ívarr inn beinlausi, senza trovarla e poi delle immagini di guerra e morte invasero la mia mente; qualcuno ci aveva tradito e presto saremo stati attaccati, un’entità oscura stava per arrivare ed io ero troppo ubriaca per poter volare, quindi mi arresi al torpore su quel tetto dimenticando la mia visione. La mia mente però non si chiuse alla magia che invadeva ogni mio pensiero.

Mi ritrovai sul Ponte Arcobaleno e guardavo verso la città dorata che, avvolta da una nube color pece, era sotto attacco da un esercito nemico, un esercito oscuro che cercava la distruzione della nostra stirpe. Le urla del popolo che veniva massacrato, gli sconti tra le armi risuonavano costantemente come una musica di morte, che incombeva sulle anime di tutti i guerrieri di Odhinn e sulle anime degli immortali. Guardavo la distruzione della mia casa, della mia famiglia e sentivo ancora la necessità di scoprire cosa ci fosse di tanto importante da tenermi lontana da tutti quei segreti; credevo di non poter morire senza sapere la verità su di me. Mentre ero lì, ferma su quel ponte che collega i mondi qualcosa mi travolse, qualcosa di oscuro e poi il buio assoluto mi cinse come se fossi caduta nell’oblio; galleggiavo in quell’abisso buio, sospesa tra il presente e il futuro fino a quando una scossa non mi riportò su quella torre di vedetta, era Thor che litigava con qualche soldato, come ad ogni festa.

Mi sedetti a guardare ancora una volta le maestose porte della terra dei caduti e poi mi diressi verso il centro di quella festa, cercai Thor e Odhinn con il disperato desiderio di avvisarli; quello che stava per accadere pendeva sulle nostre teste come un’ascia pronta a decapitarci, ma quando trovai il Padre degli Dei fu tardi. Odhinn era seduto sul suo trono dorato affiancato dalla sua adorata moglie e quando mi videro sorrisero, chiamandomi con un gesto della mano, ma mentre mi avvicinavo a loro un portale oscuro si aprì alle nostre spalle, proprio dal lato opposto del Ponte Arcobaleno e le sue armate cominciarono ad invaderci, ad attaccarci e a decimarci. La prima notte dello Sigrblót fummo attaccati e la città dorata fu distrutta, ma io non ricordo molto di quella notte, in parte perché ero ubriaca e in parte perché non fui mai abbastanza cosciente da combattere; di quella notte ricordo solo pochi sprazzi, frammenti che conservo come se fossero l’unica cosa che ho della mia famiglia. Quella notte fui ferita in maniera grave alla testa e al mio risveglio mi trovavo da sola, in una camera d’hotel nel Miðgarðr, ai piedi del letto c’era una valigia piena di vestiti, scarpe e qualsiasi cosa mi potesse essere utile, su di una poltrona di velluto beige sbiadito erano riposti gli abiti che avevo indossato quella fatidica notte e dei documenti, una nuova identità, una nuova vita. La mia memoria su ciò che fosse successo era piena di buchi, allora mi alzai cercando di capire cosa stesse accadendo e fu in quel momento che lo vidi, un piccolo foglio di carta preso dal plico poggiato sulla scrivania della stanza, grossolanamente nascosto e impregnato di energia asgardiana.

 

Mia cara Hellen,

siamo stati attaccati durante i festeggiamenti. Il suo esercito ci ha presi alla sprovvista, avevamo abbassato la guardia. So che quasi certamente non ricorderai nulla di tutto ciò che è avvenuto quel giorno, non allarmarti sarà una cosa momentanea; sei stata colpita gravemente alla testa durante la battaglia e nel giorno in cui scrivo conto una settimana di coma. Io, Thor, Sif, Friga e Odhinn siamo riusciti a salvarti e portarti qui. Nell’armadio troverai un dono di Heimdallr, un pugnale fabbricato dalla prima lama che hai distrutto, è riuscito ad imprimergli parte del potere del grande ponte e ti darà la possibilità di aprire Bifrost all’interno della dimensione spaziotempo e di sfuggire ai suoi segugi attraverso le epoche. Non tornare nell’Ásgarðr. Tra qualche ora ti riprenderai secondo le analisi della regina degli Dei e quando succederà, noi non potremmo essere lì.

Durante quella notte la tua magia stava evolvendo, non sappiamo cosa sia successo, ma ora essa è come imprigionata, un blocco creato dalla tua mente. Tu e solo tu puoi liberartene; possiedi ancora la tua magia, ma ti risulterà come assopita in un involucro creato da te stessa, eppure il fatto che non puoi praticarla ti rende un’umana al fiuto dei segugi, perciò, ti dobbiamo lasciare indietro, è l’unico modo per tenerti al sicuro. Potrai vivere una esistenza umana, dimenticando la vita con noi e il nostro mondo se puoi; col tempo ti renderai conto che per te i tre anni trascorsi con noi, non hanno mutato il tuo aspetto e ciò non accadrà neanche in futuro. Sopravvivi a qualunque costo, confonditi tra di loro e dimenticaci, o almeno provaci. Il nostro mondo sta morendo, se non è già morto; inventati qualcosa per sopravvivere e non farti mai trovare dal nemico.

Non so se ci rivedremo ancora, ma in qualsiasi caso si prudente.

Loki”

 

Una settimana di coma, la guerra era iniziata e gli Dei erano stati costretti alla fuga. Ero impotente di fronte all’imminente distruzione, non ci volle molto prima che fossi attrezzata per cominciare le mie ricerche. Appena il mio corpo fu ristabilito completamente mi misi sulle tracce dei segugi illudendomi che avrei potuto fermare quello che era cominciato; la mia famiglia mi aveva addestrata per questo, io ero nata per questo e intendevo portare a termine il mio compito, ma in quella battaglia ero sola o almeno era quello che credevo.

5

Due anni dopo

Io ero Hellen, un mezzosangue asgardiano a cui era stata concessa la divinità e da due anni ero scappata dalla mia casa, costretta a vivere nel Miðgarðr in un tempo che non era il mio. Dopo essere stata lasciata in quell’hotel appresi che non mi trovavo nello stesso anno da cui ero partita e spesso, nei primi tempi, mi era passata per la mente di rintracciare la giovane me di quel periodo e avvertirla di tutto quello che sarebbe successo, eppure la paura del tempo, di rovinare il tempo stesso, mi assaliva ogni volta impedendomi di fare qualsiasi cosa. Cambiai città prendendo le distanze da chiunque mi potesse conoscere e ricominciai una vita umana, la vita che avevo tanto desiderato mentre ero nell’Ásgarðr, da dietro le grandi vetrate del palazzo dorato e attraverso gli occhi di Heimdallr, eppure quando ero in casa, tra le mura accoglienti del mio attico nella mia nuova città, non facevo altro che pensare a cercare un modo per annientare il nemico, per riportarli a casa, per tornare tutti insieme a casa; per un anno e mezzo cercai la risposta che avrebbe sistemato ciò che quella notte era iniziato, senza trovare alcuna soluzione, non prima di quella mattina almeno. Leggevo un antico diario, di un’antica famiglia di stregoni quando fui sorpresa da una visione. Un lampo di poche immagini, confuse ma allo stesso tempo così nitide; qualcuno stava arrivando, qualcuno che sembrava attendessi da tempo. Per quanto i doni di Ohinn si fossero sempre manifestati con forza in me, quella volta non sapevo cosa mi stesse per succedere, dopo il blocco della mia magia avvenuta la notte dell’attacco ero riuscita ad attingere a solo due doni: la telecinesi e il mio occhio sul futuro. Quella mattina qualcosa mi spinse ad agire come la visione mi aveva dettato, uscì dalla stanza lasciando quell’antico diario sulla scrivania, aperto alla pagina che stavo traducendo poco prima e sigillai con le rune la stanza occulta.

Quando sentì il campanello suonare un sussulto mi attraversò come un lampo, un picco momentaneo di paura, tuttavia c’era qualcosa che mi spinse ad aprire e fu proprio allora che lo vidi: un uomo di circa venticinque anni, o almeno quella era l’età che dimostrava, alto più di me, probabilmente intorno al metro e settanta. Emanava una sorta di energia confusa che non lasciava percepire la sua vera natura, eppure i suoi occhi non erano di certo umani: due occhi gialli da felino, impreziositi da venature azzurre e circondati da uno strato di matita nera. Gli porsi il Martini e quell’uomo, con fare elegante, lo prese come se sapesse già quello che stava per accadere, poi entrò velocemente e si diresse verso la libreria aprendo la stanza segreta.

– Chi siete? Amico o nemico? – gli chiesi dopo aver chiuso la porta, era dubbiosa su cosa dovessi fare eppure ero spinta dall’istinto a seguire quell’uomo che alla mia domanda non formulò una vera risposta, non fece altro che girarsi verso di me e lanciarmi una collana sul cui ciondolo era incisa una runa: Uruz, la fonte vitale incontaminata di energia selvaggia, il simbolo della forza bruta e allo stesso tempo l’emblema della libertà e la forza di non essere dominati da nessuno. Riconobbi subito quel ciondolo, lo avevo creato io durante la battaglia che mi provocò la mia unica cicatrice, quel ciondolo fu plasmato con la magia dalla sabbia del suolo della battaglia; mentre lo guardavo credetti per un secondo di provare dolore all’avambraccio, proprio dove quella lama anni prima mi aveva colpita. Avevo donato quella collana a Loki il giorno della festa, il giorno in cui le nostre vite erano finite e glielo avevo donato perché credevo che con la gentilezza avrei potuto cancellare l’oscurità che si celava nel suo cuore, eppure non ero così ingenua da crederci cecamente e per questo vi avevo imbrigliato un incantesimo che assopiva gli istinti oscuri, un incantesimo di mia fattura che aveva effetto solo se la collana era posta al collo dell’interessato. Seguì lo stregone che rompeva i sigilli runici ed entrava nel mio rifugio, lo osservai e mi domandai perché lui fosse in possesso della collana di mio nonno, una collana che mai avrebbe dovuto allontanarsi da Loki, l’unico oggetto che poteva placare i suoi istinti di odio e distruzione.

– Hellen so perfettamente chi sei, quella me l’ha data l’uomo che porta il corvo con sé, lui mi ha mandato da te; la sua energia non è abbastanza forte per affrontare la guerra che sta arrivando per questo mi ha mandato a dirti che il trickster sta morendo.

È giusto che mi presenti, io sono lo stregone più potente della storia, ho quasi un millennio di esistenza e secoli di esperienza nella pratica di diverse arti magiche; sono il figlio di un demone mutaforma, che muta in ghepardo, mio padre aveva scelto il Miðgarðr come suo terreno di caccia. Mi chiamo Helgi e sono stato io a creare l’unico incantesimo che può aiutarti a tornare com’eri prima, devi capire che dopo quella notte l’energia magica di tutti i mondi è cambiata, è come se le mancasse un tassello, è instabile.

Io sono qui per aiutarti.

– Conosco il tuo nome – gli dissi sbalordita per ciò che ricordavo dalle lezioni del nonno, ma senza farmi incantare troppo e restando abbastanza vicina alle armi – Tu sei uno degli stregoni supremi dell’Yggdrasillr, un mezzo mortale.

– Loro ti hanno istruita bene, ma la tua energia, per quanto dormiente, si espande per quasi due isolati. Credo che sia un miracolo che i vostri nemici non ti abbiano ancora trovata, la verità è che quella notte la tua magia non si è bloccata ma evoluta, poi durante l’attacco sei entrata in contatto con delle energie che ti hanno imprigionata in te stessa. Qualcuno ti ha imprigionato.

Lo guardavo impietrita per tutto quello che sapeva su di me e i miei poteri, le sue parole mi incutevano terrore, facendomi sentire impotente di fronte a lui che appariva così potente. Quelle parole mi rimbombavano nel cuore spingendomi verso una vita che non avevo mai desiderato e dalla quale avevo desiderato di scappare, una vita che non avevo mai immaginato di poter riavere davvero; quando avevo cominciato le ricerche per fermale l’avanzata del fuoco oscuro, sapevo che mi sarei dovuta rassegnare molto presto all’evidente impotenza della mia condizione e che non avrei mai potuto aiutare la mia famiglia, e che quindi avrei dovuto accettare di vivere con la consapevolezza che le persone che amavo sarebbero morte molto presto ed io sarei stata costretta a dover vivere guardandomi dai suoi segugi per sempre.

– Come fai a sapere così tante cose di me?

– Questo non è il nostro primo incontro, almeno non per me. Il giorno in cui li ho trovati, ho potuto aiutarli grazie a te, perché tu farai qualcosa, lascerai qualcosa che ami e ciò ci permetterà di salvargli la vita. – mentre pronunciava quelle assurde parole si guardava intorno come se stesse cercando qualcosa e poi i suoi occhi felini si illuminarono; si avvicinò alla teca del pugnale e poi estrasse dalla tasca dei pantaloni un piccolo foglio ingiallito e lo aprì, lo scrutò attentamente per poi porgermelo.

–  Quello lo disegnasti tu durante uno dei nostri primi incontri, ricordo che quel giorno cercavi l’aiuto di qualcuno per poter capire qualcosa che tu stessa non riuscivi a capire. Quel pomeriggio la tua realtà fu capovolta, tutto ciò che credevi verità crollò come un castello di carte. Hellen…

– Io non sono Hellen! Io non lo sono più! Io non posso più esserlo!

– Quel pugnale sarà l’oggetto col quale salverai la tua famiglia, o almeno ci proverai. Diventerai una delle streghe più potenti della storia, se non la più potente; supererai persino la mia fama. Tu sei e sarai l’unico essere capace di uccidere la morte stessa.

– Come posso fidarmi delle tue parole? – non riuscivo, non potevo credere a una sola di quelle menzogne, non ci riuscivo. Io non potevo più essere Hellen. Non riuscivo a vedere la verità negli occhi di quello stregone e avvolta dalla mia paura ignorai persino il fatto che Helgi aveva cominciato a gironzolare per la stanza, soffermandosi ad osservare le pagine del diario che stavo leggendo quella mattina.

– Non posso dirti di fidarti di me senza alcuna prova, ma quello che so è che sei, sarai una delle mie più care amiche fino alla fine dei tempi. – disse mentre accarezzava con la punta delle dita le pagine di quell’antico diario, per poi uscire da quella stanza. Io rimasi pietrificata in quella stanza e quando ripresi il controllo del mio corpo e della mia mente lui aveva preso il secondo martini e lo sorseggiava seduto comodamente sulla poltrona di pelle nera e attendeva una mia reazione guardando l’orizzonte fuori la finestra.

– Credi davvero di non poter più essere Hellen? Forse hai ragione. – disse guardando fuori da quella grande vetrata – Quando ci siamo incontrati portavi un altro nome, un nome che per te significava molto, che ti rendeva ciò che volevi essere. Quel nome aveva un significato speciale per te.

Questo è l’indirizzo al quale puoi trovarmi, resterò solo due giorni in città, il tempo di festeggiare le notti d’inverno. Passa anche solo per partecipare agli ultimi giorni di festeggiamenti. – disse posando sotto il bicchiere vuoto un foglietto e poi sparì.

Quell’incontro mi turbò terribilmente, eppure la prima cosa che d’impulso mi venne da fare fu andare a controllare quella stanza e il pugnale, un’arma così potente doveva restare al sicuro; entrai in quella stanza e la magia residua di quello stregone mi colpì in volto come una folata di vento gelido. Ogni cosa lì dentro era al suo posto e il pensiero che volesse il pugnale di Heimdallr non risultava convincente, ogni singolo attimo di quell’incontro mi scorreva davanti agli occhi come un film; lo rivedevo all’infinito cercando cosa potesse essermi sfuggito e poi notai qualcosa di anomalo, una borsa davanti alla teca dove custodivo la mia sacra lama delle Valchirie, mi chinai ad aprirla e al suo interno vi trovai degli abiti neri e una “lista di cose utili”; non sapevo da dove venisse quella borsa, era come apparsa dal nulla, nello stesso modo in cui lo stregone era scomparso. Chiusi la stanza in automatico dopo averla controllata, quasi ignorando ciò che avevo trovato, come se non mi importasse d’averla trovata, presi una birra di Luke dal frigo e mi sedetti sulla poltrona nera dove era sparito lo stregone.

Quell’uomo aveva fatto riaffiorare in me il terrore che si era scatenato durante l’attacco, il mio senso di impotenza e la forza delle energie che ci avevano colpiti. Col passare del tempo avevo ricordato cos’era accaduto quella notte, ma le parole dello stregone avevano risvegliato la parte peggiore di quei ricordi: le urla di Lady Sif che chiamava in lacrime i suoi figli, i quali uno alla volta venivano risucchiati dalle tenebre, il fragore del tuono di Thor che si infrangeva violentemente sui nemici che volevano arrivare al centro del palazzo. Stringevo ancora tra le dita la collana di Loki quando mi saltò alla mente la prima immagine che vidi raggiunto il centro del caos: a terra Loki sovrastato dai nemici e con le lacrime agli occhi. Mentre scendevo verso la battaglia pensai che fosse spacciato e poi una luce abbagliante disintegrò i segugi che lo sovrastavano rivelando quel Dio nella sua più possente forma, pronto a farsi distruggere pur di difendere l’unica cosa che gli aveva addolcito il cuore, fu allora che strinsi ancora più saldamente l’impugnatura della mia spada e levitai al suo fianco colpendo ferocemente i nostri avversari che cominciarono a cadere uno dopo l’altro sotto i nostri colpi, ma ad un certo punto fui circondata e sorrisi spavalda facendo affidamento sulla mia magia, in quel periodo non facevo altro che fare affidamento sulla mia magia, eppure la magia non mi salvò quella volta. Fui colpita alla testa e tutto ciò che riuscì a vedere prima del buio fu il volto di Odhinn e sentì la voce di Loki che impregnata di odio urlava: “Ti ucciderò! Non ti permetterò di avere anche lei!”

Dopo quell’episodio non ebbi mai l’opportunità di domandargli cosa intendesse dire, almeno non prima di quella mattina, quell’incontro mi dava la possibilità di scoprire cosa stesse accadendo davvero; fu solo il telefono, che cominciò a suonare insistentemente, a riportarmi con la mente in quella casa. La sveglia che mi ricordava di prepararmi per andare a seguire i corsi di letteratura nordica in facoltà, i quali mi erano sempre sembrati così poveri di dettagli per me che facevo parte di tutte quelle storie, ma erano l’unico contatto con quella cultura e quelle tradizioni perse ormai da secoli, una cultura che mi faceva sentire a casa e, in quel momento mi sembrarono qualcosa di così futile e banale di fronte alla prospettiva di una guerra divina in veloce avvicinamento.

Non mi sforzai molto di seguire il professore in facoltà, i dubbi non mi lasciavano tregua e invadevano la mia mente tormentandomi, per questo me ne tornai a casa dopo neanche un’ora di corso e mi rintanai in quella che per anni avevo creduto essere la mia gabbia. Da quando li avevo persi, mi ero illusa di poter essere davvero Sophie, una comune umana con una vita ai limiti del monotono e un aspirante poliziotto come fidanzato, ma allo stesso tempo avevo ricavato una stanza dove allenarmi, dove custodivo tutti i miei segreti e dove avrei potuto continuare le mie ricerche. Mi ero costruita una prigione personale, una catena che mi ancorava pesantemente al mio passato e in quel momento cominciavo a rendermi conto che quella di mortale non poteva essere davvero la mia vita; io ero la strada che collegava due mondi, i quali mai si sarebbero dovuti incontrare, non sarebbero mai dovuti entrare in contatto, eppure gli Dei da secoli scendevano tra gli uomini per il loro puro divertimento.

Mi chiusi nella stanza segreta cercando in quegli antichi libri qualche traccia che provasse la veridicità delle parole di Helgi, una traccia della presenza di qualcosa che potesse essere simile a me nel corso della storia, e in particolare mi concentrai sulle epoche che avevano una maggiore concentrazione di potere. Ancora non riuscivo a capire per quale ragione una come me avrebbe chiesto aiuto ad un comune stregone mortale, anche se quello stregone faceva parte della più potente classe di stregoni, non riuscivo a spiegarmi perché avrei avuto bisogno del suo aiuto e mentre perdevo le speranze il mio sguardo finì sulla traduzione di quel libro su cui stavo lavorando quella mattina. Quello era uno dei diari della più antica famiglia di prescelti. Un reperto delle mie ricerche sulle antiche famiglie di creature, che in tempi lontani quando le storie erano tramandate oralmente lasciavano traccia delle gesta di persone come me. Gli Dei scelsero due veggenti, il cui compito era quello di formare due famiglie di creature che avrebbero dovuto riportare segretamente le gesta di esseri come me ed Helgi, ma con lo scorrere del tempo e dei secoli quelle due famiglie erano cadute in disgrazia o distrutte durante le varie guerre magiche, e i loro segreti erano diventati un tesoro per il quale tutte le forze oscure combattevano. Io ero riuscita a recuperare qualche diario in quegli anni di esilio forzato sulla terra, un diario della famiglia Charter, il cui capostipite era un figlio di Odhinn. Il Veggente aveva creato una famiglia composta da cinque razze di esseri sovrannaturali, era riuscito a radunare sotto lo stesso tetto cinque razze e creato una famiglia a cinque rami, così da difendere meglio i segreti e soprattutto per raccoglierne di vari tipi; fu con quella nobile e potente famiglia che si formò la classe di stregoni a cui apparteneva Helgi, il Veggente e i suoi furono i primi a ricevere il marchio divino dei Cinque Supremi Stregoni dell’Yggdrasillr, e non tutti gli appartenenti alla famiglia lo ricevettero.

Su quelle pagine, ingiallite e impregnate di magia, non trovai solo la comparsa di una ragazza che corrispondeva alla mia descrizione, ma anche la descrizione dell’utilizzo della magia del pugnale di Heimdallr; quelle pagine avrebbero potuto rispondere ai dubbi che quella mattina erano risorti nel mio animo, ma quando capì di essere vicina a quelle risposte chiusi quel vecchio diario e uscì da quella stanza, ero impaurita per ciò avrei potuto trovare come mai ero stata nella mia vita.

Mi misi ai fornelli e preparai un pranzo per due, sperando che Luke riuscisse a tornare in tempo per quello stupido pranzo. Allora non sapevo che sarebbe stato l’ultimo pranzo prima di prendere la decisione che avrebbe cambiato la mia vita ancora una volta; lo aspettai fino alle tre del pomeriggio, quando mi chiamò per confermare i miei timori, sparecchiai con l’amaro in bocca e la consapevolezza che se lui non ci fosse stato la tentazione ad avere quelle risposte avrebbe preso il sopravvento su di me. Quel pomeriggio cercai in tutti i modi di sopprimere quella piccola parte che voleva leggere quelle pagine, ma alla fine verso le cinque del pomeriggio cedetti e mi rintanai ancora una volta in quella stanza; a sinistra dell’entrata la scrivania in legno di ciliegio sul cui bordo avevo inciso le rune dell’incantesimo che proteggeva il mio segreto, occultando quella stanza all’occhio umano, il libro era ancora lì chiuso al centro di quel raffinato pezzo di legno. Afferrai lo schienale della sedia di pelle nera e mi ci sedetti aspettando il coraggio di leggere quelle parole, un coraggio che non arrivò mai, neanche dopo averle lette.

 

“Londra, dicembre 1840,

È la Vigilia di Natale, oggi le cinque stirpi si sono finalmente riunite di nuovo insieme per il Grand Galà, saranno presenti tutti i più potenti esponenti del mondo occultato e tra di loro ci sarà il nuovo Sommo stregone dell’insediamento di Londra: Helgi.

È un uomo molto giovane, l’ho incontrato per la prima volta nella mia città natale, sapevo che aveva potenziale e mi sento onorato di poterlo rincontrare in questo giorno. Si è occupato di Astrid in questi anni cercando di tenerla lontana dai guai, ma forse non è stato abbastanza, perché si è rifiutata ancora di tornare indietro con noi.

Le visioni dei giorni scorsi mi hanno avvisato che questa sera farò un incontro atteso da secoli, forse riuscirò a “rivedere” il suo volto, lei che così forte e temeraria era riuscita a fermare la distruzione della mia casa preservando il potere futuro di quella terra. La mia dolce cugina immortale tornerà da me prima di tornare a casa, mi domando se lei sa già chi sono, da che tempo sta arrivando e se ha già incontrato nel mondo umano colui che è destinato a sopravvivere. Sento la sua energia molto vicina, è giusto che controlli dov’è.”

 

La prima parte della traduzione era così criptica che credetti d’averla tradotta male, ma quella lingua, che non avevo mai studiato, mi scorreva nel sangue, era parte della mia cultura e non potevo sbagliarne la traduzione, allora continuai a leggere. Immediatamente dopo ciò che avevo letto veniva lasciato uno spazio vuoto come se la mano che scriveva si fosse fermata e poi ricominciò parlando di cose accadute prima.

 

“Lei era con lo stregone Helgi, è ancora così sentimentale e allo stesso tempo così potente. Aveva un abito rosso che l’avvolgeva, i capelli corvini raccolti in un’elegante treccia che le incorniciava il capo e lasciava cadere un paio di boccoli sul davanti del viso, il collo adornato da un collier di diamanti coordinato con gli orecchini altrettanto lucenti. Il suo marchio era coperto dal retro del corpetto, con prudenza per nascondere la sua reale natura e i suoi occhi verdi, penetranti e sospettosi, scrutavano e analizzavano ogni presente.

Helgi l’ha proposta per assumere il titolo di Sommo Stregone Divino, un ruolo che non viene ricoperto da tempi immemori. Durante tutto il Galà lo stregone ha provato a portare dalla sua parte i più importanti esponenti del mondo magico e con ogni loro ingegno hanno cercato di attirarmi in quella sala per parlare con me, anche se non ce n’era alcun bisogno, perché non mi sarei perso alcuna occasione per parlare con lei.

Si è presentata come Synnøve Freeland, sono stato felice di sapere che portava già il nome col quale l’avevo incontrata la prima volta. Mi ha raccontato di essere alla ricerca di un incantesimo, o di una qualsiasi cosa che le permettesse di salvare gli Dei dalla distruzione di una guerra imminente; non ho potuto dirle la verità su questa guerra che sta per affrontare, il segreto di mio padre deve essere mantenuto e mi rendo conto che per quanto il suo nome sia un nome della famiglia di Odhinn, nei suoi occhi c’è ancora la bramosia di salvare il suo adorato Loki, e ho avuto timore a fidarmi del tutto.”

 

Smisi di leggere improvvisamente quando mi resi conto che i miei occhi scorrevano velocemente sulle parole e che cominciavo a sentire, di nuovo, mia quella magia che avevo tanto odiato.

Cercai di convincermi che quel diario non fosse una fonte attendibile, dato che lo avevo ritrovato in un antico e conosciuto rifugio per negromanti, un luogo che secondo i racconti era collegato alle vicende che avevano portato la famiglia Charter alla distruzione, caduta avvenuta nei primi decenni del ventunesimo secolo quando il sesto ramo della famiglia fu scoperto dagli Dei e il Veggente fu condannato a vagare per secoli senza una meta precisa e a morire periodicamente in atroci sofferenze; eppure altre leggende, invece, raccontavano di una persecuzione e una guerra avvenuta fra due fratelli, l’unica cosa che sapevo con certezza era che in quella famiglia qualcuno aveva tradito e mentito agli Dei, e per questo quella stirpe era chiamata “Gerarchia traditrice” e i suoi discendenti veneravano e studiavano le magie occulti della sovrana dell’Helheimr.

 

“Hellen, nipote di Loki, figlia della fata che nessuno conosce e di quello stregone errante, possiede un pugnale che può aprire delle porte nel tempo e nello spazio ed è venuta qui da un altro tempo, proprio come la prima volta che la incontrai. Questa grande casata non esiste più nel suo tempo e la sua magia è stata imprigionata da qualcuno così che lei non la possa usare, per non essere d’ostacolo a ciò che sta accadendo, con molta probabilità. Mi ha raccontato che saranno queste mie parole a farla tonare sul campo di battaglia, che sarò io a librarla così da poter salvare ciò che può ancora essere salvato.

Hellen, è a te che ora voglio parlare, a te che stai leggendo. Questa sera ti sei presentata a questa grande riunione per portare un messaggio al mondo sovrannaturale, tu vuoi e puoi ancora salvarci tutti, ma bisogna che tu riprenda la tua vita da essere superiore nel tuo tempo, che impugni ancora una volta le tue armi per salvare il mondo in cui hai amato e vissuto. Bisogna che ti ricordi chi sei, chi puoi essere e chi sei destinata ad essere; mentre correvi via dalla villa e ti lanciavi verso il tuo destino, immagini confuse mi hanno assalito e una voce mi ha sussurrato un messaggio per te: “le luci del Grande Ponte rivedrà quando il suo destino avrà compiuto. La fine non può essere impedita, ma può essere combattuta e solo quando il tempo sarà maturo lei potrà scoprire i segreti che ancora le vengono celati. Solo quando il suo cuore sarà pronto a conoscere la verità potrà vedere ciò che si nasconde dietro la foschia di bugie.”

Piccola, ma grande guerriera, imbraccia le tue armi e lanciati nella battaglia che ti aspetta, è questo che il tuo cuore ti sta urlando con forza e per farlo avrai bisogno di tutto l’aiuto possibile, cerca amici e non nemici, ma soprattutto abbraccia la tua magia.

Da oggi con la magia donatami da mio padre, attraverso i secoli viaggerò nelle pagine di questo diario che rimarrà sigillato fino a quando tu solo non lo toccherai. Io Il Veggente ti investo della imponente carica, la cui energia è capace di distruggere ogni maleficio, io ti investo della carica di Sommo Stregone e Protettore dell’Yggdrasillr. Et nunc liberari ab stella.”

 

Appena pronunciate quelle parole gli oggetti sul tavolo tremarono al contatto con l’energia che venne sprigionata, i miei occhi brillarono di un rosso intenso per qualche secondo. Sollevai le mai dalle pagine di quel diario, non potevo crederci, le catene stellari si stavano sciogliendo eppure non ero sicura di ciò che stesse accadendo realmente. Mi alzai velocemente, andai in cucina, i miei occhi vedevano di nuovo tutto, il mondo era tornato a non avere più segreti per me; stesi il braccio e aprì la mano rivolgendo il palmo verso la bottiglia di birra vuota, che la mattina avevo lasciato su bancone della mia cucina a penisola. Ero di nuovo potente, in realtà ero più potente di prima, proprio come mi aveva detto lo stregone.

6

La fuga

Quelle parole che avevo pronunciato erano state legate ad un’energia, che aveva mantenuto quel diario inviolato per secoli, e che ora aveva sciolto la mia prigionia, il custode della famiglia Charter, che la futura me aveva incontrato in uno dei suoi viaggi aveva appena fatto in modo che fossi di nuovo capace di lottare contro un nemico di cui mi era oscuro il nome. Passata la felicità e l’euforia scatenata dalla rinascita di quel pezzo di me che, nella parte più profonda, mi era mancato, subito riaffiorò alla menta la paura di perdere quello che ero riuscita a costruire in questo luogo che non sapeva cosa fossi realmente, ma che aveva scelto di conoscere e accogliere questo mezzo essere fuggito dalla distruzione.

La verità è che avevo sempre amato e invidiato ciò che gli uomini potevano avere. Sin da bambina, prima ancora di scoprire chi fossi realmente, avevo avuto un costante pensiero che mi tormentava: io ero diversa. Mi ero sempre sentita diversa a tal punto che a scuola avevo avuto problemi a adattarmi e a socializzare. Per gli uomini era così semplice sentirsi uguali agli altri, loro erano fatti tutti della stessa energia, l’unica cosa che variava nel loro essere erano i modi di pensare e comportarsi; io invece ero fatta di sangue ed energia diversi da quelli dei mortale e quando cercavo di amalgamarmi e socializzare mi sentivo come se un pezzo di me mi venisse strappato via e poi la scoperta che fossi davvero diversa da tutti coloro che mi circondavano fu quasi come se mi venisse strappato anche quell’unico pezzo che mi rendeva mortale, un pezzo che in realtà non avevo mai avuto.

Mentre il mio animo combatteva tra le mie due nature, ritornai nella stanza segreta e presi un arco e dopo aver posizionato un circuito d’addestramento, impugnai saldamente l’arma e scoccai tutte le frecce che avevo a disposizione, perforando il bersaglio centrale con l’ultima freccia; non riuscivo a capire cosa volesse realmente il mio cuore, non sapevo quale decisione prendere, quale parte di me seguire e in preda alla furia impugnai una dopo l’altra tutte le armi che erano custodite in quel luogo, distruggendo ogni bersaglio e ogni manichino avessi a portata di lama, e mentre sfogavo la mia frustrazione in quell’attacco di violenza mi scontrai con un lato di quella stanza dedicato ai miei ricordi. Il manichino con sopra poggiati i miei abiti cerimoniali, la teca con la tiara e al fianco quella col pugnale magico, allora ricordai della collana di Loki che quella mattina lo stregone mi aveva restituito come prova della sua fedeltà. La presi dalla tasca dei pantaloni, la guardai e fu allora che capì cos’era la cosa giusta da fare, strinsi forte quel ciondolo cercando di sentire l’energia residua, ma non percepì nulla, la mia magia era stata prosciugata fino all’ultima goccia. Indossai la collana e decisi che quello sarebbe stato il mio simbolo, un marchio per ricordarmi il mio vero scopo, lo scopo della mia lotta e l’ultima cosa che i miei nemici avessero visto. Io ero Hellen e lo sarei stata ancora una volta per salvare l’equilibrio dei nove regni, per salvare l’Asgarðr e per proteggere e salvare il Miðgarðr.

Avevo deciso che avrei intrapreso una strada a senso unico e avevo scelto di fare quel percorso da sola, eppure sentivo che quello stregone doveva essere una chiave del mio viaggio, ma ancora non sapevo se potessi fidarmi. Il dubbio che potesse essere proprio lui ad aver dato il via alla distruzione della stirpe divina, per quanto ne sapessi, era l’unico particolare che mi tormentava eppure ogni parola che avesse detto e tutto ciò che era stato scritto su di lui faceva trasparire una profonda amicizia tra di noi. Ogni cosa mi spingeva a seguirlo e quindi l’avrei fatto. Io sarei partita, li avrei trovati e li avrei salvati. Cominciai a fare le valigie cercando di lasciare più cose possibili indietro, quella stanza non sarebbe mai stata scoperta da nessuno, ora che avevo di nuovo la mia magia potevo rafforzare l’occultamento con degli incantesimi più potenti e duraturi. Presi le mie armi cerimoniali e qualche freccia di scorta, gli abiti che avevo il giorno della battaglia e qualche vestito umano, prosciugai le carte di credito e presi il tablet dove avevo caricato tutti i testi che ero riuscita a digitalizzare; mi misi al Pc, prima di riporlo nella borsa, e scrissi una mail al rettore per avere sei mesi di sospensione dai corsi. Era tutto pronto, mancava solo una cosa: Luke si meritava una spiegazione, non potevo sparire senza dirgli nulla. Tornai nella stanza dietro la libreria e presi la mia carta da lettere.

 

“Mio Luke,

non posso più restare qui tra quelli come te. In questi due anni ti ho mentito, io non sono quello che credi, anche se avrei voluto, con tutta me stessa, essere quello che ho finto di essere.

Avrei compiuto vent’anni tra undici mesi e li avrei compiuti come una ragazza normale. Una mortale. Da quando la mia famiglia mi ha rivelato cos’ero in realtà non ho avuto che un unico desiderio, quello di vivere lontano da quel palazzo d’oro, volevo vivere sulla terra come una comune mortale, eppure nemmeno in questi due anni da mortale sono stata comune. Essere come voi umani non è il mio destino e ora l’ho capito.

Ti scrivo questa lettera perché non credo che avrei il coraggio di dirtelo di persona e di certo questo viaggio sarà di sola andata, quando tornerai io sarò già andata via e non avrò più il privilegio di rivederti. Nel luogo dove andrò tu non potrai raggiungermi, quindi non provare a cercarmi sarebbe inutile, almeno fino a quando in te scorrerà ancora il soffio vitale.

Non posso più restare e anche se parto a malincuore devo farlo, non posso abbandonare la mia famiglia.

Per sempre tua Sophie.”

 

Scesi con l’ascensore, un’ultima volta con i metodi dei mortali, attraversai col borsone nero sulle spalle e volsi lo sguardo verso il cielo, in quella sera era oscuro come la nube che aveva avvolto la città dorata due anni prima, poi un bagliore proveniente dalle vetrate del mio attico attirò la mia attenzione. Ero scappata giusto in tempo, mi avevano trovato; mi girai e imboccai il vicoletto che avevo alle mie spalle, cominciai a correre più veloce che potevo nascondendomi nelle tenebre e alla fine del vicoletto mi ritrovai nella piazza affollata della città. Cercai di confondermi nella folla e senza neanche farci caso mi ritrovai davanti il palazzo più alto di Atlanta, era l’indirizzo al quale mi aveva mandato Helgi, un edificio in vista che però al suo interno si riuniva gli esseri magici della metropoli.

Quando arrivai davanti a quel grattacielo un vento gelido mi mosse i capelli corvini, lasciati cadere liberi sulla schiena e scoprì il tatuaggio che avevo al centro del percorso della colonna vertebrale, il simbolo dell’Yggdrasillr che avevo sin dalla nascita. Poggiai il borsone sull’asfalto per ammirare la frenesia con cui gli umani conducevano la loro vita, chiusi gli occhi e scrollai le spalle, presi il borsone, me lo portai sulla spalla destra e attraversai la strada avvicinandomi al palazzo protetta dalle tenebre. Entrai nel palazzo lasciandomi indietro il freddo della strada, la sala principale era molto più simile all’Asgarðr che al Miðgarðr e l’energia magica che emanava mi faceva sentire vicina a quel regno così lontano.

Appena fui notata ogni essere magico si fermò a guardare l’energia che emanavo, non ero più abituata a sentire tutti gli sguardi su di me e la percepivo come una cosa fuori luogo, eppure sapevo che non lo era, perché in quel mondo ci si girava a prestare attenzione agli esseri potenti come me, quando attraversavano una stanza come quando ci si inchina ad un reale.

  • Giusto in tempo per l’inizio delle celebrazioni, futuro Sommo custode del sigillo. – si pronunciò lo stregone Helgi mentre scendeva la grande scalinata dell’atrio. Nei miei anni tra gli uomini avevo tralasciato e quasi dimenticato le usanze del mondo occultato, dove ogni cosa doveva essere etichettata e che il tempo veniva scandito dalle leggi del Grande Albero, dalla cui cima gli Dei banchettavano. In quei giorni si poneva fine alla stagione delle razzie e dei viaggi, entrava il gelido inverno e in tempi antichi coloro che volevano diventare guerrieri dovevano affrontare il loro passaggio all’età adulta.
  • La nipote degli Dei caduti si unisce a noi per i festeggiamenti? Credevo che i nobili guerrieri non si unissero mai alla plebaglia caduta in disgrazia, neanche durante le guerre. – disse una voce familiare e divertita alle mie spalle, e poi un dito scivolò sulla mia schiena cadendo sul mio marchio; mi voltai di scatto pronta a proteggere l’unica cosa che era rimasta della sacra famiglia reale e vidi lui che per anni aveva appreso con me gli insegnamenti necessari per poter succedere in forza e saggezza i nostri avi.

I suoi capelli biondi e fluenti, come quelli della madre, Mòdi si parava possente davanti a me e ridacchiava leggendo la sorpresa nei miei occhi mentre i suoi, così glaciali, balenavano di felicità e di qualcosa che non riuscì a decifrare; non sapevo se appendermi a lui in un forte abbraccio, comportarmi come era consono, tirargli uno schiaffo per avermi tenuto lontana dalla guerra o scoppiare in lacrime dato che fino a tre secondi prima lo credevo morto in quell’attacco, allora feci come mi era stato insegnato e con un piccolo inchino salutai il primo figlio d Thor.

  • È un onore rivederti, ma soprattutto mi solleva saperti vivo – mi pronunciai mentre lui ricambiava il mio saluto, fu allora che notai gli sguardi attoniti dei presenti e il brusio che lentamente si alzava e si faceva sentire. Mòdi mi fece segno di seguirlo verso la scalinata dandomi le spalle e cercando di nascondere sotto la manica una cicatrice che aveva dietro il tricipite, mi condusse in una stanza in cima a quella gradinata. Eravamo da soli e allo stesso tempo non lo eravamo, qualcuno era con noi e allo stesso tempo non c’era.
  • Loro sono qui, giusto? – chiesi girando su me stessa e guardando il soffitto della stanza come se stessi cercando un simbolo magico; sentivo la loro energia in ogni angolo di quella stanza, ma loro non c’erano.
  • Stanno morendo, lo sai vero? – si pronunciò Mòdi poggiandosi con la schiena sulla porta che aveva chiuso alle sue spalle, incrociò le braccia e i suoi muscoli si gonfiarono rendendo quella maglia bianca ancora più aderente di quanto non fosse.
  • Lo immaginavo. Ma non credevo che fosse già così grave la faccenda. – dissi rivolgendogli le spalle per non guardarlo.
  • Sono passati due anni, come potevi pensare che sarebbero sopravvissuti se la loro energia vitale viene assorbita dalla magia oscura che ci ha attaccato quel giorno. – disse con tono distaccato, quasi come se non gli importasse. – Comunque, se proprio vuoi saperlo sono stati mandati da qualche parte, in un posto che quello stregone reputa sicuro, non mi ha voluto rivelare il luogo.
  • Perché tu sei ancora in forze?

Sentivo il suo sguardo che cercava di trapassarmi il centro della schiena, allora mi voltai curiosa di sapere cosa avesse da dire ma lui non fece altro che alzare le spalle con un’espressione indifferente.

 

***

 

I quattro giorni di festeggiamenti non furono molto diversi da quelli che vivevamo nella terra dorata, gli esseri mortali del mondo sovrannaturale non erano altro che una versione degli Dei con il solo problema di essere meno resistenti all’alcool. Il loro modo di festeggiare era esattamente come il nostro, ma con meno fulmini e più urla, e al termine di quei festeggiamenti non rimase altro che un palazzo vuoto inondato di sporcizia, ma tanto la magia avrebbe risolto tutto.

Il primo giorno dopo la fine delle Notti d’inverno Helgi volle vedermi in quello che sembrava essere il suo studio e mi raccontò del suo passato e del mio futuro.

  • Io ho visto ciò che accadrà se il Supremo non combatterà. Per come sono messi gli animi ora il nemico sta conquistando uno alla volta i nove regni, che sono rimasti senza protezione quando Asgarðr è caduta, e la terra sarà l’ultima a cadere. Cosa il nemico stia cercando è abbastanza chiaro, l’oscurità brama la vita dell’unico essere che possa fermare tutto ciò, cerca te Hellen e lo so perché in parte io l’ho già vissuto, e se sono qui a parlare con te vuol dire che la storia si sta ripetendo come l’ho vissuta.

La prima volta che ci siamo incontrati, venisti da me reduce da una lunga traversata in mezzo alla neve, avevi freddo ma eri certa che la tua causa fosse giusta e oggi lo credo anche io. Tu sei la salvezza di questo regno e degli altri, solo il tuo potere può fermare l’avanzamento del nemico, che tu lo voglia o no.

Non mi sentivo pronta per affrontare quella responsabilità e per una volta avrei ceduto volentieri e miei compiti a chi li desiderava da sempre, Mòdi, quel ragazzo avido di potere che stranamente era ancora in forze.

  • Prima che tu possa fidarti di me devo mostrarti una cosa, che sinceramente per me è fonte di grande imbarazzo e non ti biasimerò se dopo ciò metterai in dubbio la mia fedeltà a te e la tua famiglia, ma allo stesso tempo spero che la tua idea su di me non muti e che questa situazione ci possa unire maggiormente.

Uno dei nostri nemici è mio padre. Lui è il sovrano dei demoni. – i suoi occhi diventarono quelli di un felino, le mani cominciarono a tremare e una strana nebbia colorata cominciò a circondargli le dita, prese un respiro profondo e si calmò per poi continuare. – Voglio farti vedere chi è, come agisce il nostro nemico e perché voglio annientarlo una volta per tutte.

Non credevo che fosse necessario sapere chi era il padre di quello stregone, la famiglia non definisce chi siamo, per questo cercai di persuaderlo dal praticare un incantesimo così pericoloso come quello della memoria, ma lui non sembrava intenzionato a tirarsi indietro. Helgi con un movimento veloce della mano ci materializzò su una montagna, davanti una vecchia baita isolata nella quale entrammo; mi raccontò che quella baita, durante i tempi d’oro della magia sulla terra, era l’entrata per una città incantata, una città abitata da monaci mutaforma dal quale lui stesso aveva appreso parte delle arti magiche che conosceva, ma la guerra che aveva distrutto la famiglia Charter feci sì che la chiave andasse perduta e lui rimase chiuso fuori e caricandosi del fardello di custode dell’entrata, anche se non si poteva più né entrare né uscire.

  • Non userò l’incantesimo della memoria, non sono un folle. Tu hai un dono che ti insegnerò ad usare, esso ti permette di scavare nella memoria del soggetto che entra in contatto con la tua energia magica, è molto simile alla tua telepatia, ma ti permette di entrare molto più nel profondo. Oggi, in questo momento, comincia la tua prima lezione per farti diventare ciò che sei destinata ad essere, l’essere che tutti nella storia chiamano Supremo.

Quel discorso così pomposo e altisonante sembrava più destinato a farmi paura che a convincermi, eppure l’unica cosa che riuscì a dire fu:

  • Ma se non esiste una chiave, allora perché credi che ci sia ancora un’entrata?
  • Non è questo che fa la magia? – mi chiese a sua volta mentre accendeva le candele sparse nella stanza per fare luce, poi si fermò e guardò un punto fisso nel vuoto come se potesse vedere la bellezza di quel vecchio monastero perduto.

Io lo guardavo cercando di capire cosa volesse dire con la sua domanda, eppure dovetti meravigliarmi quando mi resi conto di essere solo più confusa di prima. Mi avevano insegnato che la magia aveva il solo compito di aiutare la mia razza a dominare i nove mondi, noi possedevamo la magia perché eravamo più potenti e ciò era giusto. Vedendomi perplessa il Sommo stregone si sedette e mi fece cenno di fare altrettanto, mi prese le mani connettendosi con la mia energia e io con la sua, fu nell’istante in cui le due energie si fusero che compresi cosa volesse dire Helgi, solo allora compresi la vera essenza della magia. Vidi il bene che Helgi aveva fatto grazie alle sue doti, assaporai la felicità di sentirsi liberi in un nome odiato e lessi soluzioni a domande senza risposta.

  • Riesci a vederlo, vero? Bene, questo è il tuo dono. Quelli sono i miei ricordi, tu dovrai imparare a scavare con gentilezza, all’interno dell’energia magica la quale conserva ogni emozione vissuta, ogni ricordo, ogni cosa. Ora prova a far entrare le nostre energie in contatto.

Gli presi la mano e chiusi gli occhi, avevo timore di non riuscire a sprigionare nuovamente la mia vera essenza, avevo paura che gli anni da umana mi avessero indebolito, avevo paura di non essere in grado di salvare chi amavo, ma dovevo provare allora svuotai la mente dalle paure che l’affollavano, respirai profondamente e cercai la forte energia che mi aveva toccato prima. Non fu difficile trovarla, l’avevo già sentita chiaramente negli attimi precedenti, ma per quanto cercassi di scacciare le mie paure non riuscivo ad afferrarla, più correvo verso quel bagliore caldo più quello si allontanava.

Sapevo perfettamente, che l’unico modo per riuscire ad arrivare all’energia vitale della magia di Helgi era quello di affrontare le paure che mi bloccavano e mi tiravano giù come una palla di ferro agganciata al piede, le paure che ogni giorno mi avevano impedito di vedere la verità che avevo tenuta poggiata, per tutto il tempo, sulla libreria. Cominciai a correre più veloce che potevo, non avevo alcuna intenzione di mollare e proprio in quel preciso istante qualcosa di caldo e accogliente mi sfiorò la mano; ero riuscita a raggiungere il centro del suo flusso magico, il fulcro della memoria incantata, il nucleo che tutto ricorda.

Mi ritrovai in una stanza al cui interno dominava il rosso, a primo impatto sembrava una domus romana ma osservando meglio mi resi conto che era una tenda, in realtà era la tenda di un accampamento romano nei territori del confine nord della Gallia, dell’espansione augustea. Mi guardai intorno e vidi un ragazzino dai capelli corvini, con gli occhi gialli di un ghepardo, gli occhi di un demone e quel bambino, come Helgi aveva delle piccole venature azzurre che spiccavano; quel bambino era Helgi, un bambino con gli occhi ricolmi di odio che guardavano un corpo senza vita sul letto al centro della stanza, quel bambino paralizzato per via dello shock stringeva con foga la mano di quel cadavere. Una scena atroce e in quel vortice di magia mi sembrava, quasi, di poter sentire il dolore e l’odio che il piccolo Helgi provava.

  • Io sono tuo padre e lei voleva portarti via da ciò che è il mio volere, il tuo destino. – disse l’uomo alle sue spalle. Il volto dai tratti eleganti e composti nascondeva la vera crudeltà di quell’essere. Lui era Kalf, il demone più crudele della storia, ricordo che Loki durante le nostre lezioni mi aveva messo in guardia dalla crudeltà di quel demone e dell’odio che provava verso la nostra razza, che lo aveva bandito dal Valhalla.

Inizialmente avevo creduto di vedere un bambino spaventato davanti il capezzale della madre, ma quando incontrai gli occhi del piccolo Helgi e lo vidi sprigionare tutti quell’odio per quell’uomo che si professava essere suo padre capì che quello stregone non era mai stato un bimbo indifeso.

  • Perché lo avete fatto? – gridò con le lacrime agli occhi e la voce straziata dal dolore, Kalf non rispose subito. Il demone si avvicinò prima al cadavere di quella donna che l’aveva amato, le prese la mano e le strappò un anello con uno zaffiro incastonato, avevo visto già quell’anello su Helgi e avevo notato che spesso se lo rigirava tra le dita.
  • Per renderti forte. L’amore di questa donna ti indebolisce figlio mio, tu sei l’erede del grande regno demoniaco e non puoi permetterti le debolezze umane. – disse poi accennando una specie di sorriso compiaciuto, ma a quel punto Helgi non riuscì più a trattenere la forza della sua magia e sprigionò un’energia potentissima, mosso dal turbinio incessante delle sue emozioni, contro quell’abominio magico che si professava essere suo padre. In quell’istante fui tentata di staccare la connessione, credevo di aver capito il motivo per il quale avrei dovuto stare in guardia dalla sua “famiglia”, ma uno strano istinto, sembrava curiosità, eppure era più forte, mi spinse a non lasciare la stretta.

Il pavimento scomparve e precipitai verso il vuoto, quando atterrai mi ritrovai in un’ampia sala e davanti a me Helgi, stava usando la sua magia su di un elfo, lo torturava come un sadico tortura i suoi prigionieri di guerra. Alle spalle dello stregone c’era seduto il sovrano delle orde demoniache che rideva di gusto, come se quella scena fosse uno spettacolo privato a cui applaudire; non potevo conciliare l’immagine dell’uomo che avevo incontrato nei giorni precedenti con quella che mi si parava davanti. L’uomo che avevo di fronte a me era meschino, il suo corpo sprigionava odio e i suoi occhi gialli come quelli di suo padre, si era lasciato avvolgere dei sentimenti oscuri che erano nati con la morte della madre e che suo padre aveva sfruttato per oscurare e potenziare la sua energia magica. Non erano la stessa persona, era come se quell’adolescente provenisse da un’altra vita, come se fosse un suo alter ego o un suo gemello cattivo.

La stanza era invasa dall’odore dello zolfo e del sangue, i tendaggi rossi ricamati d’oro oscuravano l’ambiente, le carcasse sbranate dai segugi infernale sparse qua e là sul pavimento, i bauli d’oro e le armi rubate ai caduti erano sparse per tutta la sala come bottini di guerra; la scena si acquetò quando le urla di quell’elfo si calmarono, fu allora che distolsi lo sguardo dalle azioni di Helgi e mi precipitai verso quell’elegante essere che ormai giaceva moribondo ai piedi dei due demoni, ma quando Kalf uscì, il figlio si inginocchiò accanto alla testa dell’elfo.

  • Mi dispiace tanto, giuro che il piano funzionerà, ci libereremo di lui. Riusciremo a fuggire e a liberare il tuo popolo, principe. – sussurrò all’orecchio della creatura, mentre gli guariva le ferite più gravi e lo riportava nella sua cella.

E poi ciò che mi circondava cambiò ancora, ero fuori da quel palazzo che andava a fuoco e Helgi conduceva fuori i prigionieri indirizzandoli verso il bosco, dove qualcuno li attendeva. Una via di fuga da quella prigione e dalle torture a cui erano stati sottoposti.

  • Grazie Helgi, so quanto ti è costato tutto ciò. – disse lo stesso elfo che avevo visto prima sotto le torture dello stregone, lui gli sussurrò qualcosa all’orecchio e poi gli intimò di fuggire, nel mentre il fumo dell’incendio mi avvolse e quando si diradò ero al giorno dell’incontro tra gli Dei e lo stregone. Il giorno che in un passato remoto gli avrei preannunciato, Helgi non era affatto sorpreso di vedere lì il padre che, come un avvoltoio, era alla ricerca di magia e prigionieri da prelevare; era scomposto, trasandato e sembrava indebolito, visto da lontano in quelle condizioni sembrava un demone di bassa lega e avresti dubitato che fosse un alleato a cui chiedere soccorso durante una guerra, ma Helgi sembrava terribilmente teso, come se avesse visto un fantasma. Uno davanti all’altro, con a torno i cadaveri delle Valkyrie cadute durante lo scontro con le orde demoniache di Kalf, i due erano divisi solo da un corpo ansimante che tentava di estrarsi dal fianco una lama che Kalf spingeva cercando di trapassare la sua vittima, che lentamente moriva. Mentre quei due si fissavano e sfidavano tramite un linguaggio muto fatto di sguardi, Loki lentamente trapassava.
  • Perché tenti di salvare questi tiranni, figlio mio?
  • Osate ancora professarvi mio padre? Voi che avete sterminato ogni mio affetto, voi che avete trucidato la donna che vi amava! Voi che avete ucciso mia madre e che avete costretto me ad essere come voi! In più osate farvi beffa di coloro che tento di salvare chiamandoli tiranni, solo perché hanno bandito quelli come voi in questa terra che non vede mai la luce del giorno, usate questa parola con tanta leggerezza dimenticandovi di tutte le vostre azioni che vi rendono peggiore di qualsiasi sovrano oppressivo…

Kalf non attese la fine delle parole del figlio per attaccare, quell’uomo spietato voleva farla finita immediatamente con quella guerra appena iniziata, ma Helgi non gliel’avrebbe permesso. Lui sapeva che il padre avrebbe giocato sporco, l’impressione iniziale di confusione non era altro che un’esca per far credere al nemico di essere in vantaggio, eppure Kalf era davvero in vantaggio, nel momento in cui Helgi scatenò l’incantesimo d’incatenamento preparato prima dell’arrivo del padre, quest’ultimo sparì portando con sé Loki. Portando con sé un pezzo di me, un’arma pronta ad esplodere o anche un traditore, per come la si poteva vedere. Ogni parola e azione che Kalf aveva compiuto rappresentava tutto ciò che odiavo di più in quel mondo. La voglia di rompere il contatto alla prima immagine, al primo ricordo era stata forte, eppure quella spinta a voler sapere chi era davvero l’uomo che avevo di fronte mi aveva fatto resistere a quell’orrore, a quei massacri continui a cui aveva assistito Helgi.

Non ricordo precisamente il momento esatto in cui sono tornata con la mente nel mio corpo fisico, in quella stanza su quella montagna, credevo d’aver avuto un mancamento durante l’ultimo ricordo, perché quando aprì gli occhi mi ritrovai stesa sul pavimento di legno ed Helgi era sulla porta ad ammirare la neve che cominciava ad attecchire al suolo; mi misi seduta e trovai al mio fianco un vassoio con dell’acqua, ne presi un bicchiere per tentare di sciogliere quel nodo che mi si era formato in gola. La crudeltà di quell’essere mi aveva fatto raggelare il sangue e non riuscivo a credere in che modo avrei trovato la forza necessaria per affrontarlo.

  • Quanto tempo credi sia passato? – mi chiese Helgi. Non si voltò nemmeno per accertarsi che fossi davvero sveglia, guardai fuori dalla finestra, nella direzione in cui guardava lui, e osservai il cambiamento che aveva subito il tempo, il freddo che improvvisamente aveva invaso l’aria e la neve che già attecchiva.
  • Giorni? – chiesi con la voce che faceva fatica ad uscire.
  • Questo cambiamento climatico è opera dell’energia sprigionata da te, è questa la ragione per la quale ti ho portato qui, in questo luogo lontano da tutto, dove non puoi essere rintracciata da chi percepisce le scie magiche. Qui all’entrata del vecchio monastero segreto, un posto che non può essere trovato, mai.

Ero stata io, avevo fatto nevicare e la neve già attecchiva su di una montagna isolata dal mondo, dove probabilmente la neve neanche cadeva di solito e tutto era avvenuto in pochi secondi. Erano bastati pochi secondi, ad un’energia incontrollata, per modificare la natura, l’equilibrio della natura, e questo implicava anche un dispendio di energie per il poco controllo. Ci volle un attimo per farmi comprendere cosa intendeva il Sommo stregone quando mi aveva offerto il suo aiuto; la mia magia era cresciuta, mutata e io non ero capace di controllarla nel suo stato più puro. Lui aveva ragione, io avevo bisogno del suo aiuto, avevo bisogno che lui mi insegnasse. Sì, avevo bisogno che diventasse la persona di cui fidarmi, il mio consigliere, il mio braccio destro e il mio fidato complice, se necessario; per diventare più forte e controllata avevo bisogno del suo aiuto e non importava chi fosse suo padre, o chi fosse stato in passato, quali atroci torture avesse commesso per uno scopo più alto, io dovevo fidarmi di lui. Lui non era suo padre, Helgi era migliore.

7

Un luogo sicuro

In fondo al cuore avevo sempre saputo che prima o poi sarei dovuta tornare a combattere, anche quando facevo finta di essere umana e di aver dimenticato da dove venivo, avevo sempre sentito dentro di me una voce che mi chiamava insistente, come se fossi ancora in mezzo alla calca dell’attacco. Quella era ma mia razza, la mia famiglia e non potevo far finta di non ricordare la notte che ci aveva quasi distrutto, ma non avevo alcuna idea di cosa avrei dovuto fare, non sapevo cosa mi aspettasse o chi mi aspettasse.

Tornammo al grande palazzo con la fine della bufera che avevo scatenato. Non restammo a lungo, prendemmo solo le nostre valigie e il Dio che avevamo lasciato lì, Mòdi sarebbe venuto con noi, mi avrebbe aiutato nei sei mesi di addestramento in assoluto isolamento su quella baita irraggiungibile, lì dove nessuno avrebbe potuto rintracciarci, neanche un demone come Kalf. Mi sarei dovuta allenare ad annullare le mie tracce di magia, avrei dovuto imparare a conoscere le mie nuove doti e a dominarle, avrei praticamente cominciato da zero come la prima volta, ma avrei dovuto farlo in molto meno tempo; Mòdi sarebbe stato utile invece per il combattimento, essendo portato per le battaglie come il padre Thor.

  • Una volta pronta, partiremo verso il luogo dove troverai le risposte che cerchi. – disse Helgi mentre ci dirigevamo al portale che ci avrebbe condotto alla baita.

Partimmo e quella fu l’ultima volta che tornammo in quel palazzo, qualche giorno dopo Mòdi, di ritorno da un giro di ricognizione, ci riferì che il grattacielo era stato perquisito dall’esercito nemico nel lasso di tempo in cui eravamo mancati. Ci cercavano e si avvicinavano sempre di più, Helgi però credeva davvero che in quel pizzo sperduto del mondo fossimo al sicuro, e a dirla sinceramente non so neanche in che parte del mondo fossimo.

I miei allenamenti cominciarono il giorno dopo il nostro arrivo, di giorno mi allenavo con Mòdi nel combattimento, quando non era di ronda, e la sera mi occupavo della magia legata alla natura, per poi passare ai livelli più avanzati nei mesi successivi; nelle prime settimane fu davvero difficile allenarmi col figlio di Thor, avevo dimenticato come accedere alla mia forza divina, o forse semplicemente mi rifiutavo di ricordarlo, e poi di quel particolare Dio non mi fidavo più da tempo ormai. Qualche mese prima della nostra disfatta tentò di distruggere un’anima del Valhalla, in passato si era mostrato così avido di potere e desideroso di sostituirsi al padre che, in alcuni momenti, durante la nostra vita nella terra dorata, avevo avuto il timore che potesse attentare alla vita dei suoi avi per prendere il potere che voleva e con lo scoppio della guerra mi ero più volte domandata se non fosse stato proprio lui a tradirci, comunicando la nostra vulnerabilità al nemico.

In quei due anni non avevo smesso di allenarmi, ma scontrarmi con lui era sicuramente differente e più faticoso rispetto ad un semplice manichino in legno che non può reagire, ero agile e ingegnosa nel complesso, ma non ero più abituata a stare in guardia, i miei riflessi, le mie reazioni e il mio corpo erano molto più lenti rispetto al passato. Di una cosa potei rendermi subito conto, negli occhi del mio compagno d’allenamento c’era un bagliore di odio, quando lo feci notare ad Helgi lui mi rispose che aveva passato gli ultimi due anni con quel ragazzo ed era certo che quel sentimento fosse verso il nostro nemico, eppure ebbi la sensazione che potesse mentire, ma lasciai correre e mi convinsi che fosse come diceva lo stregone; ogni giorno incrociavo la lama con quel ragazzo biondo e fissavo i suoi occhi glaciali traboccanti di quell’oscuro sentimento, che lui riportava ferocemente nel suo modo di combattere e che gli permise, nelle prime settimane, di sopraffarmi.

  • Ti sei indebolita. – mi disse dopo uno dei primi allenamenti, mentre Helgi meditava all’interno della baita. A quelle parole sorrisi senza dire nulla, consapevole di quanto fossero vere, in fondo avevo vissuto tra gli umani per molto, ma come per la bici ricordavo ancora bene come si combatteva e non fu difficile riprendere le vecchie abitudini.

Quella mattina rimasi a fissare Mòdi mentre sistemava le armi e i ricordi mi avvolsero completamente. I miei primi giorni nell’Ásgarðr erano stati pieni di domande che non ricevevano risposte, domande alle quali solo il tempo rispose, ma c’era quel ragazzo biondo dagli occhi di ghiaccio e sempre in cerca di risse; Mòdi si cacciava spesso nei guai e proprio uno di quei guai lo portò da me per la prima volta. Era il terzo giorno dopo la mia ascesa al mondo etereo, quando nel cuore della notte suonarono gli allarmi, qualcuno si era allontanato verso il grande cancello dopo il coprifuoco e per giunta senza l’autorizzazione, o almeno era quello che credevo. La verità è che Mòdi aveva usato il Bilröst di nascosto quella mattina ed era riuscito a ritornare solo in quel momento, nel cuore della notte, mentre le sentinelle controllavano il perimetro; il suo piano era quello di rientrare al palazzo durante il cambio della guardia ma gli allarmi si erano attivati nel momento in cui il Bilröst sii era aperto, dato che dal mio arrivo la sicurezza era stata intensificata per motivi ben noti a tutti gli abitanti della terra degli Asi.

Non osai muovermi dalle mie stanze, in quel periodo mi sentivo un essere umano in un mondo di giganti, allora osservai le guardie correre verso il cancello restando immobile dietro la mia finestra, che affacciava sul grande viale mentre Mòdi entrava dalla finestra dalla quale si potevano scorgere le immense porte del Valhalla.

  • Se mi beccano anche stavolta nostro padre mi uccide. – disse mentre richiudeva la finestra, ma quando si voltò e mi vide impietrita davanti a lui si rese conto di aver sbagliato stanza.
  • E tu chi diavolo sei? – mi chiese, facendosi spuntare un sorrisetto malizioso.
  • Io sono Helen, mi hanno portato qui il giorno del mio diciottesimo compleanno. Hanno detto che mia madre e la figlia di Loki.

Alle mie parole il suo sorriso malizioso si trasforma in qualcosa che non sono mai riuscito a decifrare e nei suoi occhi balenò un lampo di curiosità verso di me, spostò le sue armi sul tavolino di fianco la finestra e poi si sedette sul letto, mi disse di non aver paura di lui, che non era necessario chiamare le guardie dato che era “solo” il figlio di Thor e mi raccontò perché fosse nei guai. Quella sera disse che la mattina era scappato tre mortali, ma oggi so che era solo una menzogna. Ora so che ogni sua parola era una menzogna.

Quella sera mi sedetti accanto a lui e parliamo per tutta la notte, gli racconti di Max il ragazzo, che nel Miðgarðr, avevo cominciato a frequentare e che non sapevo se avrei mai più rivisto, gli raccontai della mia infanzia e delle cose strane che mi erano sempre capitate, gli raccontai molte cose di me, della mia vita, poi però verso le prime luci dell’alba mi addormentai sulla sua spalla. In quel momento mentre io cominciavo a credere di aver trovato il mio primo amico, lui si innamorava di un fragile essere umano; in quel momento uno dei più grandi guerrieri dell’Ásgarðr prendeva consapevolezza di non essere diverso dalle altre divinità, in quel momento Mòdi sapeva di avere un punto debole. Fu allora che si diede inizio alla fine di tutto.

Nei giorni seguenti Loki mi mostrò come sarebbe diventata la mia vita e mi presento il mio compagno d’addestramento: proprio quel ragazzo biondo che era sempre in caccia di guai, Mòdi. Anche quella volta addistrarmi con lui non fu facile, ma la prima volta le difficoltà erano scaturite dal fatto che non conoscevo le basi e non sapevo dove trovarle, eppure col passare dei mesi divenne sempre più semplice o semplicemente fu io che divenne più forte; di giorno apprendevo tutto ciò che ritenevano necessario e di notte Mòdi entrava da quella finestra e si innamorava sempre di più, io ogni notte vedevo quel sentimento crescere nei suoi occhi e poi un giorno il palazzo fu assaltato da un gruppo di Svartàlfar[1] ribelli che non volevano sottostare alle regole dei trattati di pace stipulati dopo la fine della guerra tra razze, quando Odhinn assunse il controllo di tutti i nove regni. Nella sala principale scoppiò il caos e io ancora non ero in grado di fronteggiare un simile attacco, cedendo così alle debolezze umane della paura e svenni per un colpo alla testa; non so’ per quanto tempo restai incosciente, l’unica cosa certa è che quando mi risvegliai lui era seduto alla mia scrivania a lucidare la sua spada.

  • La testa, ti hanno colpito la testa quindi alzati con cautela. – disse senza voltarsi quando sentì i miei versi di dolore. Rinfoderò la spada e si avvicinò al letto, quando fu vicino si sedette al mio fianco e mi cambia il bendaggio, fu in quell’istante che accade. Fu in quell’istante che chiedi il via alla fine. Lo baciai, mentre mi cambiavo il bendaggio e lui per un secondo si ritirò indietro, mi guardò negli occhi scrutandomi, ma lo voleva probabilmente più di me, allora lasciò cadere le bende sporche che stava mettendo a posto e mi sposto i capelli che coprivano il lato destro del mio viso e poi cedette all’istinto di riprendere quel bacio che aveva interrotto. Dopo aver cominciato a baciarci non riuscimmo più a fermarci, le sue mani sul mio corpo che delicatamente mi spigliavano e i suoi baci che mi creavano una sorta di dipendenza sono tutto ciò che ricordo di quella notte. Lui era sopra di me che mi guardava e mi toccava come nessuno aveva mai fatto, poi lo sentì entrare e afferrare il mio bacino, faceva male ma era uno di quei dolori a cui non pensi come a qualcosa di doloroso, perché per quanto facesse male era allo stesso tempo estremamente piacevole, mi tirava a sé e si spingeva sempre più dentro di me. In quel momento dimenticai tutto ciò che ci circondava, riuscivo a pensare solo al mio piacere in quell’istante, e non mi preoccupai neanche di sapere come stessero tutti gli altri, ma con la consapevolezza che non provavo ciò che invece Mòdi provava per me.

In quella notte conobbi per la prima volta il mio dono, il mio occhio sul futuro, ma ancora non riuscivo a vedere delle immagini chiare. Mentre lui era dentro di me dei flash confusi di un ragazzo, una città di un passato distante dal mio presente e poi un lampo, quel giorno non ci feci caso e per molto tempo dimenticai di averlo visto. Quella notte non parlammo e lui sgattaiolò nelle sue stanze prima che suo padre lo cominciasse a cercare, io cominciai a prepararmi molto presto e mi presentai all’udienza con Loki prima di colazione, dove mi fu comunicato che da quel momento in poi mi avrebbe addestrato Odhinn di persona; erano passati tre mesi e mezzo da quando avevo cominciato l’addestramento e mancavano circa sei anni all’inizio della fine, ma lentamente tutto stava cominciando. Noi tutti eravamo ignari di ciò che sarebbe accaduto, o almeno così credevo.

Odhinn mi mostrò lo splendore della vita e della morte dei guerrieri, mi mostrò come quelli nati come me potevano vivere nel Miðgarðr e come erano vissuti i grandi guerrieri, poi quando fui abbastanza forte per cimentarmi in determinati incantesimi, a due anni dalla fine di tutto, mi portò alle porte del Valhalla. Due grandi ante dorate, incise di rune protettive, si ergevano possenti davanti ai miei occhi; ero al centro di ogni regno, a metà tra la vita e la morte, e quando Heimdallr aprì il passaggio ero ancora intenta nell’ammirare la maestosità di quelle porte, mi sentivo pietrificata dinanzi la magnificenza di quel luogo per muovermi e il Grande Padre dovette quasi strattonarmi per farmi varcare la soglia del paradiso dei guerrieri. Quel giorno, dopo essere entrati in quel magnifico posto, Odhinn mi comunicò che tra quei guerrieri dimorava colui che secondo Il Veggente avrebbe vissuto nella gloria divina e nelle grazie di un mezzosangue potente, il Dio si riferiva a me e lo capì dal suo sguardo schivo e impaurito. Chissà cosa avrà visto di così orribile. Pensai mentre lo osservavo puntare il suo occhio verso qualcosa che io non riuscivo a vedere.

Cominciai a trascorrere sempre più tempo tra gli uomini che avevano vissuto grandi imprese e presto notai che in un angolo isolato, un giovane se ne stava in disparte da tutto, era sempre seduto su di un promontorio fuori dalla sala e volgeva lo sguardo nel vuoto. Aveva gli occhi come il cielo e capelli castani avvolti in tre piccole trecce che li tenevano ordinati; la prima volta che incrociai i suoi occhi fu come levitare tra le nuvole di un cielo limpido, e mentre lo guardavo mi resi conto che quando mi mise a fuoco la sua espressione cambiò. Mi sorrideva come si sorride ad un’amate e allo stesso tempo il suo sguardo fu avvolto da un velo di nostalgia, come se avesse appena ricordato qualcosa di molto lontano da lui. Il primo figlio di Ragnar Loðbròk non si mosse dal promontorio sul quale era seduto, ma quando mi avvicinai lui non sembrò infastidito della mia presenza; lui era Ívarr Ragnarsson, il più sanguinario tra i figli del grande re, nei suoi anni di vita aveva avuto la reputazione di essere senza cuore e non essere mai stato capace di provare amore. Vivendo con gli Dei ho scoperto che spesso i racconti sono avvolti da menzogne e che la storia del figlio di Ragnar non era proprio del tutto veritiera, lui mi raccontò di una donna che aveva amato e del fatto che non aveva potuto averla che una sola volta grazie alla magia della Dea Freyja, ma che mai aveva osato sposare e che l’aveva “ceduta” al fratello per proteggerla; quando parlava di lei non riusciva mai a guardarmi negli occhi, come se le ricordassi proprio quella donna, ma un giorno quando arrivai non lo trovai solo e nella sua mente vidi una donna, era la donna dei suoi racconti, fu allora che capì perché non mi guardava mai.

Insieme ad Odhinn e a quello che era stato il re Ragnar imparai le arti del combattimento umano, un combattimento in cui l’uso della mia magia era proibito.

  • Ma come fanno gli uomini a vincere combattendo in questo modo? – mi lamentai con Odhinn durante l’allenamento.
  • Tutti gli uomini combattono alla pari, nessuno di loro possiede la magia. O almeno nessuno degli uomini che ho ucciso io ragazzina. – rispose Ragnar alle mie lamentele, ma quasi non udì le sue parole vedendo i suoi figli arrivare. Ognuno di loro aveva negli occhi lo stesso velo di nostalgia che avevo visto in Ívarr la prima volta, le loro menti blindate dalla magia come se sapessero che potevo insinuarmi nei loro ricordi.
  • Padre allora è davvero lei? – disse uno di loro, non sapevo chi fosse ma sicuro lui sapeva chi fossi io. Odhinn mi congedò dall’allenamento e raggiunsi il promontorio dove ero solita incontrarmi con Ívarr, quel giorno lui mi raccontò che quando era vivo soffriva di una malattia rara, e che nel periodo in cui viveva non era capita; nel IX secolo ogni malattia o malformazione veniva vista come una maledizione da parte degli Dei, ma lui ne fece la sua forza. Lo chiamavano “il senz’ossa”, sottovalutandolo e pagando quell’errore nel tempo, errore che fece anche lui quando incontrò quella donna.
  • Synnøve, era questo il suo nome, ma ne aveva molti in verità. Sottovalutai ciò che poteva fare l’amore di una donna e questa fu la mia rovina, eppure rifarei ogni cosa nello stesso modo. – disse girandosi verso di me, mi alzai, mi avvicinai lentamente a lui e prima di parlare gli poggiai una mano sulla spalla.
  • Lo sai che posso insinuarmi nella mente di tutti? – lo guardai cercando una risposta nei suoi occhi.
  • Certo che lo so, potevi farlo anche quando ti ho amato. Non serve che me lo ricordi, anzi quando ero vivo eri molto più brava e potente. – sogghignò fissandomi intensamente. Da quel giorno non mi raccontò più del suo passato, smise di dire qualsiasi cosa impedendomi di andare oltre e di conoscere cose che non potevo conoscere, eppure ci amavamo intensamente e Mòdi lo sapeva; un giorno durante i miei allenamenti con i figli di Ragnar, si presentò nella radura dove ci vedevamo ogni giorno, stavamo mangiando e bevendo seduti sull’erba con il cielo del tardo pomeriggio d’estate, sembravamo davvero vecchi amici. Il figlio di Thor era accecato dalla gelosia, lui sapeva chi erano le persone che mi circondavano e per tutto il tempo aveva sperato che mai venissi a sapere di loro; quel giorno i due guerrieri incrociarono le lame in una stupida e insulsa lotta che avrei tanto voluto fermare.
  • Non puoi fermarli, ne va del loro onore. – mi disse Sigurðr afferrandomi per il braccio. Mi impedì di andare e io quel giorno lo guardai morire.

Mòdi lo distrusse, con la sua magia, andando contro le regole del combattimento, disintegrò ogni frammento della sua anima e né io né i suoi fratelli potemmo fare nulla per salvarlo. Nel momento in cui il Dio lanciò l’incantesimo un urlo squarciò la radura del Valhalla e Ívarr con le sue ultime forze si girò a guardare i miei occhi accennando un sorriso prima di sparire, quando lui scomparve la mia vista si oscurò con l’odio, ma i suoi fratelli mi trattennero. Potevo vedere nella loro mente che quella scena l’avevano già vista, era già successo qualcosa di simile e si avvolsero attorno a me per impedirmi di suicidarmi combattendo; nei mesi successivi tentai invano di riportarlo indietro, o anche solo di percepire una traccia della sua anima, ma ogni volta fallivo miseramente.

***

 

Erano passati tre mesi dal nostro arrivo alla baita, quando lo sognai. Sognai il futuro in cui ancora credevo poco. Non so in che momento mi addormentai con precisione, non poteva essere da molto perché sentivo ancora il rumore della spada di Mòdi che trafiggeva tronchi fuori il rifugio, eppure mi ritrovai sospesa tra i regni del nostro dominio, mentre guardavo i grandi e possenti rami dell’Yggdrasillr bruciare per il fuoco nero che nasceva nella terra della morte. Alcuni rami risultavano più bruciati di altri, quello alla cui cima una volta sorgeva il grande e possente Ásgarðr era il più bruciato e morente di tutti, la fiamma più alimentata dell’albero. Eppure, al centro mentre tutto intorno prendeva fuoco c’era un ramo ancora forte e vigoroso, pieno di luce brillava il Miðgarðr che, traboccante di speranza lottava ancora contro quel fuoco nero che cercava di distruggere ogni ramo di quell’albero millenario.

In quel sogno vidi ciò che il mondo stava vivendo, ma non ciò che sarebbe accaduto, il fato per noi non era luminoso come quello del Miðgarðr. Il terzo giorno di quel mese Helgi mi aveva portato nel bosco per testare quanto controllo avevo sulla mia magia, ero riuscita a portare al minimo della percezione il mio flusso di magia, quella tecnica mi permetteva di mimetizzarmi e di non lasciare alcuna scia dietro di me e mentre mi addentravo nel cuore del bosco cercando ciò che Helgi mi aveva detto di trovare, vidi ciò che non dovevo vedere. Mòdi era nel cuore di quel fitto bosco e aspettava impaziente l’arrivo di qualcuno.

  • Sei in ritardo mio caro, lei si rafforza ogni giorno di più e molto presto ritornerà più forte del giorno dell’attacco. Presto sarà capace di attivare il sigillo che ha sulla schiena e di romperlo definitivamente, anche se ancora non sa cosa sia, ma presto ci arriveranno entrambi.

Il suo interlocutore aveva il viso nascosto sotto un cappuccio nero, ma non fu difficile riconoscere quella voce, dopo averla sentita nei ricordi di Helgi, mi era rimasta incisa nella mente.

  • Devi stare calmo caro Mòdi, presto la uccideremo. Lei non è contemplata nel nostro piano, non possiamo permettere che si rafforzi, rischiamo la vita ad ogni suo respiro.

Kalf e Mòdi nello stesso posto, nello stesso bosco a parlare di uccidermi. Ero paralizzata dalla paura di non potermi salvare, ma non gli avrei mai permesso di prendere la mia vita senza fare nulla: presi l’arco, puntai il bersaglio e mi preparai a scoccare la freccia, ma quando la scoccai mi ritrovai nel rifugio. Helgi mi aveva riportato indietro, lui aveva visto tutto e con un incantesimo mi aveva riportato al sicuro; il giorno dopo tornai sul posto e vidi la mia freccia incastrata sull’albero a cui era poggiato il traditore, se lo stregone non mi avesse riportato indietro, lo avrei preso in pieno. Tuttavia, uccidere il figlio di Thor in quel momento non sarebbe stato saggio, perché avrei scatenato una reazione del suo oscuro compagno che ancora non ero pronta ad affrontare.

Helgi sembrava controllato e pacato, ma la sua aura magica appariva quasi in sovraccarico, come se stesse per esplodere, io al contrario non sapevo in che modo reagire, era come se da un lato quel tradimento non fosse una cosa nuova, in fondo avevo sempre sospettato che fosse avido di potere, ma dall’altro mi ero illusa che negli anni vissuti sulla terra la sua bramosia di potere si fosse estinta con la consapevolezza della distruzione della nostra casa, invece tutto quell’odio che aveva sempre mostrato era proprio tutto per me. Quel giorno nel bosco Helgi aveva percepito una flebile energia e aveva riconosciuto la traccia di suo padre, lo aveva seguito annullando la sua aura come aveva insegnato a me, fino a trovarsi ad assistere alla stessa scena ma dalla sua posizione si potevano vedere il viso dell’uomo incappucciato e anche il pugnale che aveva cacciato da sotto il mantello. Era un pugnale d’argento con dei rubini rossi incastonati nell’impugnatura, mentre Helgi lo descriveva vidi un lampo di preoccupazione nei suoi occhi.

  • Quello ha il mio nome inciso sulla lama, non è vero? – chiesi per alleggerirlo di quel fardello e riportando alla mente le parole di Mòdi.

Lui non rispose perché entrambi conoscevamo la risposta e nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, a quel punto fui avvolta da una bolla nella quale mi persi. Una bolla vuota, senza alcun sentimento, era come se non provassi nulla. La mia vera natura lentamente stava venendo fuori, non sapevo cosa fosse quella forza potente che sentivo dentro di me, non riuscivo a capirla eppure sapevo che faceva parte di me; lui aveva tradito tutti e ci aveva spiato per mesi al solo scopo di privarmi dell’unica cosa che mi rimaneva: la vita. Mi aveva portato via tutto. Lo spirito e il corpo di Ívarr erano perduti, non lo avrei più potuto ritrovare e ora voleva anche la mia vita, alzai lo sguardo e guardai il Sommo stregone che armeggiava col suo grimorio delle pozioni e non badava a me, seduta su quello sgabello davanti la finestra.

  • Finalmente! – esclamò – Non riuscivo a trovare la radice di mandragora, se Mòdi tornerà questa pozione ci aiuterà a scoprire cosa sa’.

Ma Mòdi non tornò.

[1] Elfi neri, che vivevano sottoterra, Svartálfaheimr, o nelle foreste oscure.

8

Kattegat

Helgi mi preparò tutto quello che mi occorreva, dei vestiti, le armi e qualche grimorio, poi mi disse che avremmo dovuto lasciare quella baita, che non era più un luogo sicuro e che lui non poteva venire con me, ma nella sacca preparatami avrei trovato una mappa che mi avrebbe condotto dove era giusto che andassi. Prese il pugnale e mi disse di scappare.

  • Presto ci ritroveremo, te lo giuro amica mia. – disse abbracciandomi. Lo guardai intensamente nei suoi occhi gialli e mi presi quell’ultimo frammento di speranza che mi infuse, poi lui aprì uno squarcio e mi diede il pugnale, chiusi gli occhi e fidandomi di lui mi lanciai verso l’ignoto. Dall’atro lato l’aria era gelida e la neve fredda si poggiava sui miei capelli corvini, presi una delle pellicce che lo stregone mi aveva infilato nella sacca e mi coprì per proteggermi dal freddo, camminai fino al villaggio vicino e con un piccolo trucco da dilettanti rubai un cavallo, lo montai e mi diressi verso sud come mi diceva la mappa preparata da Helgi; cavalcai velocemente come se qualcuno mi stesse inseguendo, e appena trovai una locanda per viaggiatori smontai per fermarmi, mentre portavano il cavallo nella stalla mi fermai fuori la taverna ad osservare ciò che c’era intorno, sentendo dentro di me una sorta di tepore, tipo quello che si percepisce quando si è tornati a casa dopo un lungo viaggio.

Entrai nella taverna e presi una stanza per la notte, poi mi sedetti ad un tavolo e aspettai il mio pasto. Ero seduta vicino una delle poche finestre e cercavo di isolare i discorsi dei miei vicini dal resto del caos mentre leggevo un quaderno che mi aveva lasciato Helgi.

  • So che il suo primo figlio guiderà un’altra razzia. Quel ragazzo mi fa paura, ha la pazzia di Loki negli occhi. – quelle parole mi fecero drizzare le antenne, in quel posto conoscevano gli Dei, ricordavo dai miei studi, che in tempi lontani gli uomini ci veneravano e c’era un posto in particolare dove il mio cuore sarebbe voluto andare. Scacciai dai miei pensieri le parole di quell’uomo e ritornai al diario di Helgi, ma lo stregone non mi aveva scritto alcuna istruzione per il mio viaggio, aveva lasciato solo qualche parola nella prima pagina, parole che non era riuscito a dirmi di persona.

 

“Hellen, prima arriverai in Scandinavia, una volta lì segui la mappa che ti porterà in una città dove tutto ti sembrerà più chiaro. Ci incontreremo lì, quello sarà il mio primo ricordo di te. Segui il tuo cuore, non smettere mai di essere umana, non diventare come Loki o il Grande Padre, tu sei diversa da loro, tu sei migliore perché i sentimenti degli uomini ti rendono migliore.

Quando ti sono venuto a riprendere a Londra, mi hai detto che non potevi più essere Hellen e che ti fidavi di me perché non sono come mio padre, ricordati queste parole, se non vuoi più essere Hellen non esserlo, ma fa anche in modo di non essere mai come loro. Addio amica mia, ci si vede il giorno della fine.”

 

Mentre leggevo le sue parole, che mi sembrarono più un addio che un arrivederci, mi fu servita la cena: spezzatino di carne con parate accompagnato da della birra scadente; mentre mangiavo ascoltavo ciò che mi stava attorno capendo che molti di quei viandanti erano commercianti, una minoranza erano guerrieri che volevano unirsi all’esercito di un principe di cui non osavano pronunciare il nome, questo ragazzo era molto temuto ma anche disprezzato, mi fece ridere che lo disprezzassero così tanto e che allo stesso tempo ne cercassero le grazie, riportandomi alla mente ciò che mi raccontava Ívarr nel Valhalla.

La prima sera da sola in quell’avventura, la trascorsi ad osservare la neve cadere al suolo, in quel posto faceva freddo, eppure sentivo costantemente quel lieve tepore, che avevo percepito al mio arrivo, dentro di me, sentivo la potenza della mia stirpe molto vicina, come se da lì a qualche chilometro ci fosse la terra dorata che mi chiamava a gran voce. La neve si poggiava dolcemente sulla strada che mi aveva accolto al mio arrivo, e grazie al suo ballo elegante e delicato mi persi nelle immagini che affollavano i nove regni, il mio sguardo viaggiò oltre la neve, verso il confine del regno umano, lungo il bordo del ponte fino a raggiungere casa: Ásgarðr, il recinto degli Asi; volai attraverso i rami di Yggdrasillr cercando di percepire la sua energia e quella dei suoi rami. Mi persi nelle terre dei giganti e osservai il duro lavoro dei nani, ammirai per tutta la notte quei luoghi che avevo desiderato lasciare per molto tempo e a cui in quel momento avrei voluto ritornare; scesi giù nelle profondità delle terre dello Jötunheimr, la terra dei giganti di fuoco e osservai come vivessero serenamente i miei antenati in quell’arco temporale, le lande della mia terra natia erano in subbuglio dopo il passaggio di una fata e poi tornai su verso il palazzo del Grande Re che affiancato da Heimdallr guardava verso gli uomini distraendosi dal grande banchetto che era stato allestito nel sontuoso palazzo di Odhinn per il ritorno di Thor; mi feci affascinare dalle musiche e dagli svariati brindisi che i presenti fecero, guardai mia nonna Freyja ballare con Sif e ridere come non l’avevo mai vista, vidi Thor brindare con la cerchia dei fedelissimi a nuove e più prospere battaglie e poi mi soffermai sugli occhi di quella fanciulla, che schivi studiavano tutti coloro che le passavano davanti, i capelli corvini rizzati dal vento avevano agganciato una o due foglie e gli abiti stropicciati dal volo erano visibilmente strappati. Avrei potuto riconoscere quella fanciulla fra tante, lei che aveva il cuore oscuro come la morte, ma che non era nata dall’oscurità, l’avevo già incontrata il giorno dell’attacco, era stata lei a ferirmi.

Alle prime luci dell’alba riportai il mio sguardo verso il candido colore della neve, che aveva smesso di cadere dal cielo e aveva lasciato il posto ad una bianca distesa che raffreddava la terra umana, mi mossi da quello che era stato il mio piccolo angolo per tutta la notte e mi avvicinai al caminetto presente in quella stanza, posizionai un tronco e gli diedi fuoco, ma prima osservai attentamente quel fuoco sulla mia mano ricordandomi che quella era la magia della madre di Loki, una madre che mi aveva disprezzata come se le avessi arrecato un’offesa. Mi sedetti sul letto e riposai per qualche ora, giusto quel paio d’ore necessarie per affrontare il viaggio, la sera prima avevo studiato la mappa con attenzione e avevo previsto una mezza giornata di viaggio, dovevo raggiungere la destinazione entro i primi bagliori del pomeriggio se fossi partita per le otto del mattino; quando fu ora di andare rassettai le mie cose, scesi nella locanda, chiesi che mi fosse preparato il mio cavallo e mi fermai a mangiare qualcosa di caldo, presi del pane e due sacche d’acqua per il viaggio e poi partì.

Tenni un’andatura leggera, non avevo alcuna fretta di arrivare e decisi di godermi quel paesaggio imbiancato, ovunque fossi diretta, il viaggio mi regalò una piacevole visione. Attraversai una vallata che apparentemente sembrava una fattoria, c’erano delle case isolate a distanza di pochi chilometri tra loro e dei piccoli futuri uomini giocavano a rincorrersi, con spade di legno, nel grande spazio aperto che avevano a disposizione; quella mattina la neve fresca ricopriva le strade di quel posto così puro e verde, pulito dall’immondizia del tempo moderno. Durante le prime ore del pomeriggio potei intravedere una casa a qualche chilometro di distanza dalla mia destinazione, fuori nel piccolo cortile c’era un uomo che si stava occupando di tenere pulito quello spazio dalla neve che era caduta la notte precedente, riconobbi quell’uomo e fermai il cavallo, smontai e mi avvicinai a lui a piedi.

  • Questa notte ha visto qualcosa, stregone Helgi? – chiesi avvicinandomi a lui.
  • Io non faccio profezie forestiera, se vuoi conoscere la volontà dei tuoi Dei devi raggiungere la città vicina, lì troverai Il Veggente. – mi rispose lo stregone senza neanche alzare lo sguardo da ciò che stava facendo. Restai per un secondo ad osservarlo e poi feci per presentarmi.
  • So chi sei, ti ho vista arrivare Synnøve. – disse prima che potessi parlare. – Quando andrai in città cerca di stare attenta, quelli come noi non sono proprio ben accetti, ora va via.

Mi venne da sorridere per quel suo comportamento, ma non osai dire nulla di più notando la ferita sul braccio. Avevo visto quella ferita nei suoi ricordi, se l’era provocata durante la fuga dal palazzo del padre e la sua mente mi era chiara, mi incamminai verso le porte della città senza montare sul cavallo sapendo che avrei rivisto lo stregone molto presto e domandandomi perché mi avesse chiamata con un altro nome.

La neve caduta la notte precedente era già lurida nel piccolo borgo nel quale mi addentrai, non facendo caso alle grandi porte, e mi feci affascinare dalla frenesia quotidiana di quella città non prestando molta attenzione alle persone che mi circondavano, per questo quando urtai Il Costruttore non mi resi conto di ciò che stava per accadere. Dopo essere entrata in città posai il cavallo alla stalla di una taverna, nella quale pagai una stanza per tutto il mese, poi mi incamminai verso il centro della città per visitarla e capire dove l’Helgi del mio tempo mi avesse mandato; affascinata da ciò che avevo in torno osservavo le strade di quella cittadina, un borgo ricolmo di persone di ogni genere: guerrieri che si sfidavano per divertimento, artigiani che nelle loro botteghe creavano meravigliosi utensili e un mercato che sembrava quasi quello della città dove ero nata, mentre passavo davanti la bottega del fabbro restai affascinata da quell’uomo che lavorava e mi fermai. Il fabbro era chino su un nuovo lavoro per le ultime rifiniture e due giovani, girati di spalle rispetto a me, erano poggiati alla balaustra davanti la bottega attendendo, probabilmente, proprio quel lavoro. Mentre guardavo quella scena mi persi nei miei ricordi, di quando Odhinn mi raccontava della città in cui ero nata, una città piena di gloria il cui sovrano era stato uno dei più potenti, un re che aveva cominciato ad unificare tutti i norreni; Odhinn diceva che la mia casa era Kattegat e anche se non l’avevo mai vista sentivo che mi apparteneva.

Ero ancora immobile davanti la bottega quando i due giovani presero la spada appena terminata e io distrattamente mi mossi urtando l’uomo che attendeva per strada proprio quei due giovani. Lui era un uomo eccentrico e molti lo ritenevano pazzo, ma io conoscevo la verità, lui era protetto dagli Dei che con devozione venerava, solo quando lo vidi capì dove lo stregone mi avesse mandato. Helgi mi aveva mandato a casa, mi aveva mandato dove tutto aveva avuto inizio, dove stavano le radici della mia storia; mi aveva mandato nell’unico posto dove avrei potuto essere felice e capire chi fossi: ero a Kattegat finalmente.

  • Mi perdoni. – dissi guardando Il Costruttore, che fece un cenno della mano non dando importanza alla mia distrazione.
  • Floki allora? Ce ne andiamo da mezzo a questa calca inutile? – disse balzando da sopra la balaustra uno dei due, l’uomo sorrise allegramente e se ne andò con loro ignorando la mia presenza.

Mentre se ne andavano mi voltai a guardarli e vidi un giovane seduto su un barile, aveva gli occhi come il cielo, ma erano più limpidi, nessuna nostalgia, nessun amore e nessun rimpianto. Quando arrivarono accanto a qual giovane, lui scese dalla sua seduta e li accompagnò strisciando al fianco di quell’uomo alto e snello, lo guardavo e mi costrinsi a non correre verso di lui. Dovetti costringermi a ricordarmi che lui non era la stessa persona, lui non era lo stesso uomo che avevo conosciuto e non dovevo essere avventata; smisi di guardarlo e mi diressi verso il centro del mercato dove acquistai qualche abito e osservai la mia città. Quando calò la sera feci la strada a ritroso per tornare verso la locanda, ma qualcosa attirò la mia attenzione sulla via del ritorno, il fabbro era fuori la sua bottega e mi guardava, eppure sapevo che non stava guardando me, feci per avvicinarmi alla balaustra e con un agile salto la scavalcai e mi avvicinai a quell’uomo che mi fece cenno di entrare mantenendo uno sguardo assente. Entrai in quella bottega buia e osservai affascinata i lavori di quell’artista, pensando alle parole che spesso Thor mi aveva ripetuto durante i nostri allenamenti: “L’arma di un guerriero è l’estensione della sua anima”, e immaginai quanti guerrieri entravano ogni giorno in quella bottega per equipaggiarsi, poi mi girai e notai che quell’uomo era rimasto sulla porta, immobile come una statua per poi parlare con tono atono e voce distaccata quando gli poggiai la mano sulla spalla.

  • Il Veggente l’attende signorina. – e sentì una presenza alle mie spalle, allora mi voltai spostando la mia attenzione dal fabbro a quella donna che mi stava attendendo, la guardai attentamente e mi resi conto che il suo volto era provato dalle tracce della magia divina. La seguì fino alla catapecchia dove viveva Jarl, vi entrai e lo vidi lì seduto davanti quella finestrella presente nell’ambiente; lo Jarl che avevo conosciuto nella terra dorata era diverso, colui che mi stava davanti aveva il volto sfigurato, in particolare nella zona degli occhi che apparivano mutilati, io non riuscivo a capire perché il suo corpo fosse così distrutto ma lui mi spiegò tutto appena cominciò a parlare.
  • Hellen nipote di Loki, finalmente siete giunta a casa. Non domandarti perché mi vedi diverso, il futuro mi vuole più saggio di quando ero bambino, domandati perché sei qui, ricorda che nessun’arma potrò mai aiutarti a capire chi sei. Dimentica la vita che credevi di dover vivere e ascolta le parole del Grande Padre. La tua storia non è stata ancora scritta quindi smetti di rincorrere un ricordo passato, la vera storia ancora non è stata vissuta.

Appena pronunciate quelle parole la donna rientrò nella stanza invitandomi a seguirla, mi riaccompagnò sulla balaustra e poi andò via. Non ero confusa, né impaurita per ciò che era appena successo, quindi mi allontanai verso la locanda pensando al viso di Jarl sfigurato perché da bambino, straziato dal suo dono, tentò di cavarsi gli occhi credendo che senza quelli le atroci immagini che vedeva nella sua mente avrebbero smesso di tormentarlo, ma ciò non avvenne. Mi diressi spedita alla locanda dove avrei alloggiato, mi sedetti ad un tavolo sul fondo del locale affollato e ripensai alle parole che lo stregone mi aveva lasciato scritte su quel diario; cenai isolandomi da ciò che avevo intorno e mangiai in maniera distratta la zuppa di farro e patate che mi era stata servita, poi qualcuno si sedette di fronte a me, alzai lo sguardo e ritrovai Helgi che mi guardava.

  • Perché vi siete fermata alla mia casa questa mattina? – mi chiese tenendo saldamente un libro tra le braccia.
  • Se ve lo dicessi non mi credereste.
  • Mettimi alla prova ragazzina. – rispose con aria di sfida.
  • Io vi conosco. So chi siete e da dove venite, so tutto di quella ferita che avete sul braccio e che ancora non si è rimarginata. Ma per quanto io sappia molte cose ho ancora bisogno del tuo aiuto, da dove vengo tu mi addestravi, ma quell’addestramento si è interrotto, qualcuno ci ha tradito e sono dovuta fuggire. Ci siamo separati e non so per quanto tempo.
  • Io non uso più la magia, se conoscessi tutto di me, allora dovresti saperlo. – disse con un leggero fastidio nella voce, lo guardai e annuì consapevole del fatto che discutere con lui non portava mai ad una fine. Mi alzai e me ne andai, poggiandogli, però prima, una mano sulla spalla e infondendogli quel ricordo che lui aveva condiviso con me, durante uno delle nostre sessioni di allenamento.

 

Eravamo fuori dalla baita, lui era poggiato alla porta e io ero fuori sul prato che volteggiavo cercando di ri-padroneggiare la mia levitazione quando avvertì un’energia familiare provenire dal bosco. Cercai di raggiungerla ma quando arrivai nel luogo da cui era generata, la persona che credevo la possedesse non c’era, non riuscivo a capire, allora guardai in ogni dove non trovando il mio vecchio amico. Nel momento in cui ritornai al mio corpo con la mente scesi sul suolo e mi avvicinai alla casa, in quel momento lui mi afferrò il braccio e mi catapultò in un attico della città di New York, era seduto su una poltrona di velluto rosso e guardava una bambina che giocava sul pavimento nero. Quella bambina faceva roteare nell’aria due cubi di plastica con sopra disegnate le lettere dell’alfabeto e si divertiva nel farlo, la sua risata risuonava fragorosa in quella stanza ed Helgi si sentiva pieno di gioia.

  • Piccola Kaira è questo che deve fare la magia. La magia deve far gioire. – disse sorridendo.

Mi lasciò il braccio e ritornai alla baita, lo guardai e sorrisi perdendomi nella mia nostalgia per quell’amico che avevo percepito, ma che non ero riuscita a vedere.

 

  • Qualsiasi sia il percorso che devi intraprendere non dovresti farti influenzare da ciò che credi di conoscere, dovresti pensare come se il tuo dono del conoscere il futuro non esistesse. – mi disse e poi si alzò anche lui per andare via, lo guardai uscire dalla locanda mentre le sue parole mi risuonavano nella mente e mi sembravano così familiari, le avevo già udite, era stato Jarl a dirle solo un’ora prima.

Il mio arrivo in città, la città che avevo amato solo ascoltando i racconti della sua gloria. L’arrivo nella città dov’ero nata non era sto come avevo sognato o immaginato negli anni, nessuno sapeva chi fossi e potevo scrive la mia storia come se stessi nascendo in quel momento. Quella notte dormì come se nulla fosse accaduto, come se la guerra non fosse scoppiata, come se lui non fosse mai stato distrutto e sognai, sognai una vita tranquilla adornata da amore e amicizia, compiti a cui adempiere e nonni da accontentare; una vita normale, per quanto normale possa essere la vita di una divinità, una vita nella mia casa. All’alba sentì bussare alla porta di legno scuro, non feci neanche in tempo ad alzarmi e posare la lama che stavo affilando, che un’energia gelida invase la stanza. Qualcosa di estremamente pericoloso e minaccioso avvolse il mio corpo, strinsi saldamente la mia spada e con cautela cercai di individuare il mio nemico: ero sola, la stanza tornò com’era stata fino a poco prima. Decisi di uscire e mi buttai nel mare di persone che scorrevano per le fredde strade di quella città, il caos regnava costante tra quelle strade invase dalla neve e dal ghiaccio, incorniciate dai ballatoi di legno sporchi di polvere e sangue dei guerrieri. Il cielo coperto dalle nubi carche di acqua rispecchiava il tormento che provavo dopo aver percepito quell’energia e senza che me ne rendessi conto mi ritrovai sul molo a guardare i venditori di pesce trattare per la poca merce che erano riusciti a pescare, fu allora che lo rividi: Ívarr era seduto su un barile affiancato dal fratello minore Hvitserkr pronto a proteggere il generale dell’esercito dei Loðbrók. Ívarr, il primogenito di Ragnar e Kráka, detto “il senz’ossa”, insieme al fratello guidava la grande armata danese, facendo sì che le loro gesta fossero cantate e diffuse in tutti i loro territori e anche oltre, diffondendo la terrificante idea che fosse imbattibile; distratta da quel giovane uomo non mi resi conto che la pioggia aveva cominciato a cadere, e quindi quando corsi al riparo in una locanda era già troppo tardi, perché ero già fradicia e alla mia entrata frenetica urtai un grasso omone burbero finendo per scatenare una rissa. Sfoderai velocemente la lama per bloccare il fendente che stava per colpirmi la spalla, l’omone aveva rovesciato la birra quando lo avevo urtato e di conseguenza credeva che dovessi ripagarlo dell’offesa donandogli la spalla con la quale lo avevo offeso. La mia lama vibrava al contatto fulmineo con l’aria e non concedevo terreno a quell’uomo e ai suoi compari, che si protendevano verso di me; sapevo di dover prestare attenzione ad ogni cosa facessi, ma era più forte di me, non riuscivo proprio a tenermi lontana dai guai e soprattutto quando avevo davanti un’opportunità di una bella e divertente sfida, e gli uomini dei due principi erano una sfida degna della potenza divina, o quanto meno un divertente passatempo per spezzare la monotonia di quella giornata uggiosa. Erano tutti grossi il doppio di me, in altezza e stazza, con barbe folte e corpi segnati dalle diverse battaglie affrontate, ma uno mi colpì particolarmente: lui era grosso più di tutti i suoi compari, aveva una barba rossa che sembrava un groviglio di foglie d’autunno e i suoi capelli erano raccolti in una treccia disordinata che gli scopriva la cicatrice che aveva sul lato della testa, doveva essere stata una ferita profonda, forse un colpo d’ascia, un colpo che avrebbe dovuto ucciderlo, eppure lui era lì davanti a me che si ergeva come una montagna e disarmato sfidava la mia potente lama. Affondò un pugno verso il mio volto cercando di tramortirmi, ma con agilità scivolai sotto le sue gambe per sbucare alle sue spalle, riposi la spada e mi preparai a danzare; lo scontro con quell’omone mi divertì, ma non finì mai perché mentre tentavo di farlo stancare il temuto Ívarr scoppiò in una fragorosa risata attirando l’attenzione dei suoi uomini.

  • Una donna! – disse mentre rideva. – Una donna è riuscita a battere, da sola, tutti i migliori guerrieri dell’esercito con cui dovremmo partire in primavera! Fratello hai visto? Con una sola lama e qualche pugno li ha battuti tutti!

Il fratello non rispose verbalmente, ma col boccale di birra in mano fece segno di riverenza verso di me, come se per la mia azione provasse profondo rispetto, poi Ívarr agitò le dita e il locandiere mi porse un boccale con dell’idromele e mentre me lo porgeva disse che era un segno di rispetto da parte del principe storpio. L’appellativo che usò mi diede particolarmente fastidio, come se si fosse riferito direttamente alla mia persona, ma cercai di non reagire e alzai in direzione del principe il boccale di quella bevanda dorata accennando un sorriso, appena quel liquido toccò le mie labbra tornai indietro al tempo dei banchetti nel grande e maestoso palazzo di Thor, le armature sporche del sangue dei nostri nemici e le teste mozzate dei Troll, una vita finita, lontana e ormai quasi irraggiungibile. Ívarr mi fece cenno di avvicinarmi a loro e così feci, lui non mi incuteva terrore, io non riuscivo a vedere la malvagità che le cantiche antiche raccontavano, non riuscivo a percepire nulla di oscuro provenire da quell’uomo che seduto su un barile vuoto mi scrutava con curiosità.

  • Forestiera, è l’unica spiegazione che ho per la tua stoltezza nello sfidare i miei uomini.
  • No, principe, in verità sono nata qui, ma negli ultimi anni ho viaggiato molto per le terre della Scandinavia. Sapevo chi fossero quei guerrieri quando ho deciso difendermi e sfoderare la mia lama contro di loro. – risposi spavalda al principe che cominciò a indispettirsi e allo stesso tempo si accese una scintilla nelle menti di quei due uomini, che ancora una volta non riuscivano a concepire la sconfitta dei loro guerrieri.

Quello che avevo detto non era proprio una menzogna, in un passato ero nata proprio su quelle coste, e quando ripenso a quelle parole le percepisco più come una mezza verità che mi permise di scrutare una tempesta in uno stato di calma. Perché prima di una tempesta si può sempre osservare la calma e anche se nessuno vide quell’avvisaglia, ero sicura che stesse per arrivare e dopo quello scontro con i suoi uomini potevo vederla chiaramente. Vidi quella tempesta arrivare, la vidi nei suoi occhi, una tempesta che divampava veloce ed era pronta a scagliarsi sulla mia testa divina; quando ero entrata in quella locanda avevo fatto la mia prima scelta e che fosse sbagliata oppure no divenne relativo quando capì che quella scelta fu dettata da istinti umani. Non avevo mai saputo tutto della mia vita lì, non mi era stato concesso di conoscere tutto, nessuno dei figli di Ragnar mi aveva mai raccontato com’era stato il nostro primo incontro o il nostro addio, non avevo mai saputo che il motivo della guerra non era stato solo il trono e non volevo credere che il mio destino non fosse qui a casa mia, nell’unico luogo in cui avevo desiderato tornare per tutta la mia esistenza, senza mai averlo visto realmente. Non sapevo che il mio legame con il principe era l’unica cosa che gli Dei non avevano previsto e nel momento esatto in cui avevo sfoderato la spada in quella locanda, avevo anche deciso quale strada percorrere afferrando uno dei tanti fili tessuti dalle Norne, scegliendo quale tra i mille futuri possibili realizzare; avevo scelto una strada che avrebbe distrutto tutto ciò a cui tenevo, una strada che mi voleva sul trono di Kattegat come regina veggente al fianco del figlio di Ragnar, ma non sapevo a fianco di quale figlio di Ragnar. Quando entrai in quella locanda tirai il filo più pericoloso che le Norne avessero potuto tessere per la mia vita e per l’intera umanità, una guerra scatenatasi per affari umani da uomini che possedevano doni divini, una guerra d’amore e non di potere; con le mie azioni avevo deciso inconsapevolmente di scegliere una vita da mortale e allo stesso tempo da Dio, avevo scelto finalmente di essere un canale e che non avrei più accettato inerme la volontà di chi si ergeva come mio capo, perché in fondo come le Norne anche io potevo vedere ciò che accadde e ciò che accadrà.

9

Floki

La vita in quella città non era come l’avevo sempre immaginata, dovevo nascondere la mia vera natura in ogni momento, stare attenta che nulla mi tradisse e per questo ogni mattina mi avventuravo nella foresta, fino a raggiungere la radura nel cuore della fitta distesa di vegetazione, e nascosta da occhi mortali esercitavo la mia magia come avrei fatto se Helgi fosse stato con me. Credevo di essere attenta, ma in una di quelle mattine, mentre ero distesa a mezz’aria e con la mente viaggiavo per quelle terre usando l’occhio di Odhinn, avvertì la sua presenza, allora discesi sull’erba e attesi che si mostrasse a me.

  • Ti ho aspettata per anni. – disse Il Costruttore uscendo dal nascondiglio. – Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato e sono più che felice di vederlo dalla terra dei mortali.

Il suo volto tracciato dalla magia e allo stesso tempo solcato da un sorriso luminoso; Floki Il Costruttore, l’uomo benedetto dagli Dei, l’uomo che nonno Loki proteggeva con ardore. Lui era poggiato ad un tronco d’albero sul limite della foresta e senza alcun timore mi ammirava compiaciuto, mentre da un altro punto della foresta potevo sentire la mente di Helgi che osservava la scena e che tratteneva il suo istinto di attaccare l’uomo che avevo davanti; un sorriso mi solcò le labbra pensando che quell’uomo pochi giorni prima si era rifiutato di insegnarmi ciò che sapeva e che ora era lì. “Aspetta!” urlai nella mia e nella mente di Helgi.

  • Tu mi stavi aspettando? – chiesi poi al Costruttore e mentre attendevo la sua risposta cercai la sua mente, ma ritornai nella mia come una pallina che rimbalza su di un muro. La mente di Floki era così confusa che quasi provai dolore nel cercare di addentrarmici, allora decisi di attendere le risposte fuori da quel “bordello” prima di provocarmi un’emicrania, o qualcosa di peggio.
  • Ma certamente, altezza. – disse con una riverenza ed un ghigno che non lasciava le sue labbra. Nel Valhalla avevo avuto l’onore di incontrare Floki “Il Costruttore”, sapevo che il suo modo di muoversi ad un primo impatto poteva sembrare fuori dal comune, ma la verità era che i suoi modi eccentrici e bizzarri nascondevano grandi sofferenze causate dai suoi doni divini.
  • Durante il mio primo viaggio verso la città, gli adulti si preparavano ad un’importante partenza ed io mi preparavo al mio giuramento, Il Veggente mi apparve in sogno. Avevo solo sette anni quando avvenne, ma da allora la mia vita è cambiata, la mia mente è cambiata; ovviamente non capì subito cosa volessero dire le parole del Veggente, ma col tempo le cose divennero più chiare e la mia mente sempre più oscura e confusa.

“Un giorno arriverà. Il marchio arriverà e tu dovrai proteggerlo dall’oscurità. E tu lo farai! Oh sì, è certo che lo farai. Proteggerai il marchio e la sua progenie, proteggerai il padre e il figlio sopra ogni cosa. Lei arriverà alla ricerca di un felino, proteggili tutti perché solo così potremo salvarci”. Furono queste le sue parole e sappiamo che tra i suoi svariati doni, Il Veggente manca della chiarezza per questo passai i primi anni che seguirono quel sogno in preda a dolori atroci, dolori causati dalla mia ostinata lotta contro ciò che la mia mente cominciava a conoscere e ancora non capivo; i grandi e gloriosi Dei che quel giorno mi hanno scelto, mi hanno anche donato una conoscenza superiore rispetto a tutti gli altri uomini, all’inizio credevo di essere un folle, solo quando compresi il favore divino, appresi di non essere del tutto folle. Perché in fondo un pochino folle lo sono.

Mi ritengo fortunato d’esser stato scelto, ma per molto tempo non ho più pensato alle parole del Veggente, fino a quando, qualche notte fa, ho fatto un sogno: Il Veggente è tornato a parlarmi con le stesse identiche parole confusionarie, ma con lui questa volta c’era una donna con la quale mi sono scontrato casualmente il giorno dopo quel sogno, davanti la bottega del fabbro. Il nostro incontro era scritto con l’inchiostro delle Norne, non è stato insignificante quello scontro e di certo non è stato un caso che tu ti sia ritrovata coinvolta in quella rissa la mattina dopo. Non mi avrai notato, presa della battaglia e da principi, ma io ero qualche metro dietro il principe Ívarr, ho visto come combatti e di certo non è uno stile che insegnano nei regni mortali.

  • Voi siete l’ombra del principe. – dissi interrompendo quel discorso. – Eppure, ora siete qui e mi dite che diventerete il mio protettore?

Mi scrutava profondamente come se cercasse una traccia della mia divinità, non temeva il mio sguardo come invece facevano gli uomini dei due principi, ma c’era qualcosa che non stava raccontando, lo sentivo. Decisi che era il momento di tuffarmi in quel “bordello” per scoprire la verità, raggiunsi la mente di Helgi che era ancora nascosto ad osservare la scena e gli chiesi se fosse in grado di aiutarmi, lui non si fece pregare e comparve davanti il viso di Floki per poi soffiagli una polvere, molto probabilmente papavero, che fece addormentale l’uomo. Adagiammo con cautela il corpo di Floki e per un attimo osservai lo stregone.

  • Posso per caso sapere cos’è cambiato dal nostro ultimo incontro? – chiesi.
  • Poco e niente, ma il tuo cuore è puro. – rispose. Non compresi a pieno quali intenzioni si celavano dietro quelle parole, ma conoscevo l’uomo che avevo davanti e mi fidavo di lui.

Mi sedetti accanto al corpo assopito di Floki, mentre Helgi affermava che avrebbe fatto da guardia ai nostri corpi, gli presi una delle mani callose e mi abbandonai nella sua mente; non possedevo ancora il pieno controllo di quella mia dote, quindi quelle volte in cui mi trovavo in menti potenti perdevo ancora i sensi, e quella di Floki era una delle menti più complicate che avessi incontrato fino a quel momento, forse anche più complicata di quella di Helgi. Dovetti scavare molto a fondo, nei meandri della sua mente prima di riuscire a raggiungere la sua essenza, prima di riuscire a raggiungere il fulcro del suo animo, ma quando arrivai al cuore della sua energia mi trovai davanti ad un bambino di sette anni, un piccolo Floki con lo sguardo da grande.

  • Non ti fidavi? Ma quello che scoprirai non ti piacerà. – disse per poi lasciarmi entrare.

Mi feci avvolgere dalla sua essenza più pura e vidi l’inizio della sua fine. Il grande costruttore, Floki Il Folle stava morendo lentamente da quando aveva sette anni ed erano stati proprio gli Dei che tanto venerava, anzi le Norne, ad ucciderlo per fare posto a qualcosa di più potente. Vidi un ragazzo sul retro di un carro che dormiva beatamente, sul bordo della strada tre donne: un’anziana, una che sembrava essere sulla ventina e una fanciulla, le tre tessevano e sembrava quasi che nessuno le vedesse, ma al passaggio di quel carro loro pronunciarono le stesse parole che Floki aveva creduto essere state pronunciate dal Veggente: “Un giorno arriverà. Il marchio arriverà e tu dovrai proteggerlo dall’oscurità. E tu lo farai! Oh sì, è certo che lo farai. Proteggerai il marchio e la sua progenie, proteggerai il padre e il figlio sopra ogni cosa. Lei arriverà alla ricerca di un felino, proteggili! Proteggili tutti perché solo così potremo salvarci”. Forse le Norne erano apparse nella sua mente con un altro volto o forse lui aveva trasportato quelle figure spaventose senza occhi nel viso di Jarl che già conosceva. Arrivato per la prima volta a Kattegat giurò fedeltà insieme ad un altro fanciullo poco più giovane di lui, un fanciullo col quale instaurò una forte amicizia, quel bambino era Ragnar Loðbrók, colui che era destinato a diventare il primo re degli Scandinavi; Floki crebbe e col tempo il dolore causato dalla massiccia trasfusione di magia e di conoscenza che gli Dei avevano infuso nel suo corpo e nella sua mente cominciò a cambiare ogni cosa. Aveva poco più di dodici anni quando il padre credendolo pazzo lo cacciò di casa. Quell’uomo, che aveva generato un grande uomo e un devoto servitore degli Dei, era stolto e privo di visione, venerava gli Dei quando gli faceva comodo ma non si preoccupava di domandarsi più del necessario su ciò che non capiva; suo figlio era diverso dagli altri bambini, infatti Floki era sempre stato molto cagionevole e spesso si era ammalato, ma ogni volta si era sempre ripreso anche dai malanni peggiori, ovviamente i mortali non capivano e il padre non avrebbe mai scommesso sulla sua sopravvivenza.

Quando Floki fu cacciato di casa vagò per tre giorni, senza meta e senza cibo. Era un bambino e di conseguenza non aveva denaro o uno scopo, ma aveva la sua fede e solo con quella sfidò il gelo invernale fino alle prime luci dell’alba del quarto giorno, quando si imbatté in una vecchia abitazione nel cuore della foresta, il tetto era decadente e la porta marcita probabilmente da mesi, ma quel bambino non diede peso all’aspetto dell’abitazione facendosi affascinare, invece, dalla vasta distesa d’acqua che si apriva a pochi metri dalla casa. Un’immensa pozza limpida e quasi del tutto ghiacciata dove avrebbe potuto creare le sue più famose opere; nei giorni seguenti si procurò in città tutto ciò che poteva essergli utile svolgendo alcuni lavoretti per il fabbro e per un locandiere. Il fabbro come ricompensa gli fece dono di un’ascia e di una sega, che avrebbe trovato utile per lavorare il legno, il locandiere gli diede dei vecchi utensili da cucina che non gli risultavano più utili e qualche moneta per procurarsi il cibo e poi fece ritorno nel suo piccolo spazio di foresta e si misi a lavoro; nel giro di pochi mesi aveva ingrandito e rimesso a nuovo quella vecchia casa e grazie a quel nuovo amico semidivino riusciva a non sentirsi del tutto solo, ma ogni notte, quando il silenzio incombeva, lui continuava a soffrire. La sua mente era invasa da conoscenza, una conoscenza troppo pesante per un mortale ma che col tempo imparò a gestire, e allo stesso tempo il suo cuore di fanciullo si lacerava credendo di non essere ben accetto in ogni dove.

Osservando la sua vita mi resi conto che il dono fatto a Floki era anche la sua condanna, tutta quella conoscenza che gli era stata donata per salvare me e proteggere chiunque stesse arrivando, era una conoscenza troppo potente per una mente umana, una mente che di conseguenza si stava degenerando lentamente. Sapevo chi avesse donato quel fardello a Floki e il solo pensiero che potesse aver intrapreso un percorso tanto oscuro mi faceva rabbrividire. Il mostro che stava uccidendo Floki era mio nonno, il signore del caos: il mezzo gigante Loki; solo quando mi resi conto di questo capì che quell’uomo non era una persona qualunque, lui era un involucro la cui mente era stata preparata per accogliere quella di un Dio e non era difficile capire chi dovesse prendere il posto del mortale. Lui stava attendendo Loki e ne era consapevole. Rimasi quasi paralizzata dal terrore e quando defluì fuori dalla sua mente per ritornare nella mia, sgranai gli occhi nel momento in cui ripresi il controllo del mio corpo, ma restai per qualche secondo sdraiata sull’erba a fissare il cielo apaticamente, pensai che la vita di quell’uomo non era affare mio e allo stesso tempo riflettei sul fatto che la sorte della guerra dipendeva da me a qualsiasi costo. Mi alzai pronta per tornare alla locanda da sola, ma vidi Helgi che era a qualche metro da me, mi guardò e si voltò per raccogliere il cesto di erbe che aveva poggiato a terra.

  • Avete scoperto ciò che volevate sapere, Synnøve Charter? – disse mentre attendeva, sospirai e mi alzai affiancando lo stregone.
  • Ciò che stavo cercando era nascosto in bella vista. L’uomo deve vivere, non rivelerà ad alcuno la mia natura e se lo farà non avrò problemi a privarlo della vita.
  • Mia signora, io sto morendo. – disse Floki risvegliandosi dal torpore. – Ho accettato di mia volontà questa condizione. Anni prima durante le mie prime malattie invocai la protezione degli Dei, gli chiesi di salvarmi e io in cambio ero disposto a dare qualsiasi cosa, anche la mia vita. Vostra altezza, non avete scavato abbastanza in fondo, può sembrare stupido ma sin da quando ho conosciuto le prime storie degli Dei ho avuto ceca devozione per loro, poi lui in quella notte di suppliche mi è apparso, così potente e astuto, mi propose un accordo: la mia vita per la sua, dato che in futuro avrebbe avuto bisogno di un nuovo corpo. Non ho esitato ad accettare. Come voi farei qualsiasi cosa per proteggere chi mi guida e poi mi sono sempre sentito affine al grande e potente Loki.

Lo guardai intensamente con la consapevolezza che nulla lo avrebbe fermato, poi mi voltai e mi ritirai con lo stregone. Ancora non riuscivo a decidere cosa fare in merito alle informazioni che avevo, avrei dovuto fidarmi delle antiche profezie e abbandonarmi al fato? O avrei dovuto agire e andare contro ciò che era stato predetto?

Helgi mi accompagnò fino in città senza proferire parola, parlò solo quando arrivammo fuori la locanda dove alloggiavo.

  • Ti insegnerò, hai potenziale ma non userò la mia magia. – disse prima di andarsene.

Dentro di me si riaccese la speranza di non essere sola in quella lotta; entrai e risalì le scale fino alla mia stanza, ero stanca per lo sforzo impiegato in quella radura. Al mattino, quando uscì dalla locanda per andare da Helgi, Floki era lì fuori, dall’altro latto della strada che passeggiava con il principe e quando mi vide montare a cavallo fece un cenno di riverenza per poi ritornare ai suoi affari e io, quando lo vidi interrompere quel veloce scambio di intese, spronai il cavallo verso la casa di Helgi. Arrivai alla solitaria baita di Helgi, Situato nelle vicinanze della città; l’ha raggiunta al galoppo ma la mia mente era avvolta da una fitta nebbia di pensieri, che inesorabilmente mi riportavano alla mente l’immagine della caduta di Loki. mitra sport hai a casa con la mente, mentre il cavallo percorreva le strade innevate; osservai come Loki viveva la sua vita al cospetto del Grande Padre, gli intrighi, le lotte e il suo scaltro ingegno, che operava per guadagnarsi ogni giorno il rispetto degli altri potenti, il suo amore per Sigyn, la nascita dei bastardi di Angrboda, l’inizio della fine: Hela e la sua collocazione nel Hel.

Era tutto così diverso da come l’avevo visto io virgola e mentre viaggiavo nell’ Ásgarðr di quel tempo incrociai gli occhi verdi e brillanti di mio nonno. Dimenticai dove fosse per attimi interminabili che mi imprigionarono nei miei ricordi: io che con lui non poteva nascondere nulla, lui che era il re delle menzogne udiva la verità nel cuore di ogni uomo e donna, il suo sguardo che come quello di Floki non temeva la mia forza fisica. Lui che era stato il mio primo insegnante di magia, che mi aveva spiegato di non aver paura della mia magia che pura. L’unico che mi avesse detto la verità sulla magia oscura che avevo ereditato da mia madre e mi aveva insegnato a non temerla, e che allo stesso tempo mi aveva incoraggiato a sfruttare i doni di mio padre; vidi colui che non avevo avuto paura di Dirmi che in realtà io sono a metà tra l’oscurità e la luce. Furono le urla del mercante e qui bloccava il passaggio che mi riportarono al presente, lo guardai ancora confusa e allo stesso tempo fosse le mie scuse per poi spostarmi sul lato della strada, poi spron e la bestia e cercai di raggiungere rapidamente la casa di Helgi; quella mattina volle conoscere profondamente la mia telepatia, ma dentro di me ero combattuta tra il mio affetto e la verità della sua natura. Oggi, quando ci rifletto, mi convinco che in fondo il nostro nemico era proprio io e il mio sentimentalismo, in fondo cercavo di essere potente come luoghi, continuava ostinatamente a lottare per diventare come lui e anche superiore ma allo stesso tempo me lo devo di poter essere anche una donna umana e farmi guidare dei sentimenti. Nei giorni successivi alla mia conversazione con Floki ci furono sempre più Casini di incontrarlo e quindi di incontrare i due principi che avevo sfidato al mio arrivo in città, attirare però la sgradita attenzione del valoroso guerriero: Björn Járnsíða, secondo figlio di Ragnar e futuro vero re della Scandinavia, ed era anche il fratello che Ívarr più odiava, e fu proprio quell’attenzione che mi rivolse a rendere lo sguardo del primogenito ancora più impregnato d’odio. Un odio che avrebbe potuto generare la fine della mia casa, un odio che avrebbe potuto portare alla reale manifestazione di quella tempesta che avevo visto arrivare.

Nei mesi che precedettero le razzie mi integrai nel tessuto sociale della città, ma nel quarto mese d’inverno Floki collasso e con quel collasso i principi perso il loro paciere scatenando una disputa tra i due fratelli maggiori, una disputa che presto si tramutò in guerra. Eppure, la mia attenzione in quel momento passò da quelle che credeva semplici beghe tra fratelli, a quella che stava diventando la mia principale preoccupazione; mi proposi ai principi e la regina reggente come guaritore per assistere i loro più fedele suddito così da poter assistere in prima persona al ritorno di mio nonno, o anche cercare di impedirlo come era mia intenzione.

  • La mia vita è collegata alla sua appunto – disse Il Costruttore quando ci vide entrare per la prima volta nella sua casa. Avevo, da tempo, intuito che per comprendere quel quale sarebbe stato il momento giusto per effettuare l’incantesimo che li avrebbe divisi, avrei dovuto Prestare attenzione non solo alla salute del mortale, ma anche a ciò che lo circondava.
  • Sì, lo sappiamo ma non è ancora giunto il momento. Io ed Helgi ci occuperemo di curare il tuo corpo fino al momento propizio.

Non avevo intenzione di rivelare il mio piano, non potevo andare contro un accordo che lui stesso aveva stipulato con Loki, almeno non così apertamente. Mentre lo ascoltavo parlare durante le giornate che trascorrevamo insieme mi resi conto che non gli era mai stato spiegato come sarebbe avvenuto lo scambio tra la sua anima e quella di Loki, nessuno mai gli aveva detto che lui sarebbe morto nello stesso identico modo in cui stava morendo il Dio, o che comunque non sarebbe stato indolore. Perché no, l’estrazione di un’anima dal proprio corpo, non è mai indolore! Il Dio del caos lo aveva tenuto in vita, lo aveva protetto e fatto crescere come una bestia da macello, alla cui morte avrebbe lasciato un involucro pronto ad essere ospitato da uno di noi e chissà quanti abitanti di questa città erano potenziali involucri, potenziali bestie sacrificali. L’agonia di Floki durò per quasi un mese, poi al sorgere della primavera riusciamo a stabilizzare la sua condizione e lui chiese di partire per la sua ultima razzia, nonché la sua prima senza il suo amico Ragnar, gli concessi di partire ma quando ne parlo coi principi loro decisero che sarebbe partito solo se io fossi partita con lui e mi fossi occupata delle sue ferite. Avevo visto che la sua richiesta sarebbe andata a finire con quell’unica condizione, quindi avevo chiesto ad Helgi di aiutarmi a preparare le mie armi, il mio scudo e quindi fui ben lieta di accogliere la loro richiesta, pronta a partire e a realizzare il mio desiderio mortale. Partimmo nel giro di dieci giorni e Ívarr chiese a Floki di navigare insieme, quindi divisi il viaggio con quell’uomo che non potevo far altro che guardare da lontano, senza mai permettermi di compromettere una storia che non conoscevo.

  • Lui vorrebbe farti sua, è per questo che il suo odio verso di me aumenta quando mi avvicino a voi. – disse Björn avvicinandosi a me durante il secondo giorno di viaggio. Ívarr era seduto a poppa e conversava con il suo mentore, Floki e spesso avevo notato che il suo sguardo cadeva su di me che cercavo di vedere oltre il mondo degli uomini, che cercavo di scoprire come sarebbe andata a finire quella nostra avventura, per questo quando il principe parlò non mi fu difficile capire a che sguardo si riferisse e sapevo bene cosa significasse quello sguardo, ciò che non riuscivo a comprendere era perché non cercasse di ottenere ciò che volesse, in fondo era il principe primogenito, poteva ottenere tutto ciò che desiderava.
  • Perché non lo fa allora? In fondo è l’erede al trono può ottenere tutto ciò che vuole, quando lo vuole, no? – risposi istintivamente, senza pensare a chi stessi esprimendo i miei pensieri. Solo dopo aver pronunciato quelle parole distolsi lo sguardo dagli occhi gelidi di Ívarr per spostarmi sul mio interlocutore.
  • Non può! – disse categorico il principe – Lui è devoto al volere divino e gli Dei lo hanno maledetto facendogli conoscere il suo fato. Dice che in sogno gli hanno mostrato che se mai si concedesse di amare, quella povera sfortunata che finirà tra le sue pazze e folli mani, morirà. Anche il veggente gli ha profetizzato morte e distruzione dovuta all’amore, per questo rimane lì ad osservare invece di impedirmi di avvicinarmi a te.

Quando riportai l’attenzione sul giovane e spietato principe, avvertì qualcosa d’intenso nel suo sguardo, come se improvvisamente si fosse reso conto di qualcosa ma decisi che sarei rimasta fuori dalla sua mente, non volevo sapere quanto mi disprezzasse o quanto maledicesse gli Dei per la profezia che gli avevano fatto. Mi strinsi nella mia pelliccia e rivolgendo un sorriso gentile a Björn mi congedai senza aggiungere nessuna parola superflua, mi avvicinai a Floki per assicurarmi che stesse bene, notando che quell’uomo da cuore puro reaggiva bene alla magia che avevo appreso dalla fata che assisteva mia nonna Friga. Passammo solo un’altra notte per mare e poi finalmete all’alba avvistammo terra, sbarcammo su una spiaggia di quella che in futuro sarebbe stata la Spagna del Nord e ci accampammo nella foresta più vicina, ci equipaggiammo e poi durante la notte attaccammo le due città di confine. In quell’occasione diedi prova della mia abilità con la spada e nel combattimento, mentre Floki, che cercavo di non perdere mai di vista in quel caos di persone, agitava la sua ascia e si godeva quella che sarebbe stata la sua ultima razzia; quando tornammo all’accampamento volsi lo sguardo verso il cielo e poi sull’erba che Floki calpestava, notai che le stelle quasi non si vedevano e che l’erba calpestata da Floki faceva in fretta a marcire, poi vidi una scintilla verde accendersi davanti ai miei occhi. La sua scia, la sua energia e mentre cercavo di scacciarlo con continui incantesimi di protezione, capì che la fattura di dissoluzione che avevo lanciato all’inizio della decadenza del mortale non aveva reciso il legame tra lui e mio nonno. Lo guardai da lontano mentre parlava al principe Ívarr, in quel momento bramai la conoscenza. Volevo sapere cos’avessero da bisbigliare in continuazione i due uomini, che non avevano smesso di osservarmi e bisbigliare dal giorno della partenza. “Devi proteggerla ad ogni costo” disse Floki, aveva paura per qualcosa, qualcosa che aveva visto la notte precedente in un sogno. “Non ho intenzione di condannarla a morte! Non mi avvicinerò a lei!” gli rispose invece il principe con rabbia. “Devi ascoltarmi, devi provare a guardare la tua profezia da un altro punto di vista! Ívarr devi ascoltarmi, lei non sarà di nessun altro se non tua.” ribatté per poi volgere lo sguardo verso di me.

Ero rimasta immobile ad ascoltare le loro menti che urlavano terrore, ansia e desiderio. Floki si era reso conto che il suo limite era arrivato e che a breve avrebbe dovuto rinunciare al suo destino, non avrebbe potuto proteggere la donna che aveva aspettato per tutta la vita. Mi avvicinai ai due uomini cercando di non mostrare nelle espressioni del mio volto ciò che stavo provando, sussurrai a Floki che il tempo era giunto e come risposta mi guardò solo negli occhi blu che scrutarono i miei cercando qualcosa che non trovarono: la speranza. Nei mesi in cui lo avevo assistito gli avevo anche spiegato che la sua vita sarebbe finita per alimentare l’odio che il Dio aveva sempre covato verso gli uomini, il valoroso guerriero mi aveva ascoltato e col tempo aveva capito cosa volessi dirgli, così aveva capito che la sua ingenuità di fanciullo era stato il suo più grande errore al quale voleva porre rimedio. Aveva cercato di avvisare i principi di ciò che stava per accadere, ma i giovani avevano reagito con ilarità pensando che fosse una delle sue solite folli convinzioni, solo Ívarr aveva voluto ascoltare tutta la storia anche se non aveva esternato il suo reale interesse e non aveva ammesso di credergli.

  • Ho un’ultima richiesta, vorrei poter fare un ultimo brindisi con coloro che per me sono stati una famiglia.

Assecondai la sua richiesta e lo accompagnai al focolare dove tutti gli uomini brindavano per il florido bottino conquistato in quel primo giorno di razzia; lo feci sedere su di un tronco sapendo che lentamente si sarebbe indebolito, gli presi un boccale di birra e poi mi sedetti al suo fianco per brindare con lui e brindare con lui. Gli uomini sopravvissuti alla battaglia cantavano e bevevano allegramente, e con loro Floki che si godeva quelle ultime ore di vita; mentre cercavo di godermi quella gioia cominciai a percepire più intensamente lo sguardo dei due principi su di me, i cui sguardi mi bruciavano le vesti come un fuoco ardente; uno dei due mi bramava, l’altro credeva a Floki e desiderava proteggermi da chiunque stesse per arrivare.

  • Non temete altezza, sarete protetta anche senza di me. – mi disse bisbigliando, lo guardai e sorrisi con la consapevolezza che aveva ragione, gli poggiai una mano sulla spalla alleviando il suo dolore e lo ringraziai sottovoce.
  • Una cosa che mi sono sempre chiesta è perché continui a chiamarmi “altezza”, io non sono e non sono mai stata una regina.

Alzò lo sguardo verso il cielo e poi pronunciò le sue ultime parole da mortale.

  • Lo sarai.

Floki propose un brindisi che aveva l’intento di salutare tutte le persone che amava, poi si alzò e si diresse verso la sua tenda, quando arrivai era disteso sul suo giaciglio, aveva già esalato il suo ultimo respiro da solo e aveva lasciato il suo corpo per ciò che credeva più grande. Attesi fino a quando non riaprì gli occhi che furono attraversati da un lampo di magia, un lampo di caos, un lampo verde attraversò quegli occhi che divennero maligni. Gli occhi di Loki che prendeva potere e possesso del corpo mortale di Floki. Si mise seduto, si guardò in torno e poi mi guardò dritto negli occhi con un ghigno in volto.

  • Ciao nipote!
10

I due fratelli

Quando arrivai a Kattegat, all’inizio dell’inverno, mi concentrai prevalentemente sui miei allenamenti, cercando di ignorare quello che voleva il mio cuore, e poi Floki si ammalò, occupandomi di lui, provando a tenerlo in vita, potei entrare indisturbata nella mente di Ívarr. Ogni giorno vedevo il principe sanguinario organizzare le future incursioni primaverili e osservandolo mi rendevo conto che nel Valhalla avevo conosciuto un’altra persona; per tutto quel tempo ero sempre stata convinta che nel mio destino ci fosse lui, la persona che nel Valhalla mi aveva raccontato di quell’amore eterno, un amore che mai potrà dimenticare, e invece mi sbagliavo. In quella città tutti sapevano che il primo figlio non era il favorito del padre, ma quello che non sapevano era che il Dio dell’inganno, che ora viveva in Floki, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di raggiungere il suo scopo: la distruzione di quella città tanto cara al Grande Padre; lentamente e silenziosamente Loki si insinuò nella mente di Björn, che da poco aveva perso la sua prima moglie ed era sempre circondato da giovani donne. Mi resi conto che le sue attenzioni nei miei confronti cominciavano a cambiare una sera durante uno dei soliti rumorosi banchetti; riuscì a percepire distrattamente i pensieri del giovane principe che stava ripensando al pomeriggio, quando mi aveva vista sulla spiaggia tirare di spada con Helgi. La notte in cui Floki compì il grande ed estremo sacrificio, scoprì che Ívarr non era destinato al trono, ma che il Dio del caos aveva intenzione di rovinare i piani di Odhinn causando una guerra tra i due pretendenti al trono. Il nuovo Floki avrebbe distrutto Kattegat con una guerra insulsa e insensata. Rimasi paralizzata davanti al volto dell’uomo che avevo tanto ammirato e che per anni era stato la mia guida nell’, ma che ora non riconoscevo più; continuavo a pormi domande che non trovavano una risposta, cercando anche tra i miei ricordi qualcosa che mi aiutasse a comprendere perché stesse agendo così. La verità è che le profezie aveva sempre parlato di un suo tradimento, anche se io non avevo mai voluto accettarlo e solo quando lo accettai capì che quella volta Kalf non aveva tentato di uccidere il Dio, ma era sceso sul campo di battaglia per recuperare un suo alleato.

Durante le razzie non ci rivolgemmo più la parola, lui fingeva di essere Floki e io non servivo più alle sue cure, per gli uomini si era ripreso miracolosamente grazie alla mia magia guaritrice. Il nonno era diverso dall’uomo che avevo conosciuto nella terra dorata, era più duro e avvolto da un mantello di oscurità densa e nera come la pece, non sapevo cosa stesse accadendo e non potevo di certo immaginarlo, non avevo mai conosciuto davvero mio nonno, ma presto avrei potuto assistere alla dimostrazione di ciò che era realmente.

su quella nave mentre le onde mi cullavano provai a ripensare alle lacune nelle storie che Ívarr mi aveva raccontato nel Valhalla e mi ritornò alla mente un particolare che avevo ritenuto insignificante; eravamo su di un balcone del grande palazzo dove vivevano i figli di Ragnar e osservavamo l’orizzonte del Ponte Arcobaleno quando lui mi disse:

  • La verità è che nel tuo futuro noi ci ameremo, nel mio passato noi ci siamo amati e in questo presente ci amiamo ancora di più. Tu potrai sentire la mia energia vitale ovunque andrai, ma non sarai mai completamente mia, non potrò mai averti come desidero, è la mia maledizione.

Quel giorno lo guardai intensamente negli occhi e lessi una profonda sofferenza, ma non capivo cosa volesse dire veramente, in quel lontano istante collegai quelle parole al semplice scorrere il tempo, credetti che lui fosse morto prima di avermi avuta completamente sotto lo sguardo degli Dei, ma mentre le onde ci riportavano a casa cominciai a pensare che non fosse quello il significato delle sue parole e quando incrociai ancora una volta i suoi occhi lessi di nuovo quella sofferenza che avevo visto negli occhi della sua anima, fu allora che decisi: avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Durante i festeggiamenti al nostro ritorno dalle razzie notai ancora gli sguardi dei due principi su di me; la donna che Ívarr aveva incontrato nel Valhalla aveva paura anche della sua stessa ombra, era vulnerabile, mentre la donna che vedeva ora era porte e combatteva come uno dei più abili guerrieri che avesse mai incontrato, ma allo stesso tempo io non ero più la donna che aveva lasciato il Miðgarðr e che pervasa dalle paure si era fatta sopraffare dai nemici durante quel primo attacco al palazzo, da allora avevo tentato di diventare mortale e invece ero diventata il portatore del sigillo del Grande Albero, anche se ancora non ne capivo il pieno significato; ora mi ritrovavo a Kattegat, nella città dove ero nata con uno stregone che avrebbe attraversato secoli e guerre sopravvivendo incolume. Non ero più una dolce innocente creatura mortale, ero diventata qualcosa di diverso, qualcosa di più potente di un Dio e allo stesso tempo, probabilmente stavo perdendo la mia stessa anima.

Björn era un uomo forte e valoroso, estremamente bello e per questa ragione quando c’era lui nei paraggi tutte le donne, anche quelle sposate, non riuscivano a fare a meno di guardarlo e desiderarlo. Un guerriero degno di nota che sembrava avere la stoffa del capo; per tutta la vita aveva vissuto come un normale guerriero, per quanto possa essere normale la vita di un principe. Non aveva mai mostrato particolare interesse per il comando lui voleva combattere, saccheggiare e scoprire nuovi mondi, di certo essere re non era tra i suoi interessi, eppure molti soldati avevano più lealtà verso la sua autorità che per quella del fratello, che invece appariva freddo e calcolatore, sempre isolato dalle grandi ammucchiate e osservava tutto come un palco sempre vigile. Credo che in fondo non si fidasse neanche della sua stessa ombra; Ívarr era un’abile stratega e un combattente ancora più capace e sanguinario, lui non aveva scrupoli quando era sul campo di battaglia ed era raro vedere il suo viso pulito dal sangue dei nemici, molto facile invece dare per scontato che i suoi occhi azzurri come il ghiaccio, fossero contornati dal sangue già poco dopo l’inizio della battaglia, portava quel lerciume appiccicoso come un trofeo della sua abilità. Visti da questa prospettiva nessuno dei due era adatto ad essere re, così diversi da ciò che serviva al popolo, ma allo stesso tempo così idonei: il pugno di ferro e la mente di Ívarr, l’aura di calma e la fiducia che Björn rilasciava. Loro due sarebbero stati una perfetta coppia di re, insieme avrebbero dominato tutta la Scandinavia, se solo non si fossero odiati.

Sin dalla nascita di Björn, il loro padre aveva mostrato una particolare preferenza verso quello che sarebbe diventato il suo pupillo e questo aveva scaturito un odio profondo nel cuore del fratello, che puntava a essere il fianco del padre da quando aveva cominciato a combattere, lui era il fratello maggiore e quello era il posto che gli spettava; Ívarr credeva che gli fosse dovuto a priori, Ragnar però non era mai stato propenso a condividere il suo fianco con nessuno dei primi figli, fino a quando non aveva condiviso la prima battaglia con il valoroso Björn Járnsíða, quella battaglia che gli diede l’appellativo per il quale divenne famoso. Lui e il padre che fianco a fianco sbaragliano le fila nemiche lungo la Senna, senza cedere un centimetro di terreno agli uomini che stavano invadendo; e mentre nemici e alleati cadevano loro, da soli, non indietreggiavano, fino a quando Ragnar non fu ferito e dovettero procedere alla ritirata. Dopo quella battaglia il re non si vide più sul campo da guerra e passò ufficialmente il comando delle truppe al suo primogenito, Ívarr. Da quel giorno il principe storpio credete di aver vinto sul fratello minore nel cuore del padre, la verità è che in una conversazione privata, antecedente alla nomina del primo figlio, il re aveva offerto quel titolo al prediletto, ma Björn aveva rifiutato perché voleva partire in solitudine per le montagne e affrontare il suo passaggio all’età adulta in balia della natura. Ívarr governò l’esercito del padre per un anno prima che il fratello tornasse dalla sua avventura, ma quando tornò rifiutò ancora una volta quel ruolo.

Ívarr guidava gli uomini con l’appoggio di suo fratello Sigurðr e insieme diffusero il mito del terrore tra i nemici del regno del padre, eppure non era un uomo d’animo cattivo, la verità è che lui non conosceva altro modo di agire, non gli era stato insegnato. Sin da bambino era stato isolato da tutti per via della sua condizione e quindi si rifugiò nella saggezza divina dove trovò lo “zio” Floki come riferimento. Floki gli insegnò che la sua arma più potente era la sua mente e gli insegnò ad usarla, ma il senso di solitudine che provava ogni giorno quando guardava verso i suoi fratelli, una solitudine che col tempo si tramutò lentamente in un odio radicato nel suo cuore, un odio che lo faceva sembrare cattivo, lo rese un mostro agli occhi del suo popolo. Lui in fondo era buono, ma desiderava profondamente quello che non poteva avere, quello che avevano i suoi fratelli e che loro davano tanto per scontato. Durante l’anno in cui, per la prima volta venne ritenuto importante e degno di essere il figlio del re, cominciò a dimenticare ciò che gli mancava, ma allo stesso tempo cercava di mantenersi consapevole che è il ritorno del fratello le cose sarebbero potute cambiare; Björn in quell’anno aveva accettato la morte di sua moglie e aveva maturato delle mire di dominio più grandi, lui non voleva governare solo una parte della Scandinavia, nella sua mente cominciarono a crearsi mire espansionistiche mondiali, ma prima che si potessero avverare passarono molti anni. Dopo il suo ritorno dalle montagne gelide il principe cercò di ricucire i rapporti che aveva coi fratelli e poi combatté al fianco di Ívarr, però quella pace apparente tra i due durò fino al mio arrivo. Quando entrambi misero gli occhi su quella strega-guerriero in loro si insinuò il più puro degli odi, loro volevano la stessa donna gli avrebbero fatto di tutto pur che l’altro non l’avesse e, non contava se uno l’amava e l’altro era sotto incantesimo.

La notte del nostro ritorno a Kattegat feci ciò che avrei dovuto fare sin dal mio arrivo, quando Ívarr si ritirò verso i suoi appartamenti, io lo seguì con lo sguardo e poi mi materializzai alle sue spalle, lui avvertì la mia presenza e fece per prendere la sua ascia, ma con una leggiadra folata di vento la allontanai da lui conficcando nella parete di legno.

  • Principe, questa notte voi mi avrete. – gli dissi mentre si voltava per guardarmi, ma il suo sguardo si incupì appena mi fisso negli occhi.
  • Io non posso averti, né ora né mai.

Sapevo che le sue parole erano sincere, lui credeva davvero alla profezia del Veggente, quello che non sapeva era che io non potevo morire, allora sorrisi, mi avvicinai a lui e lo fece indietreggiare verso il letto e lui si lascia cadere, poi mi guardò mentre lasciavo cadere la mia veste sul pavimento e per quella notte il principe più temuto della Scandinavia si sentì normale, come tutti i suoi fratelli. L’energia che si sprigionò durante la nostra Unione mi permise di sentire le tracce di magia assopita nel suo sangue, potrei vedere tutto: la nascita della stirpe dei Ragnarsson, gli occhi di Ívarr che dal crinale alle spalle della città ammiravano l’aurora dopo aver ricevuto la nomina dal padre; vedevo i fili del destino intrecciarsi e quindi vi devo anche il mio, un destino oscuro e maledetto che avrebbe potuto salvare il mondo solo se lo avessi cambiato. La magia che ci avvolgeva non era solo la mia era la prima volta che sentivo quella traccia magica, ma allo stesso tempo mi risultava così familiare. Quella era una flebile traccia che Odhinn aveva lasciato nel sangue che tramandava grazie a Ragnar.

Quella notte mi spogliai di tutto ciò che avevo, della mia armatura divina, delle mie armi, delle mie vesti e anche della mia barriera magica. Mi concessi totalmente al principe che con potenza faceva sentire la sua presenza nel mio corpo, era diverso da Mdi, lui non cercava di non farmi del male, lui non mi trattava come una bambola di porcellana. No, Ívarr cercava il totale appagamento di entrambi, al limite della resistenza dei nostri corpi. All’alba mentre il principe e ancora dormiva, svanì dalle sue stanze per riapparire nelle mie alla locanda, dove mi preparai un bagno caldo per scaldare le ossa gelate, eppure mentre l’acqua calda accarezzava la mia pelle non riuscivo a non desiderare di essere ancora tra le sue braccia; sentivo ancora il suo tocco su di me e lo bramo ardentemente. Quella mattina convinti Helgi ad uscire, andammo nel bosco, alla radura e gli raccontai delle sensazioni che avevo avuto all’arrivo di Loki; quando tornammo in citta di raccontai tutto quello che era caduto durante i mesi di saccheggio, passeggiamo sul porto avvolti dalle nostre pellicce calde e ascoltando l’energiamadri.ca che in quell’epoca aleggiava libera dall’inquinamento della mente umana, un’energia pura che connetteva tutta la natura e che permetteva agli stregoni di connettersi a loro volta con essa; fu su quei moli che io e il mio amico incontrammo il possente e conteso Björn, lessi nella sua mente che non sapeva nulla di quello che era venuto col fratello e quindi era ancora convinto di potermi fare sua. Guardai Helgi, gli sorrisi sognante e gli raccontai anche di Ívarr, di com’era nel Valhalla, di come lo aveva amato e di come lo avevo perso, poi gli raccontai di come ero diventata sua la notte precedente.

  • Helgi, la scorsa notte quando unito la mia assenza all’anima di Ívarr per l’eternità ho potuto scorgere i fili delle Norne. – gli dissi guardando verso la linea che confonde il mare con il cielo.
  • In lui scorre il sangue di Odhinn, come in tutti i figli di Ragnar, la loro magia anche se sopita è molto forte. Tu sei una strega potente, quindi forse l’unione di questi poteri cosmici ti ha permesso di accedere alla visione più proibita del mondo magico.

“La visione più proibita del mondo magico”, il Destino, le Norne. Tutto ciò che era scritto nel Grande libro, un libro di cui avevo solo sentito parlare, non lo avevo mai visto, Odhinn diceva che fosse andato perso da secoli. restammo seduti su una panchina goderci quella chiesa da area di fine primavera fino a quando non si alza una leggera brutta che ci in base agli occhi e le narici; era calato il tramonto quando ci dirigemmo verso la locanda dove stavo vivendo, rincasano per cenare e proprio lì seduto al bancone trovammo il principe Björn che attendeva il mio arrivo. Ora stava davvero cominciando tutto.

Si avvicinò a noi mentre chiedevamo il nostro solito tavolo e mi toccò la spalla, sapevo già che fossi dietro di me ma l’ho illusi che fosse stato il suo tocco ad attirare la mia attenzione; i suoi occhi non erano come quelli del fratello, il suo azzurro era più come il cielo e meno come il ghiaccio, ispiravano serenità ma allo stesso tempo erano pervasi da tutte le battaglie che aveva affrontato. Mi offrì dell’idromele e mi chiese se volessi cenare con lui, ma mentre Helgi si sedeva al bancone io declinai l’offerta del principe, non posso dire di non sapere cosa pensò, io potevo conoscere i suoi pensieri; eppure, quella volta scelsi di non ascoltare. Non disse molto, semplicemente si allontanò verso un tavolo vicino una delle finestre e cenò, da solo; mi avvicinai al bancone dove lo stregone si era accostato e con la coda nell’occhio osservai il principe che silenziosamente avrebbe potuto dare il via ad una guerra, ed ero certa che lo avrebbe fatto, decisi che quella stessa notte gli sarei apparsa in sogno e gli avrei narrato la gloria del loro futuro.

Mi proiettai con la mente nelle sue stanze, nel suo letto c’erano due donne snelle, bionde e profondamente addormentate, ma lui no, e poi senti la sua voce provenire dall’altro lato della stanza.

  • Allora è vero che sei una strega! Quando Sigurðr mi ha raccontato dei suoi sospetti non volevo credergli. Dimmi, allora sei qui per uccidermi?
  • No, principe sono qui per dirvi che non è il vostro destino avermi al suo fianco. Il mio cuore, il mio corpo e la mia anima non appartengono a voi, e tanto meno voi appartenete a me. Siete stato corrotto da una magia oscura che non proviene da me. Non ho fatto mistero con vostro fratello della mia natura, ma la persona che vi ha incantato è una persona alla quale avete dato fiducia e che vi ha tradito.

Lui rimase lì, appoggiato alla finestra di quella stanza mentre quelle due donne dormivano nel suo letto, mi osservava e cercava di capire se le mie parole corrispondessero a verità, potevo vedere nella sua mente la collera, la confusione e l’amore che professava per me, ma attorno al suo cuore potevo percepire gli incanto occulto a cui era stato un sottoposto, un incantesimo potente che poteva essere sciolto solo con l’amore. Un amore che lui non provava più perché ormai il suo cuore era pervaso dall’odio, l’odio al quale aveva puntato Loki; il Dio dell’inganno aveva fatto le sue mosse, io non ero stata attenta per vederle e ora arriva piantato il seme della guerra, in quel momento non ebbi alcun dubbio, sapevo perfettamente al fianco di chi mi sarei schierata. Non importava se quelle fossero faccende umane, lui aveva il mio cuore, la mia anima e la mia fedeltà, forse era quello chi aveva tentato di dirmi Helgi con le parole scritte in quel diario, forse era questo che dovevo fare. Forse, invece di pensare ad una guerra lontana, avrei dovuto prima salvare la mia casa.

11

La guerra

Odio, frustrazione e risentimento, di solito sono questi sentimenti alla base di una guerra, ma quella era diversa dalle altre guerre che i fratelli avevano affrontato. alla base di quella guerra non c’erano solo sentimenti negativi, quella era una guerra tra due fratelli che combattevano per l’amore.

Sai Hellen, le guerre sono sostanzialmente tutte uguali, che siano guidate dalla ricerca di potere, dall’odio verso un nemico o anche verso un proprio fratello, che abbiano come obiettivo un trono oh l’amore di una donna, durante una guerra muoiono vite, le anime vengono liberate dai loro corpi e finiscono, almeno in parte, nell’Ásgarðr, ma oggi devo parlarti di quelle anime che non finiscono tra le mani di Odhinn, quelle anime che vengono risucchiate da Hela prima che le Valchirie facciano la loro cavalcata verso il campo di battaglia. Quelle anime saranno i tuoi aguzzini, i tuoi, i miei persecutori, quei segugi da cui scappiamo io ed Helgi non sono altro che le anime rubate da lei prima dell’arrivo delle donne guerriere; molte di quelle creature sono state create da noi, è stata tutta colpa di quel nostro incantesimo che allegato l’energia vitale dei due principi alla nostra. Quando la guerra ha bussato alla nostra casa ho rotto le regole della magia, le sacre regole che la nonna ci aveva insegnato e ho legato entrambi alla mia stessa vita, eppure questo non ha fermato la distruzione di Kattegat, anzi l’accelerata e ha creato molti dei segugi che dovrai affrontare, amici che dovrei uccidere di nuovo. Hellen loro erano tuoi amici, i guerrieri di entrambe le fazioni erano tuoi amici e Loki chi è chiesto di schierarti, e noi lo abbiamo fatto, abbiamo preso una posizione e ciò potrebbe averci ucciso.

Hellen ricordati sempre che tu lo amavi, Ívarr era l’unico uomo e tu avessi mai desiderato così intensamente, l’unico uomo tu avessi mai amato e l’unico guerriero al cui fianco tu hai desiderato di morire. Non lo hai tradito, almeno non all’inizio; eri al suo fianco quando la guerra è cominciata e poi qualcosa è andato storto, lui ha ucciso suo fratello. All’inizio sei scesa sul campo di battaglia al fianco di quello che davanti agli Dei era tuo marito, Ívarr, e al fianco di suo fratello Sigurðr, credevi fermamente che avrebbero saputo gestire il regno e poi Ívarr ha giocato al tiro al bersaglio colpetto di Sigurðr. Eravate all’accampamento, c’era una tregua in atto e Sigurðr stava cercando di convincere Ívarr a sancire una pace con Björn, ma l’odio del fratello maggiore era più potente, più radicato e non avrebbe mai acconsentito ad una pace, in fondo il suo grande e grosso fratellino gli voleva rubare il trono dopo aver tentato di prendersi la sua donna. Io, noi abbiamo scatenato questa guerra perché non abbiamo seguito gli ordini e non ci siamo legate al fratello minore, eppure sono abbastanza certa che la guerra sarebbe scoppiata ugualmente in fondo era questo che voleva il nostro nonno preferito. Hellen, semmai il mio piano dovesse funzionare e questo diario dovesse esserti recapitato, leggi attentamente le mie parole: non fidarti di Loki, lui non e chi sembra, anzi lui è proprio chi sembra quindi non credere alle sue parole di amore, non sono mai state sincere. Prima della caduta divina, col tuo arrivo al palazzo dorato i suoi piani erano cambiati, non voleva più distruggere gli Dei, voleva rimediare agli errori ti aveva fatto con i suoi figli ma questo cambio di rotta era stato generato da te, dal tuo animo limpido e, dal bene e dal rispetto che gli altri Dei ti riservavano; Loki aveva deciso di redimersi, ma qualcosa è cambiato, non so in che momento preciso, potrebbe essere quando ha scoperto chi è il nostro padre o forse quando si è ritrovato nel regno dei morti con la sua figlia più oscura. non è importante quando ha deciso di tradire, è importante che lo abbia fatto. Loki ha modificato la storia, anticipato un evento che sarebbe dovuto avvenire anni più avanti, ha così creato un ambiente favorevole alla creazione di qualcosa di molto più grande spaventoso, ma quando me ne sono resa conto era già troppo tardi non potevo più fermare la fine che stava cominciando.

pochi giorni dopo avere incatenato l’energia vitale dei due principi alla mia, nel tentativo di salvarli entrambi, ho visto nostro nonno addentrarsi nelle nella foresta alle spalle della città e spinta da una strana inquietudine l’ho seguito confondendo mi sul piano astrale con la magia, non ero dietro di lui fisicamente ma con la mente si e grazie alla mia profonda connessione con l’energia magica di quei luoghi sono riuscita ad ampliare il mio occhio astrale, quasi come fa Odhinn vedendo attraverso i corvi; l’ho seguito attentamente fino al cuore della foresta dove si è incontrato con una figura incappucciata.

  • Io prenderò ciò che mi spetta di diritto, anche se la tua coscienza continua a lottare contro la mia magia io avrò ciò chi mi appartiene. Non mi importa se lei ha capito il mio gioco, io riuscirò a vincere figlia mia!

“Figlia mia” ripetei nella mia mente, avevo pensato ad Hela, ma quando quella donna abbassò il suo cappuccio vidi che non era lei, i suoi occhi li avevo già visti: quella era la donna che mi aveva quasi ucciso il giorno dell’attacco al palazzo. quella era mia madre. Alle parole di Loki la donna annuì e avvolta da una nube verde spari, incrociare lo sguardo di mio nonno, cercai ancora un barlume dell’umanità di Floki, ma i suoi occhi erano come assenti, non era rimasto nulla di quell’uomo che si era sacrificato per gli Dei.

quella sera stessa, mentre ero fra le braccia del mio amato principe, percepì la mente di Björn che organizzava una rivolta nei confronti del nuovo re, ed era appoggiato dal fratello Hvítserkr, il quale pochi mesi prima fu costretto ad assistere all’esecuzione della donna che amava da parte del fratello maggiore. Ricordo che quella notte svegliai Ívarr in preda al panico, quando ero nel Valhalla mi aveva raccontato di come lo avevano ucciso, a tradimento nel suo stesso letto e non volevo che fosse quella la notte della sua morte; lo scossi, urlai il suo nome e lo convinci a fuggire con me. prendemmo lo stretto indispensabile, poche armi, qualcosa per rifocillarci e due cavalli per fuggire; una volta aggiunti fuori città, alla piccola casa di Helgi ci fermammo alla sua porta e lo svegliamo nel cuore della notte.

  • Non potete rimanere qui! – ci intimò lo stregone, dopo aver caricato sui nostri cavalli delle pellicce che ci dovevano tenere al caldo.
  • – lo interruppi chiamandolo da vicino al camino – Io non ti lascerò indietro, tu verrai con me, non per metterò che ti prendano e ti torturino per sapere dove sono.

Non rispose subito, in fondo quella era diventata la sua casa da quando era riuscito a liberarsi dalla prigionia di suo padre, mi scrutò incuriosito e desideroso di risposte, ma alla fine, senza protestare aprì una botola al centro della stanza e ne prese una borsa, in fondo al cuore aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuto fuggire da quel posto.

Avevo raccontato ad Ívarr della mia magia, ma mai io avevo detto quale fosse la mia natura, eppure mentre cavalcavamo lontano dalla nostra casa lui si accostò a me e per un lungo momento, che sembrò durasse un’eternità, mi scrutò attentamente facendo arrivare il suo sguardo fin dentro il mio cuore.

  • Dimmi la verità, in parte tu sei divina. – disse sorprendendo me e il mio amico stregone.

lo guardai con la coda nell’occhio mentre cavalcavo, la sua figura a cavallo poteva sembrare come quella di un qualsiasi guerriero e per quanto fosse temuto non mi aveva mai provocato il terrore che sentivo in quel momento. Feci per parlare, ma lui intervenne prima.

  • Credo di averlo sempre saputo, ma da quella notte ho cominciato a sentire come se tra noi ci fosse un’energia che ci accomuna.

in quel periodo non sapevo cosa fosse, Odhinn si era sempre rifiutato di parlare di mio padre quindi non potevo sapere quello che poi avrei scoperto, e credevo che quell’energia percepito dal principe, anzi dal re perché ormai Ragnar era morto da mesi, non fosse altro che il mio incantesimo.

  • Ho solo un dubbio. – mi disse ancora – Questa guerra è stata voluta dagli Dei? Tu sei un loro strumento?

A dire tutta la verità non riuscì a rispondere a quella domanda, come avrei potuto farlo?! Quando avevo deciso di non fidarmi di Loki, avevo anche deciso che non sarei stata come loro, come le persone che mi avevano “cresciuta”, non avrei voluto mentirgli ma rispondere che: “quella guerra fosse stata voluta dagli Dei” era una menzogna, perché quella guerra era stata scatenata per puro egoismo. fu allora che Helgi alleggerire il mio peso.

  • Non è uno strumento degli Dei, lei ha una missione. lei salverai il mondo in cui vive e qualcuno, invece sta provando a fare l’opposto facendo credere e tutto ciò sia volontà divina. Synnøve se ne farà una colpa per lungo tempo prima di comprendere che non avrebbe potuto impedire gli eventi di questa notte, ma poi un giorno si rassegnerà e lo capirà.
  • Avrei potuto se non mi fossi fidata ciecamente! – ringhiai.

il principe smise di fare domande su di me e prima di arrivare ad un rifugio mi guardo più di una volta furtivamente e pensò: “eviterò che il piano del tuo nemico possa avverarsi, la mia città, la tua casa resisterà ad ogni costo”.

Dopo quel giorno, ci rifugiamo per un po’ in una casa nel cuore della foresta, quella che per tanti anni era stata la casa di Floki, e poi Sigurðr re per i soldati, contadini, giovani fanciulli pronti a lottare e anche delle valorose skjaldmœr, che per quanto odiassero il re erano pronti a riprendersi la loro casa e lì nella vecchia casa del defunto Floki si preparavano a combattere al fianco di Ívarr il Sanguinario, che era fuggito dalla voce serpeggiante di mio nonno Loki. Forse se Björn ah visse saputo che quello non era l’uomo che conosceva, se avesse saputo che Floki aveva dato la sua vita per creare un involucro per il Dio, allora le cose sarebbero potute andare diversamente, forse se il principe avesse conosciuto la verità, se l’avesse intuita come aveva fatto suo fratello la guerra non sarebbe cominciata, eppure la guerra cominciò.

era il primo giorno d’autunno quando le truppe di Ívarr furono pronti a mettersi in marcia e noi l le eseguimmo come spettatori, restammo sempre nelle retrovie stringendo nervosamente le nostre “armi”. Helgi consultava le rune ogni giorno cercando un responso diverso, ma non aveva mai il coraggio di rivelarmi ciò che aveva letto e io non lo domandavo eppure fremevo dalla voglia di infilarmi in quella battaglia e fermare quei due fratelli. stringevo ogni volta che vedevo gli uomini partire l’elsa della mia spada “Conscidisti” scaricando il lei tutti i miei timori, tutta la mia magia che voleva fluire fuori e galleggiare in quel mondo pervaso dalla guerra; dall’accampamento potevo sentire lontananza le urla degli uomini che cadevano sotto i fendenti dei loro stessi amici, i rumori metallici delle lame che si incrociavano e poi quando i superstiti tornavano, ciò che si era solo immaginato diventava realtà. L’esercito di Björn era più numeroso e più spietato di quello che ci si potesse aspettare, ma all’alba del terzo giorno prima che le schermaglie potessero cominciare percepì l’avvicinarsi della magia del giovane principe; i figli di Ragnar si erano radunati al centro dell’accampamento, attorno ad un tavolo per “fare colazione insieme”, la verità era che Sigurðr aveva supplicato l’amato fratello nel cercare una tregua con il loro stesso sangue. a capotavola dando le spalle all’entrata del campo era seduto Ívarr inn beinlausi, alla sua destra il suo secondo in comando il fratello Sigurðr ormr í auga e alla sua sinistra la loro torre di vedetta, io. Di fronte al re c’era seduto il principe Björn, alla cui destra si posizionava in mobile il loro fratello Ubbe, alle cui spalle una skjaldmœr dallo sguardo penetrante le poggiava la mano sinistra sulla spalla per far sentire la sua presenza mentre la destra stringeva l’elsa della spada, lei era Gunnhild la sua sposa. al fianco dei due principi era seduto il loro “fedele” Floki che furtivamente cercava il mio sguardo, era la sua destra sedeva Hvitserk che con l’aumento progressivo della sua magia stava lentamente perdendo il senno.

  • Rinuncia al trono fratello e tutto questo finirà! – gli intimò solenne e allo stesso tempo minaccioso Ívarr.
  • Tu distruggerai la nostra casa solo perché non hai conosciuto l’amore di nostro padre. gli Dei non ti hanno scelto, rassegnati! – gli rispose Björn sfidandolo.

quei due non sarebbero mai riusciti a trovare un punto di incontro da soli, si odiavano fin dentro le ossa e quelli incontro era come spargere benzina sul fuoco. “Björn non può parlare a nome degli Dei, ma tu sì! Loki ti ha ingannato e non puoi rimanere lì ferma senza schierarti, noi abbiamo deciso non appoggeremo nessuno dei due. È Hvitserk il futuro re di Kattegat, lui come suo fratello Sigurðr ama la sua città e non vuole vederla perire sotto il sangue dei suoi stessi abitanti. Fai la tua mossa, combatti o tessi un nuovo destino per questi uomini, ti sarà precluso essere uno spettatore inerme” così riso no nella mia mente la voce del grande Odhinn, loro che non si immischiano negli affari umani avevano deciso che questa volta mi valeva la pena e ricadeva di nuovo su di me il compito di portare a termine la loro volontà.

  • Fratello non fare così, cerca di essere più sciolto con la mente, sono qui per cercare la pace. – supplicò Sigurðr ad Ívarr, ma il fratello non aveva alcuna intenzione di cercare la pace con colui che vedeva come un usurpatore, Ívarr era deciso a vincere e lo avrebbe fatto alle sue condizioni.

Riuscì ad uscire dalla trans appena in tempo per vedere gli occhi del principe diventare Rossi dall’odio e nella foga sentirlo pronunciare le parole che lo avrebbero portato alla distruzione.

  • Tu dovresti essere dalla mia parte e invece sospetto che questa tua voglia di fare la pace sia solo una scusa per tradirmi. Sei un bastardo, come tutti gli altri vuoi ciò che spetta a me di diritto.

Fu così che preso dalla furia di quel momento, mentre pronunciava quelle parole afferrò una delle asce poggiate sul tavolo e la conficco nel petto del fratello, nessuno fece in tempo a muoversi che il sangue cominciò a sgorgare corsi da lui e provai affermare quel sangue. In un futuro lontano io e quel principe ci eravamo scambiati una promessa, in un futuro lontano gli avevo giurato che il suo passato sarebbe stato diverso e non avevo fatto altro che cambiarlo, ma il peggio. avevo anticipato la sua morte in quel luogo, in un tempo in cui non sapevo come agire per salvargli la vita e dovete tenerlo tra le mie braccia mentre saliva l’ultimo respiro perdendo tutto ciò che avrebbe potuto avere.

  • Io ti ho vista sai? In un sogno, eri avvolta da una luce accecante, mi avresti salvato la vita se le cose fossero andate diversamente. quella fata che non incontrerò mai, io l’ho amata dal primo istante che l’ho sognata, diglielo che l’ho amata perché lei confida in te Hellen. Conosco il tuo nome Supremo e ho fiducia che tu cambierai questi eventi, sono certo che tu me la farai incontrare. Addio.
  • No, ti prego! Sigurðr resta con me, avrei dovuto legare anche te alla mia vita, così ti avrei salvato sicuramente! – mi guardò un’ultima volta, probabilmente con la mente era con Astrid e ciò che aveva sognato di lei, e poi se ne andò con in volto la serenità. Loki, Ívarr, Björn avevamo rovinato la mia casa, la loro casa per una smaniosa ricerca di potere, non lo avrei permesso, non avrei permesso un solo altro combattimento. Dovevo cambiare le cose. Mi alzai lasciando cadere il corpo morto di Sigurðr al suolo, sull’erba bagnata, alzai lo sguardo e osservare gli occhi di ognuno degli uomini seduti a quel tavolo. più li guardavo più sentivo la mia rabbia aumentare e con essa il mio potere, i miei occhi mutarono il loro aspetto il loro colore la mia energia magica si sprigionò totalmente e il marchio che portavo sulla schiena cominciò a bruciare come il sole d’estate, il mio corpo cominciò a lievitare senza accorgermene mi schierai in quella guerra.
  • Nessuno di voi due degno di sedere su quel trono, nessuno di voi due benedetto dagli Dei. Odhinn Accetterà solo uno dei figli di Ragnar sul trono della Scandinavia e quel figlio è Hvitserk, il principe Pazzo. Tu sei baciato dalla potenza divina e dal dono della preveggenza. Se continuerete questa guerra avrete gli Dei a fronteggiarvi.

Ero avvolta dalla magia e la percezione del mondo esterno veniva filtrata da quei flussi potenti, potevo vedere ogni cosa, ogni filo tessuto dalle Norne; potevo sentire il flusso della vita della natura scorrermi attraverso il corpo, ma potevo sentire anche la morte che camminava su quel campo di battaglia indisturbata. alzi l’indice verso Loki come se volessi indicarlo lo sollevai dal suolo e poi avvolsi le mie dita attorno al suo collo.

  • Floki! – urlarmi insieme i principi. erano d’accordo su una sola cosa: i sentimenti che provavano per quel mortale, e per quanto Ívarr fossi a conoscenza che del vero Costruttore non c’era più traccia, quel corpo era ancora il suo.

“Traditore, proverò un modo per distruggerti e una promessa!” gli sussurrai. non volevo farmi sentire dagli uomini e non potevo permettere che Loki uccidesse altre persone su quel campo; lo lasciai andare lasciandolo precipitare al suolo e poi dopo aver preso il corpo morente di Sigurðr, i cui fili della vita stranamente non erano ancora stati recisi, volai via come una visione che sparisce, e dietro di me avevo Helgi che mi seguiva fulmineo. Ci rifugiamo su di una montagna nord del campo di battaglia, quel giorno avevo finalmente mostrato tutta la mia forza e potenza, non ero più un semplice mezzosangue, la notte dell’attacco mi era stata donata l’immortalità e la divinità, o meglio l’avevo liberata; quei poteri erano molto più grandi di quanto Helgi avesse potuto immaginare quando mi aveva richiamata a combattere ed io finalmente riuscivo a controllarli.

Ogni giorno per tre giorni all’alba uscivo dalla casetta in cui ci rifugiavamo, salivo sul pizzo più alto e osservavo, vigile come un corvo il campo di battaglia e gli accampamenti; i figli di Ragnar avevano deciso di continuare a lottare e gli Dei avevano deciso di lasciarli morire per un po’ ma fino a quando avrebbero potuto lasciare che la città di Kattegat cadesse in rovina? la risposta arrivò quando Ívarr muori e suo figlio non ebbe una casa a cui tornare. la popolazione della città era decimata, chi rimaneva era stanco della guerra, i commercianti non volevano più fare affari con quei fratelli così legati al potere e fu allora che Il Veggente il comunico che se avessero continuato a farsi la guerra la città sarebbe andata distrutta sotto la furia divina, Odhinn aveva finalmente deciso di intervenire, solo che quelli intervento non riporto tutti a casa. Dopo la mia fuga, con la magia sprigionata avevo ridato vita al principe, ma non ero certa che avesse incontrato lei; grazie all’intervento del Grande Padre, Hvitserk salì al trono come gli avevo detto quel giorno al campo, Jarl Il Veggente gli insegnerò ad usare il suo dono e il fratello Björn parti scoprendo dalla città in una notte di luna nuova. Non posso dire che non tornò più a casa, ma di certo non vi tornò durante il periodo della nostra sorveglianza; eppure, prima di andare via mi trovò, e non si meravigliò di scoprire che ero rimasto a vegliare su di loro per tutto quel tempo, mi disse che il giorno in cui Ívarr era stato ucciso aveva creduto di sentire un mio grido che aveva straziato le nuvole hai fatto piangere gli Dei. Ma prima di andare via mi promise di mantenere il mio segreto, un altro segreto che portavo con me da mesi; quando l’erede al trono di Kattegat nacque lo prese con sé e mi giurò di non parlargli mai di sua madre o di suo padre, solo allora distolse lo sguardo dalla mia casa, lasciando il futuro della città nelle mani dei due fratelli che rimanevano, i principi che avrebbero reso grande la mia casa.

Quando io ed Helgi lasciammo quel nascondiglio tra le montagne, lo facemmo con la consapevolezza che Eirík sarebbe stato guidato nella lotta da Björn Járnsíða e che un giorno sarebbe stato lo stesso Hvitserk a guidarlo nelle arti magiche, così da essere pronto a governare al posto di suo padre, Ívarr. Speravo, volevo credere che sarebbe stato diverso da me e da Ívarr, che avrebbe fatto grandi cose se solo non avesse saputo chi fossero i suoi genitori. Lui che era la progenie di una magia così potente come la mia, lui che era il figlio di due assassini che nella storia sarebbero stati ricordati come il male assoluto, mai avrebbe dovuto conoscere i nostri nomi accostati al suo. Furono queste le conseguenze di quella guerra tra fratelli, una guerra che aveva portato tanta morte e altrettanta distruzione, e che alla fine aveva fatto sorgere una nuova luce per il mondo e per cui la stessa città. l’erede della speranza e dell’oscurità era nato, un uomo che avrebbe fatto invidia agli Dei e avrebbe fatto rifiorire Kattegat prima della guerra finale. Lui era tutto ciò che avrei potuto chiedere da una vita umana, tutto ciò che ho ottenuto. Anche se per poco.

12

Il Ponte Arcobaleno

Non ci allontanammo molto dalle coste di Kattegat, ci rifugiamo sulle montagne dell’entroterra, in quelle che erano le rovine di un antico tempio usato spesso da Odhinn come via per discendere tra gli uomini mortali. Quello era un punto di convergenza che si affacciava sul grande ponte: Bifrǫst; da quando era partita avevo lasciato che le cose accadessero senza oppormi, credevo che i fili delle Norne non potessero essere spezzati, ma durante la guerra avevo imparato che in alcuni casi, i fili di quelle tre vecchie megere potevano essere recisi, bisognava solo trovare il momento più opportuno della storia per farlo.

Era passato quasi un anno da quando ero partita e da allora avevo appreso di non poter cambiare il destino dell’uomo chiamavo, ma avevo provato a cambiare il destino della mia casa; avevo allontanato Helgi dalla sua casa e chissà sei nel futuro lo avevano catturato. Avevo accettato il tradimento di Módi e Loki, e infine avevo giurato che gli avrei distrutti entrambi. Da quando mi ero messa in viaggio avevo cercato di ritagliarmi nelle giornate un po’ di tempo per meditare, per inoltrarmi in quella che è l’essenza pura del Grande Albero, era di nuovo estate quando ritornai nella terra dorata. Ero nella sala delle offerte del tempio, quando fui chiamata al cospetto del Padre di Tutti. Il Ponte Arcobaleno si aprì alle mie spalle, il potere di Bifrǫst mi sposò i capelli che mi accarezzavano il sigillo sulla schiena, ma restai immobile nel mio cerchio di energia, fino a che non si chiuse e fu allora che quel caldo bagliore di magia divina lascio il posto al Dio che Tutto Vede: il possente guardiano del ponte, Heimdallr.

  • Voi che venivano altra terra, voi che venite da un’altra era, siete chiamata al cospetto del Re. avete tagliato i fili delle Norne, impedendo al destino di compiersi, impedendo la morte dei due principi.

Restai lì, ferma dove ero sempre stata, ascoltando quelle parole pronunciate con tanta durezza, e quando fini mi alzai portando i capelli sulla mia spalla sinistra, scoprendo così il marchio in modo visibile. Mostrai cos’ero, chi ero a quel Dio che saldamente sorgeva alle mie spalle; non percepì alcun timore, né cambiamento d’alcun genere nell’animo di quel Dio, quindi con leggiadra eleganza mi accinsi a spegnere il cerchio di magia dove ero racchiusa; spegni le candele provocando una folata di vento e poi recisi il nodo di protezione, disegnato sul pavimento, cancellandone una piccola parte, depositi le candele spente in un angolo di quell’antica sala e poi mi voltai verso di lui, nei suoi occhi per un istante e baleno la sorpresa il terrore. scruta e la sua figura che attendeva la mia parola, il Dio Splendente era statuario e non mostrava alcuna debolezza, ma ne aveva e io lo sapevo bene.

  • Mi dite da avere impedito la morte dei due principi, eppure uno di loro e morto, la mia magia ha fallito. – dissi cercando di non far traspirare nessuna delle mie emozioni. Il Dio non proferì parola e nemmeno si mosse dal punto in cui era atterrato.
  • Il mio compagno di viaggio non verrà con me, questa e la mia unica condizione. – continuai cercando una sua reazione, e comunque non avrei permesso a quegli egocentrici di compromettere la missione, se io fossi andata, lui sarebbe rimasto.

Heimdallr continuò a non esprimersi e poi d’improvviso cambio espressione, come se fosse in ascolto di qualcuno e quando ebbe finito di ascoltare la voce che gli risuonava nella mente torno serio impassibile.

  • Verrete da sola giovane guerriera e porterete la vostra migliore arma con voi. Scegliete bene avete una sola occasione a disposizione. – furono queste le sue parole. Ovviamente non mi ci volle molto per pensare alla mia arma, ma non capivo a cosa servisse.

Scrissi un biglietto ad Helgi che legai al manico del pugnale incantato, erano delle istruzioni su cosa fare se non fossi tornata e poi lo nascosi dietro i ruderi di una vecchia statua e presi la spada che avevo sguainato il giorno della caduta. Non sapevo cosa mi sarebbe successo, ma per la prima volta non avevo paura di tornare a casa, non avevo paura di scoprire che la mia casa non esistesse più. Quella volta ero pronta a cercare i tuoi miei occhi i bagliori delle guardie nella notte, ad ascoltare il grido trionfante delle Valchirie e dei loro Pegaso alati. Finalmente potevo rivedere ciò che i miei occhi bramavano e che ero riuscito a vedere solo con la Visione, potevo rivedere le grandi distese della terra dorata; finalmente tornavo dove tutto era cominciato: a Ásgarðr. Eppure, Il motivo per il quale stavo tornando era la mia morte, ovviamente non sarei morta davvero ma in quel momento non lo sapevo e di certo non potevo immaginarlo.

Presi la mia arma, la all’acciaio alla vita e poi raccolsi il mio mantello nero, come la pece. Sospirai pensando a ciò che sarebbe successo nella Terra Dorata, pensai che Odhinn non perdonasse coloro che andavano contro il loro volere hai desiderai una morte veloce, ma poi mi ricordai che il padre di tutti mi era parso durante la guerra, che lui mi aveva detto come agire e quindi per un secondo credetti che forse non mi avrebbe uccisa. Ovviamente mi illudevo, l’intenzione del Grande Sovrano era proprio quella di porre fine alla mia vita per come la conoscevo, scrolla le spalle al pensiero di rivederli per un per quel motivo e poi rassegnata mi avvicinai al possente Heimdallr, lo osservai nella pienezza della sua figura: le spalle rigide e aperte che non lasciavano guardare ciò che si lasciava dietro di esse, i muscoli del suo corpo tesi e contratti pronti a qualsiasi tipo di azione, la mano che con forza cingeva l’impugnatura della spada era il centro più intenso della sua magia, il fulcro di tutte le sue azioni. mi misi al suo fianco destro è vicino a me sentivo pulsare quell’immensa magia, un bagliore avvolse i suoi occhi e sul pavimento comparve il sigillo del Grande Ponte, poi quel bagliore avvolse entrambi e le luci di un magnifico arcobaleno mi invasero ieri d.

Ricordo perfettamente il giorno in cui vidi per la prima volta Bifrǫst, era una bambina affidata ad un orfanotrofio della provincia di Londra. Nessuno sapeva chi fosse mia madre o da dove venissi, ero stata lasciata alla soglia di quello orfanotrofio con pochi giorni di vita e senza neanche un bigliettino; mai mi ero illusa che un giorno sarei stata reclamata dalla mia famiglia. Quel giorno camminavo per il piccolo paesino cercando un abito nuovo per il mio quinto compleanno, ero con una delle due donne che dirigevano l’orfanotrofio, quell’abito nuovo sarebbe stato il mio regalo. Quando vidi il Ponte Arcobaleno ero seduta sul prato del piccolo parco al centro di quella cittadina, un bagliore di luci colorate in lontananza attrasse la mia attenzione. Sembrava un comune arcobaleno, un arcobaleno nato con la mancanza di pioggia che scatenò un’energia impercettibile per i mortali, ma che io percepisco una leggera scossa del suolo; un movimento naturale del suolo che lasciò il segno dentro di me. Quel bagliore mi aveva sempre affascinato eppure col tempo lo avevo dimenticato, ma ogni volta dopo un acquazzone, cercavo l’arcobaleno che mi aveva infuso quel senso d’appartenenza senza trovarlo mai, e poi la notte del mio diciottesimo compleanno lo rividi. Era una notte buia quella in cui compii diciotto anni, la notte in cui tutto mi venne rivelato era identica alla notte in cui secoli prima ero nata. Hellen, la bambina senza genitori era nato dall’unione di una principessa bastarda delle fate, figlia di Loki e della fata che era la moglie del principe elfo Lars, e da un potente stregone vichingo; sua madre non era una fata pura di cuore e per questo la abbandonò come i suoi genitori avevano fatto con lei, ma Hellen aveva suo padre che però essendo potente aveva molti nemici i primi erano i figli di suo fratello, i quali non conoscevano la verità sul passato di famiglia e quindi lo perseguitavano. La verità è che Hellen non fu abbandonata sulla soglia di quell’orfanotrofio, suo padre che si aiuta qualcuno di più potente, che si aiuto a quello che era il nonno paterno della bambina: Odhinn. Hellen doveva essere portata lontano dai pericoli della loro famiglia, doveva crescere amata e ignara della sua natura, fino a che non sarebbe diventato impossibile da nascondere, e quel giorno arrivò poco prima della notte del mio diciottesimo compleanno, ero ancora una bambina per la legge ma sapevo che il dentro di me qualcosa stava cambiando, che ero diversa da tutti gli altri, non sapevo quanto però.

Ero alla finestra della mia stanza aspettando la mezzanotte per esprimere un desiderio, volevo essere come tutti gli altri ma quando alza lo sguardo verso il cielo rividi quell’arcobaleno; sedi velocemente le scale e in pigiama mi fiondai in strada, quando quella luce colorata svanì lasciò il posto ad un uomo anziano con un occhio bendato al cui fianco destro impugnava una lancia dorata che illuminava l’oscurità di quella notte. Odhinn era accompagnato dal Dio che tutto vede, il quale impassibile teneva puntata verso il suolo la sua lama ed anche allora ricordo che il suo sguardo cambiò nel vedermi, come se non si aspettasse di vedere proprio me e forse questo è uno dei motivi per i quali ho scelto di cambiare nome durante il mio viaggio, oltre alla paura di imbattermi nei miei genitori e al semplice fatto di odiare quel nome. Mi era sempre stato detto essere un nome della famiglia di mia madre e per questa ragione non provai alcun rimorso nel desiderare di cambiarlo; le fate mi avevano insegnato molto, ma non volevo essere come loro la mia missione non richiedeva la gentilezza che scorreva nel sangue di quella razza, io dovevo essere come Odhinn e quindi lo diventai, di nome e di fatto, assumendo un nome della sua discendenza.

Il portale che Heimdallr protegge è sempre stato, per me, un sogno impossibile da raccontare. Una visione bellissima che dalle mie stanze nella terra dei grandi sovrani potevo ammirare ogni volta che si apriva, i miei occhi si riempivano di luci e il mio cuore di gioia per non so quale ragione, era come se quel ponte potesse toccare le profondità più nascoste della mia anima anche se avevo sempre continuato a desiderare la normalità degli esseri umani. La Via vai multicolori non e davvero ricolma di tutte quelle luci che percepisco; il ponte ha tre colori, la manifestazione perfetta di sacralità, e il suo rosso rappresenta il fuoco che arde. L’altra estremità del ponte sul quale sono incise delle rune, giunge ai piedi della rocca di Himinbjǫrg, dove si spalancano i cancelli di Ásgarðr, dove Heimdallr veglia giorno e notte. Credevo che il mio destino fosse salvarli e invece ero lì ad attendere che mi uccidessero, pensai mentre avvolta dalla magia poco prima di arrivare all’estremità del ponte nella terra dorata; eccoci giunti al giorno della mia morte, mi faranno lottare contro Thor e cadrà sotto la sua fulgore, come tutti i nostri nemici. ma io non ero uno dei l’oro miei amici.

Due erano i cavalli che ci attendevano alla rocca, quello nero era per il Dio e quello marrone, senza sella era per me; conoscevo quel cavallo, le storie raccontavano che non fosse mai stato addestrato, fino a quando non giunse una strega che col solo tocco lo aveva calmato e addomesticato per sempre. quello nel futuro sarebbe stato proprio il nostro cavallo, il mio, ma quando lo vidi allora non portava ancora la macchia nera sulla fronte, fu quando lo accarezzai che si calmò e durante il galoppo comparve quel segno distintivo. Col mio tocco avevo infuso parte della mia essenza in quella cavalla, creando un legame eterno impossibile da distruggere; cavalcheremo per circa due ore sulla strada che collega la rocca alla fonte di Urðarbrunnr, il luogo silenzioso, all’ombra del grande frassino Yggdrasill, dove generalmente gli Dei tengono le loro assemblee. Ritornare in quei luoghi mi diede l’illusione che la guerra fosse finita, il senso di pace che mi invase mentre ammiravo le lande e le distese fiorite, mi illuse di aver sognato gli ultimi mesi, l’ultimo anno ma in cuor mio sapevo che non era così; la vita che stavo vivendo, la guerra che stavo combattendo avrebbero cancellato tutta quella felicità e serenità se mi fossi distratta da quella vicini per un solo secondo. Quell’anno avevo imparato davvero un solo punto debole e se il piano avesse funzionato quella variabile sarebbe stata cancellata dall’equazione, ero vulnerabile, e allo stesso tempo invulnerabile, immortale e invincibile, ma avrei sacrificato ogni cosa per le persone che amavo. Quando arrivai al cospetto del Grande Frassino potrei percepire le molecole della mia magia respirare, come si nel Miðgarðr ci fosse qualcosa che le teneva rinchiuso in una gabbia per limitarne la potenza, in tanti fatti era così. in tempi antichi era stato stabilito che determinate doti non potessero toccare gli uomini e per questo era concesso usarle solo in luoghi prefissati, come i piedi dell’Yggdrasill. Rispetto alle altre volte, in quel momento fu più bello rivedere il Grande Albero, fu come quando torni a casa e trovi il tuo piatto preferito in tavola; se ti va a cavallo senza neanche distogliere lo sguardo dal possente tronco e vi poggiai la mano, ero tornata a casa, ero nella mia terra, una terra che non credevo mi fosse mancata così tanto.

  • Allontanate le vostre mani dall’Albero Sacro, sudicia strega! – mi intimò ho la voce di Freya. Era sempre stata schivo e diffidente con chi risultava più potente di lei, ma era la prima volta che usava rivolgersi a me con quei termini, mi venne da ridere al solo pensiero che da lì a qualche secondo mi avrebbe trattato diversamente.
  • Se non erro anche voi siete una strega, nobile Freya.

La risata di suo fratello risuonò fragorosa la mia risposta, lì solo Loki osava sfidare la strega Freya e io, che ero solo un’umana, avevo usato mancarle di rispetto. Hellen posso giurarti chi mi girai a guardarla solo per ammirare il suo volto imbruttirsi e le sue labbra provare a pronunciare un incantesimo, ma quando ebbe terminato non avvenne nulla fu allora che scoppia io in una fragorosa risata. Era facile bloccare i suoi incantesimi, in fondo mi aveva insegnato lei ad usare la magia per la prima volta, conoscevo ogni suo trucco, ma poco dopo i due gemelli cominciarono ad avvicinarsi agli altri Dei impazienti di vedere la mia condanna reggevano corni ricolmi di idromele. Ciò che non mi aspettavo di vedere e che colpì la mia attenzione in modo fulmineo fu Loki nel suo corpo originario, notai che aveva uno scintillio negli occhi, un bagliore oscuro che non avevo mai visto, mi Apri quando l’avevo riportato in vita nel corpo del mortale Floki. quell’essere bramava come non mai la morte di Thor e il trono di Odhinn per costruire il cosmo secondo le sue idee, ma quando al suo fianco si accostò la bellissima Valchiria, Sigyn, chi aveva rinunciato alle sue avventure da guerriera per sposare l’uomo che amava, quel bagliore oscuro scomparve come se lei potesse purificare i suoi più malefici istinti.

Per primi arrivarono Odhinn e la sua sposa Friga, il Padre di Tutti si avvicinò al tronco del frassino senza proferire parola, mentre mia nonna rimase indietro ad osservarci; Odhinn aveva uno sguardo di ammirazione verso di me mi convinsi che forse non mi avrebbe giustiziato, poggia una mano sul tronco e l’altra sulla mia spalla, mi portò con sé nell’essenza più pura del nostro mondo.

“Sapevi per quale ragione potevi farlo?” mi chiese facendo risuonare la sua voce nella mia mente. avevo sempre potuto sfruttare il dono del Grande Padre, potevo discendere nell’essenza stessa di Yggdrasill, potevo vedere ogni cosa, ma non sapevo quale fosse il motivo. lo guarda intensamente nell’unico occhio che aveva e poi scossi il capo, lui sorride, credo che fosse la prima volta che lo vedevo sorridere in quel modo. “La tua nascita ha portato grande gioia e grande dolore alla nostra famiglia” disse poi prima di rompere quel legame psichico.

Non aveva mai avuto intenzione di giustiziarmi, ma per qualcosa di più difficile pericoloso: mi aveva chiamato per conoscere il nostro futuro il mio passato, quello era il momento in cui avrei conosciuto la verità su tutto ciò che mi riguardava. Il motivo per il quale ero in pericolo, chi erano i miei nemici, o anche solo chi fossero i miei genitori; quella sarebbe stata la prova più difficile della mia vita probabilmente e non sapevo se mai ne sarei uscita vittoriosa, il problema è che se oggi scrivo probabilmente quella prova mi ha mostrato qualcosa di malvagio che si avvicinava al nostro mondo velocemente; Hellen quel giorno, in realtà non ricordo niente più quanto tempo sono rimasta bloccata nelle energie dell’albero, vidi tutto ciò che mi era stato precluso, tutto ciò che mi avevano vietato di ascoltare sapere. quel giorno cominciai davvero a capire cosa stessimo cercando di fermare e tutto cominciò il giorno in cui Loki percorse per la prima volta il tanto il ponte che tanto amavo, tutto cominciò quando Odhinn portò tra di noi il figlio di una gigantessa, quando l’oscurità percorse il Ponte Arcobaleno con il consenso del Grande Padre. Quello che stavo combattendo cominciò secoli prima della mia nascita, quando Odhinn ancora non aveva terminato il suo palazzo, la fine di ogni cosa cominciò quando Ásgarðr stava risorgendo dopo la guerra contro i Vani. la guerra che stiamo combattendo in realtà non riguarda noi, ma loro e noi siamo solo il mezzo per combatterla.

13

Odhinn

L’ambiente in cui mi ritrovai era diverso da quello che avevo imparato a conoscere, il flusso vitale dell’albero mi aveva spinto indietro nei secoli, prima ancora della mia nascita per conoscere il mio passato, il mio presente e il mio futuro.

Il Grande Frassino, Yggdrasill, è la fonte stessa dell’universo, lo mantiene, sorreggendo i nove mondi, donandogli nutrimento, continuità e magia, ma prima di Yggdrasill, nelle profondità di un enorme abisso, c’erano il fuoco il ghiaccio che scontrandosi diedero forma a ciò che noi abbiamo conosciuto. Mùspellsheimr è la dimora del fuoco, dove il caos la fa da padrone e dove vivono i giganti del fuoco; tra le radici dell’albero sorge Nilfheimr il mondo del ghiaccio, dove sgorga la fonte che dà nutrimento alle radici del frassino e dove io abbandonerò questo mondo. Questi due furono i fautori principali del destino delle nostre esistenze, con il loro scontrarsi generarono il nostro mondo e la nostra fine.

Tra i rami dell’Yggdrasill sorge Ásgarðr, la terra degli Dei, la mia casa, tra tutti i primi furono gli Asi, dai quali discende Odhinn, il Padre di Tutti, che li comanda; poi vi è la stirpe dei Vani il cui mondo e il Vanaheimr. Ad Ásgarðr oggi si trovano i grandi palazzi d’oro di Odhinn, dei suoi fratelli, dei suoi figli e della sua stirpe, e nel luogo più protetto e nascosto sgorga la più importante tra le fonti di Yggdrasill: la fonte del destino. Nel tempo in cui fui spedita, però Ásgarðr era diversa da come l’avevo conosciuta io, era spoglia di ogni sfarzosità ed era ricoperta da macerie e polvere. Non credo di essere finita nel momento stesso della creazione, ma la grande e sfarzosa casa che conoscevo ancora non era sorta. Individuai il possente re degli Dei seduto sul suo trono d’argento Hlidskjàlf, dal quale vede ogni cosa, alle sue spalle i due corvi, Huginn e Muninn, che gracchiavano inquieti come se potessero percepire la mia presenza, ma presto mi resi conto che non era me che percepivano. Odhinn Guardava fisso nel vuoto come quando viaggia con la Visone attraverso i mondi, quando ritornò “cosciente” disse alla moglie Friga che un mezzo gigante era nato, una nascita che già in passato le Norne gli avevano predetto, e a queste parole la scena davanti ai miei occhi cambiò; mi ritrovai in un’angusta grotta alla foce della fonte del destino, una donna giovane e bella come il giorno che arriva, parlava amareggiata a quello che era il mio giovane nonno.

  • Tristezza e dolore sono questi gli strascichi di chi conosce il futuro, vuoi udire dalle mie labbra che l’equilibrio di tutto ciò che conosci è precario? – Odhinn non sembrava essere intimorito e seguì quella giovane, lei era Skuld la terza delle Norne, la “megera” che vedeva il futuro. Lei si avvicinò alla riva del lago che sta alle radici di Yggdrasill, tormentata da una bellissima e terribile parola, allora si voltò verso il giovane sovrano per pronunciarla.
  • Ragnarök! – urlo, destando la sorpresa tra le sue sorelle e mentre lo faceva alzo le braccia come se quello fosse l’ultimo fendente da ricevere durante una battaglia.

Furono avvolti da immagini della caduta delle stirpi divine, del trionfo del caos, accompagnati dalla voce soave di quella giovane che raccontava quelle atroci immagini.

  • Guardati dalle tre fiere, poiché porteranno un orrore atroce, la perdita di ogni speranza e alla loro nascita tu sarai inerme perché saranno nella tua stessa casa, e nel tuo tentativo di piegarli e pulirli, farai del male a te stesso. Tutto ciò porterà alla morte del figlio e il tormento del fratello, e per questi crimini di orgoglio oscure fauci spegneranno il sole e la luna, cadrà il più freddo degli inverni e la guerra che distruggerà un mondo dove non esiste più alcun riguardo tra figlio e padre verrà; sarai vecchio e ammalato, in balia dei tuoi nemici quindi guardati dagli esseri rabbiosi che brutalmente esilierai, perché saranno loro che nel momento in cui sarai debole si uniranno per attaccarti all’unisono! Il ghiaccio e il fuoco incomberanno su di te e l’aria tremerà per lo strepitio della battaglia. Sarà la battaglia finale, o un combattimento mortale a cui nessuno potrà sfuggire e nel mezzo di essa vedrai in testa all’esercito del caos il peggiore dei tuoi incubi: Surtr, il gigante di fuoco. Non provare a fermare gli eventi perché tutto ciò che ha un inizio deve avere una fine. Ragnarök è il destino degli Dei, il vostro destino e quello di soccombere insieme a tutti gli eserciti del mondo e all’ordine che hanno creato.

Quando la creatura tacque precipitò nell’acqua del lago, dove venne risollevata dalle sorelle, che per tutto il tempo non avevo fatto altro che osservare il viso della donna avvolto dagli errori dalla sofferenza, facendosi ammaliare dalle sue parole, per questo quando mi girai verso mio nonno, ciò che vidi mi paralizzò. Credo, anzi sono certa, che fosse la prima e unica volta che vedevo Odhinn piangere; le sue guance bagnate dalle lacrime, inginocchiato al suolo, pugni lividi per la pressione impressagli, volse lo sguardo verso Yggdrasill mentre soffocava un gemito serrando le labbra e cominciò a domandarsi come fosse possibile che dopo tanto sforzo per costruire un mondo che avesse il suo equilibrio, dopo aver dato tutti quei nomi a tutte quelle cose e dopo essere stato ispirato dallo stesso albero, quello che aveva costruito doveva finire tra fuoco e ghiaccio, nello stesso modo in cui era cominciato?! Allora decise che qualsiasi cosa gli si fosse parata davanti lui l’avrebbe combattuta, avrebbe difeso quello che, con tanto sforzo aveva contribuito ad ereggere si alzò mentre Verdandi e Urdr lo contemplavano dalla riva sorreggendo la sorella priva di sensi, Odhinn di rivolse un’ultima occhiata mostrando alle Norne che non piangeva di dolore, ma di rabbia, che voleva dominare per poi scatenarla al momento giusto. Si alzò forte sulle sue gambe e diede le spalle alle tre donne.

  • Quando il momento lo richiederà, noi saremo pronti! – disse fermamente per poi incamminarsi coi suoi corvi.

Nel momento in cui spari alla vista delle donne, le due si voltarono verso di me e lo indicarono, loro mi percepivano e mi dicevano di andare con lui. Velocemente mi inoltrai nella foschia che si era lasciato alle spalle, e mi ritrovai nella terra dei giganti ad osservare Loki legato come un salame in un accampamento che attendeva il ritorno di Thor trionfante dalla battaglia. Conoscevo quell’episodio, Loki me lo aveva raccontato una sola volta, durante i miei primi giorni nella terra dorata; guardai il ritorno vittorioso del figlio di Odhinn, da una battaglia che mio nonno Loki gli aveva predetto e guardare quest’ultimo sentirsi parte di qualcosa per la prima volta, ma poi vidi un Odhinn più adulto e maturo, più saggio che faceva l’errore che sapeva di non dover fare. Fece un giuramento di sangue con colui dal quale, secoli prima le Norne, lo avevano messo in guardia, Loki divenne un fratello di sangue di Odhinn, un membro della Corte e accompagnò il Padre nel suo ritorno a casa. Fu allora che il male cammino per la prima volta sul Bifrǫst, ma quella volta lo fece affiancato dal grande e temibile Odhinn. credo che sia stato quello il momento in cui il nostro mondo ha cominciato ad andare verso il futuro che aveva predetto Skuld, prima di allora c’erano state tante battaglie, c’era stata anche una guerra, ma nulla e nessuno era come il futuro Loki e per me quella è sempre stata una certezza. Il Grande Frassino mi mostrò i primi tempi di Loki nella terra dorata e il suo corteggiamento con il Sigyn, la giovane Valchiria che poi sposò; Yggdrasill mi mostrò che quel Dio non era nato cattivo, ma che col tempo i suoi sentimenti, il suo sentirsi inferiore rispetto agli altri membri della Corte, il suo sentirsi diverso e le svariate umiliazioni lo avevano portato a creare in lui sempre più rancore fino a macchiare in modo indelebile, con l’inchiostro nero dell’odio il suo cuore, e quando dovette sacrificarsi per Freya durante la disputa col gigante costruttore, che pretendeva la mano della Dea e il Sole cominciò il suo declino.

Poi mi mostrò Heimdallr e Odhinn che l’uno di fianco all’altro osservavano il sole calare al termine di una giornata per loro redditizia, il Padre di Tutti aveva lo sguardo perso guardando all’orizzonte e mostrando un sorriso al Guardiano del ponte quasi si commosse.

  • Sono nati mio caro Heimdallr. I gemelli sono nati.
  • Lo vedo Grande Padre e presto potremmo sentire Friga, e le sue urla. – Disse il possente Dio senza timore.
  • Non lo farà. Questa volta la domerò nella sua ira. – affermò Odhinn nella sua pienezza, ma non ebbe il tempo di godersi il momento che alle sue spalle la moglie lo sorprese.

Erano nati due gemelli, i figli della strega Ásdís e di Odhinn, gli ennesimi figli bastardi che Friga non avrebbe tollerato, ma quella volta non fu così. Quello nato per primo portava il nome del nonno paterno Bor, mentre l’altro Morten dalla famiglia di sua madre, i due crebbero in una fattoria senza mai sapere chi fosse il loro padre ma solo uno di loro manifestò il dono del Grande re e quando questo avvenne le Norne condussero Friga alle rive del lago dove secoli prima si erano ritrovate con Odhinn.

Lei era bellissima, avvolta in un abito di seta azzurro, stretto sul busto da un corpetto da guerra rinforzato d’oro, i capelli raccolti solo sulla parte che le copriva i suoi occhi azzurri come il ghiaccio, e poi il resto della chioma dorata era lasciata libera sulla schiena. La sua andatura e i suoi modi degni della sovrana di tutti gli Dei trasmettevano calma e grazia.

  • Dolce ed elegante sovrana, che onore averla qui. – si pronunciò il Passato.
  • Perché mi avete convocata? – disse la Dea quasi infastidita.
  • Grande sovrana in passato nacquero due gemelli, uno divino e uno umano, e voi li avete accolti con ostilità, come ogni bastardo di vostro marito. Quel bambino che tanto vi ha turbato non deve essere ignorato… – si fermò volgendo lo sguardo all’orizzonte.
  • Nobile sovrana, quel giovane che oggi pratica la magia di vostro marito deve essere protetto. In lui vive un grande potere… – si pronunciò il Presente, e mentre la seconda sorella parlava nelle acque alle sue spalle il Futuro bagnava i piedi.

Quando le prime due sorelle però finito il loro racconto si voltarono verso la sorella minore, attendendo che lo continuasse, ma lei non proferì parola; il Futuro guardava un punto nelle acque, come se ci fosse una pepita d’oro o una gemma da ammirare, la verità è che lei stava ammirando il futuro di quel ragazzo. Quando ebbe finito sospirò e alzò il capo verso il cielo.

  • Il potere che nel presente sta crescendo in quel ragazzo lo renderà lo stregone più potente della storia, secondo solo alla nipote di Loki. Bor diventerà un uomo forte, temerario, consigliere di molti sovrani per secoli e un giorno sovrano a sua volta, padre di un essere che custodisce il potere del caos e quello del Padre di Tutti, lui sarà il padre di colei che un giorno verrà chiamata “nipote di Loki”, Supremo stregone e custode di Yggdrasill, l’ultima veggente dei Charter, unica del suo genere. – disse infine Skuld, col suo solito fare drammatico.
  • Mi state chiedendo di proteggere il ragazzo? -chiese incredula la Dea.
  • Noi non chiediamo, noi comunichiamo ciò che c’è da sapere. – dissero in sincro le tre sorelle.
  • Il ragazzo sarà il padre di un essere che Odhinn attende, qualcuno capace di fermare il caos. – si pronunciò la più giovane delle tre prima di perdere i sensi.

Dopo le parole di Skuld una foschia mi avvolse la vista e mi ritrovai nel Miðgarðr, su di un carro guidato da un vecchio uomo monocolo ero certa di essere in compagnia di Odhinn, lo avrei riconosciuto qualsiasi veste avesse indossato; guidava un carro da fieno verso un piccolo villaggio di provincia e fischiettava un motivetto che avevo già udito in passato, era una ninnananna che per anni mi è risuonato nella mente. Arrivati nel villaggio si accostò una fattoria ai confini con la foresta, legò il cavallo e poi entrò nella casa, al suo interno il camino acceso faceva calore alla neonata che dormiva in una culla improvvisata.

  • Hellen, e questo il suo nome. La fata l’abbandonata, come fecero i suoi genitori con lei. – disse l’uomo dagli occhi scuri seduto al tavolo, quando il Dio varco la soglia della casa.
  • La porterò con me, se tu sei ancora in pericolo. La nasconderò tra di noi fino a quando sarà necessario.
  • Non potete padre. La fata era una figlia bastarda di Loki, l’ho visto quando ho toccato la bambina, il perfido Dio non deve sapere della sua esistenza, non gli permetterò di corromperla col suo odio. Eppure, non può rimanere con me, chi mi dà la caccia la ucciderebbe se sapesse quale legame ci unisce.
  • Bor, figlio mio, questa creatura è già molto potente, non dovresti avere paura di perderla.
  • È solo una bambina, non ha chiesto lei di combattere la mia guerra, non rischierò la sua vita. Falla portare da Heimdallr in un altro tempo, lontana da Kattegat e da mio fratello.

Il Dio non ribatté la decisione, ormai presa, di suo figlio Bor e raccolse la bambina dagli occhi verdi tra le sue braccia, la guardò intensamente e la benedisse così che fosse sempre protetta e poi prima che fosse portata via, il padre, lo stregone dall’anima pura, sigillò la magia della figlia in modo che non sapesse mai da dove venisse. Guardai la scena e i visi quei due uomini che stavano cercando di fare il meglio per quella creatura appena nata, i loro sentimenti, il loro dolore nel separarsi da lei e allo stesso tempo la speranza che potesse vivere una vita migliore di quella che avrebbe vissuto inseguita da nemici del padre, mi colpirono nel profondo.

Hellen fu affidata alla Dea della fecondità, alla moglie di Odhinn che con grande timore chiesi alla donna di occuparsi di quel figlio che aveva sempre mostrato di odiare.

  • Conosco i tuoi sentimenti verso Bor ma questa bambina ha bisogno di essere protetta ha bisogno di una casa lontana da noi e dai pericoli che le procurerebbe la lotta che sta affrontando suo padre. – disse Odhinn con riverenza e timore alla moglie.
  • Per lungo tempo ho odiato le tue scappatelle, ma quel bambino, Bor, era destinato a grandi cose. Per quanto lo abbia odiato, nei momenti in cui cercava con la preghiera il mio aiuto l’ho sempre assistito e non negherò lo stesso aiuto a queste innocente creatura. Due streghe a me devote in un tempo futuro potranno occuparsi di lei. – disse la Dea mentre prendeva in custodia la piccola che avrebbe portato una speranza nel loro mondo.

La portò in un orfanotrofio di Londra lasciandolo alle due streghe che si occupavano di quel posto.

  • Lei è la nipote del Padre di Tutti, ma mai dovrà sapere chi è realmente. Sulla sua schiena porta un sigillo che le impedirà di usare i suoi poteri, ma col tempo la sua magia diventerà impossibile da nascondere il sigillo si distruggerà, sarà allora che mi chiamerete e noi verremo a riprenderla.

Le due donne mortali annuirono e presero con loro la scintilla immortale nata nel passato, la crebbero e la protessero da tutto ciò che poteva rivelarle l’esistenza di quel mondo e poi nel giusto momento la lascerò andare consapevoli dei pericoli a cui stavo andando incontro.

Hellen non era stata abbandonata ed era stata amata sin dai primi giorni di vita in un modo che solo chi conosce la solitudine sa amare, ma il suo allontanamento da ciò che era suo di diritto l’aveva privata di un padre, di una famiglia. Il suo “esilio” in una diversa era l’aveva privata del l’unica cosa che voleva e le aveva fatto credere di non essere normale, di essere diversa. Fu allora che Yggdrasill mi imprigiono in una foschia di nubi e poi mi lasciò dove ero partita, al fianco di Odhinn nella terra dorata e per la prima volta sorrisi nel vedere il volto di quell’anziano e saggio uomo. Sorrisi nel vedere il volto di mio nonno; avevo visto molto e avevo capito poco di quello che stava per accadere, ma quando il frassino mi riportò al presente vidi per la prima volta Odhinn come un uomo che aveva perso tanto e non più come un Dio invincibile e temibile, non lo vedevo più come un sovrano, ma come parte della mia famiglia. L’eterno condottiero aveva visto la fine della sua casa quando ancora non era stata eretta e aveva sofferto quando aveva capito che proprio chi gli aveva salvato la vita avrebbe portato la distruzione nelle terre che lui tanto amava, in quel regno che con tanta fatica e sangue aveva eretto da zero non era l’uomo che per anni mi ero immaginata che fosse, non era mai stato il re forte che tutti credevano; Odhinn era un uomo debole, il cui cuore era dedito alla sua famiglia, ai suoi figli e al suo popolo, tutte le sue azioni avevano il solo scopo di proteggere e far vivere nel migliore nei modi le persone a lui care, le persone che si fidavano della sua guida e della sua protezione. Non era l’uomo spietato che le storie raccontavano, lui non era il Dio che le storie raccontavano. Lui era semplicemente un uomo, nato con delle fantastiche potenzialità, ma era un uomo con tutte le debolezze che ne conseguono.

  • Il tuo nome non è ciò che sei, ma le tue azioni, quelle che ti hanno portato qui descrivono quello che ti hanno detto di essere. – disse il sovrano vedendo che non preferivo parola.

Si voltò verso il gruppo alle nostre spalle e fece un cenno col capo, poi cominciò a passeggiare verso la radura che si apriva dietro l’albero.

  • Rimani lì o vuoi delle risposte alle tue domande strega? – disse poi sorridendo.

 

14

La verità

Avevo atteso per molto tempo quel momento, il momento in cui tutto mi sarebbe stato più chiaro. Il momento in cui mi avrebbero ritenuta degna di conoscere la verità sulla mia vita, e finalmente quel momento era giunto, ora sapevo da dove venivo, eppure continuavo a non sapere chi fossi. Io sono Hellen, o almeno lo ero, figlia di Bor e della Fata Nera, nipote di Odhinn e Loki; la mia magia e l’incrocio tra la luce e l’oscurità, io sono l’unione che mai si sarebbe dovuta verificare, ma che per un gioco del destino, uno scherzo di quelle tre megere, è avvenuta generando qualcosa che è impossibile distruggere.

Odhinn camminava davanti a me, passeggiava godendosi il paesaggio di quella terra incantata, sembrava non avere alcuna preoccupazione; eppure, sapevo che non era così.

  • Dunque! – esclamò per attirare la mia attenzione – Hai trovato un modo per tornare in questo tempo, e dimmi: perché l’hai fatto? – mi fermai di colpo alle sue spalle, poteva davvero essere che il più potente veggente della storia non conoscesse i motivi che mi avevano spinta a viaggiare nel tempo?!
  • Non credo che sia prudente raccontarvi ciò che succede nel futuro. – dissi ritornando impassibile.
  • Prudente? È questo che credi di dover essere? O forse solo quello che ti abbiamo detto di essere? Giovane strega tu sei mia nipote, sei nata ormai venti Sigrblót or sono, e mai né io né mio figlio abbiamo smesso di pensare a te. – non avevo mai visto Odhinn da quel punto di vista, lo avevo sempre pensato solo come il re che governa tutti i regni e mantiene la pace.
  • Eppure, mi avete lasciata tra gli uomini per anni, a credere che fossi difettosa. Mi avete lasciata a Miðgarðr senza mai preoccuparvi di come stessi, mi avete abbandonato con gli umani e quando la mia magia si è rivelata per la prima volta siete rimasti inermi a guardare! – dissi, anzi credo che probabilmente urlai.
  • Mia cara nipote, la tua rabbia, il tuo dolore io li comprendo. Sapevo che sarebbe potuto accadere eppure ho scelto liberamente di seguire la volontà di mio figlio, mai mi sarei immaginato di oppormi a lui che sicuramente sapeva quello che faceva.

Devi capire che suo fratello non era una brava persona, e ti avrebbe uccisa senza pietà se avesse saputo della tua esistenza, neanche la tua più potente magia avrebbe potuto difenderti da quell’uomo… – si fermò e guardò in avanti, poi accennò un sorriso, allora io seguì il suo sguardo e lo vidi per la prima volta.

  • Basta padre questi non sono racconti per bambini. – disse lui interrompendo la conversazione.

Bor era un uomo alto, dai capelli e la barba scura che trasmetteva calma e serenità. La prima volta che lo vidi di persona fu quella, lui camminava in mezzo a quel prato verde, avvolto da un mantello nero e per un secondo rividi me stessa nella sua andatura, era giovane ma portava la saggezza di mille vite. Lo osservai avvicinarsi a noi, mentre si calava il cappuccio del mantello, lo fissai mentre lui mi osservava e dentro di me non sentivo altro che rabbia; avevo immaginato svariate volte il giorno in cui l’avessi incontrato e mai mi sarei aspettata di provare tanta rabbia, era mio padre e aveva tentato di salvarmi la vita, allora perché lo odiavo? Darmi una risposta fu abbastanza semplice, io non volevo che mio padre mi allontanasse da lui, io volevo un padre, volevo una famiglia, ero stufa di dover combattere le battaglie altrui, ero stufa di dover risolvere ai casini altrui; tutto ciò che volevo non era altro che tornare indietro a quando ero una semplice bambina, crescere con mio padre, imparare da lui e se necessario combattere insieme.

  • Bambini? Sono anni che non sono più una bambina! – non riuscì a dire nient’altro. Lui rimase lì, fermo come una figura scolpita nel marmo che sfida il vento e il tempo, nulla poteva smuoverlo dalla sua posizione, nulla lo avrebbe mosso dal punto in cui si era fermato. I due uomini mi guardavano in silenzio e mi celavano le loro menti, i loro sguardi erano impenetrabili, impossibili da decifrare; Odhinn, il Grande Padre, e suo figlio Bor mi scrutavano intensamente, cercavano qualcosa nella mia figura e le loro due figure, alte e barbute, avrebbero potuto incutere timore a qualsiasi alta persone, ma non a me che ero abituata ad essere circondata da quegli esseri mistici.
  • I tuoi occhi sono come i suoi, ricolmi di rabbia. – disse Bor rompendo il silenzio che ci aveva avvolto, non avevo mai visto mia madre, nessuno mi aveva mai parlato di lei, sapevo solo che era una fata, figlia di Loki e che un giorno era scomparsa nel nulla.
  • Non sono come lei, io non vi odio. Io non ho mai abbandonato le persone che amo e mai lo farò; da quando è iniziato tutto io non ho fatto altro che lottare per voi, per salvarvi. – avevo sentito storie su di lei, sulla fata che aveva trovato rifugio nello Jǫtunheimr tra i simili di suo padre. Molte storie narravano della sua complicità in alcuni attentati alla vita di Thor e della stessa regina degli Dei.
  • C’è stato un tempo in cui lei ci ha amato. – cominciò a spiegare Odhinn. – Non ha sempre avuto il cuore imbevuto di odio; tu provi rabbia perché ti sei sempre sentita abbandonata, difettosa, ma lei invece fu amata e adorata. Crebbe qui, tra i lustri e la magnificenza della Terra Dorata, andava e veniva da Kattegat a suo piacimento e imparava la magia con le fate mortali. Lei era luminosa, come sua madre.

Provai ad immaginare un essere come quello, ma non ci riuscì. Nella mia mente lei non era altro che la donna che mi aveva abbandonato, non importava quale fossero le sue ragioni, io ero rimasta sola per anni tra i mortali, tra dei mortali che non capivano la mia natura col costante pensiero di essere difettosa.

  • Cosa accadde? – chiesi con la voce grattata dalla rabbia e dalle lacrime. Odhinn prese fiato, come se volesse cominciare a raccontare una storia lunga e dolorosa, ma si fermò, cacciò fuori l’aria, si voltò verso l’orizzonte e ricominciò la sua passeggiata seguito da Bor. Ripresi a camminare anche io cercando di non distanziarmi troppo da loro, fino a quando non potei sentirla. Finalmente potei percepire la mente di Bor, e solo quando fu completamente aperta potei conoscere tutta la verità sul mio passato, tutta la storia che mi riguardava, il motivo del mio abbandono e perché quella guerra fosse cominciata.

Quando mi immersi nella sua mente fui colpita da un caldo tepore, potevo vedere la sua energia che lentamente si stava spegnendo; Bor, figlio di Odhinn, aveva quasi esaurito la sua energia vitale, lentamente si stava estinguendo e presto avrebbe potuto sedere al fianco di suo padre nella grandi sale del Valhalla. Raggiunsi il suo primo ricordo e mi ci immersi: Bor era un bambino la prima volta che aveva praticato la magia, era in quella che avevo conosciuto come la baita di Helgi, e sua madre provava ad accendere il fuoco del camino per riscaldare il piccolo ambiente, stata avendo difficoltà perché il vento che entrava dalla canna fumaria era troppo forte, il piccolo Bor si avvicinò alla madre che continuava a sfregare pietre focaie e invocava l’aiuto degli Dei.

  • Madre – disse toccandogli la spalla. – Non temete, il vento si placherà. – il bambino guardò verso il soffitto di quella baita e il suo sguardo sembrò penetrare le travi di legno, il vento fuori non si placò, lo si poteva udire soffiare sulle teste degli uomini, ma non riuscì a penetrare dalla canna fumaria. Con gli anni Bor divenne un grande stregone, che non si limitava più a trucchetti per bambini e divenne il consigliere del primo re dei norreni: Ragnar, prima ancora che quest’ultimo diventasse re.

Vidi i due diventare amici durante la loro prima assemblea, avevano solo dieci anni ed erano già pronti per farsi coinvolgere nelle razzie dei grandi. Quella volta pronunciarono il loro giuramento al Conte di Kattegat, ma un grande e glorioso futuro li attendeva; non ci volle molto tempo prima che cominciassero a razziare davvero; Ragnar, Bor e Floki, i flaggelli dei loro nemici, entravano nelle cittadine da razziare come dei tornado e prendevano tutto ciò che trovavano: grano, oro, argento e anche le donne se erano di loro gradimento. I tre più temibili guerrieri che la nostra città avesse e poi Ragnar vide lei: Kráka, la sua prima moglie; la prima volta che il giovane futuro re incontro la principessa, i tre guerrieri erano insieme, sulla strada di ritorno dalla Norvegia, Bor ebbe la sua prima visione e quasi cadde da cavallo, ma fortunatamente i due amici furono pronti a sorreggerlo. Bor vide una fanciulla dai capelli dorati come le spighe di grano, leggiadra come le brezze estive e bella quasi quanto Freya; la fanciulla era in un lago ai confini con la foresta e accompagnata da altre fanciulle bagnava i piedi nell’acqua limpida. Quel giorno Ragnar decise di mandare dei messaggeri, fidandosi di ciò che aveva visto l’amico, di cui conosceva la discendenza, e fece venire la fanciulla a sé, ma Bor nel frattempo si addentrò nella foresta per assicurarsi di quello che aveva visto.

  • Siete una fata, non è vero? – chiese il giovane osservando la fanciulla dai capelli corvini che, rimasta al lago, creava cristalli di rugiada da adagiare su uno splendido abito.
  • E voi siete un maleducato! – rispose lei. I suoi occhi erano verdi come lo smeraldo più prezioso, il suo corpo sinuoso e apparentemente docile, ma la sua lingua tagliente come quella di un serpente. Era lei, non mi servì alcuna conferma per saperlo, lo sentivo nel profondo. Quella era mia madre e quello era il loro primo incontro. Fu allora che Bor mi cacciò dalla sua mente.
  • Ti sei divertita? – chiese quasi infastidito.
  • Cosa ti aspettavi? Che rispettassi la tua privacy? Sono una telepate, è questo che faccio. – ribattei. Avevo creduto che mi avesse lasciato entrare spontaneamente e invece ero solo stata più potente, o più furba di lui.
  • Lei era bellissima, credevo che mi amasse davvero. – disse, ma non mi guardò. “Tu mi ricordi lei, sei così uguale a lei, così uguale a Loki” risuonò nella sua mente.
  • Non sono come Loki! Io non distruggerei mai la mia famiglia per mero potere! – gli urlai.
  • Forse no, o forse sì. Speriamo di non scoprirlo mai. Però devi riconoscere che sei uguale a loro, hai i loro occhi, i loro capelli… – disse continuando a guardare i bagliori del cielo, ma fu interrotto da Odhinn.
  • Ma ha la tua magia, la tua telepatia, la tua determinazione e le tue doti nel combattimento. Figlio lei non è sua madre, non è Loki. Lei merita la verità.

Bor sospirò quasi rassegnato e, solo allora, cominciò a raccontare.

  • Dopo quell’incontro io provai a dimenticarla, la mia missione era far diventare Ragnar re, ma lei non dimenticò me. Qualche luna nuova più tardi mi trovò e mi raccontò di sua madre e di come aveva dovuto abbandonarla perché apparteneva a questa nobile casata di fate e che lei era una figlia bastarda, non mi disse chi fosse suo padre. Non usai la mia magia su di lei, volevo fidarmi e lo feci, credetti alle sue menzogne, credetti che fosse una brava persona, una fata dal cuore pure, ma lei non lo era; è colpa sua se oggi le fate possono usare anche la magia nera, fu lei che liberò l’antica magia oscura che le sue antenate avevano sigillato, e dopo averlo fatto donò il potere a mio fratello Morten, una magia oscura che risucchia via la magia altrui.
  • Non è possibile! – esclamai, e solo allora lui mi guardò in volto. – Se lei ha liberato la magia proibita delle fate, allora lei è… – non ebbi la forza e il coraggio per pronunciare quelle tre parole, non potevo credere a quello che stavo ascoltando, la mia mente si rifiutava di collegare la figura di mia madre a quella donna che tutti temevano, a colei che viveva al fianco di Hela.
  • Sì, lei è Skaði la Fata Nera! L’assassina con le ali splendenti, la donna che ha potuto donare la mia magia a mio fratello, la fata che ha generato la tua fine. Un mese dopo il nostro secondo incontro, mi fece visita Skuld in sogno e mi predisse che un giorno dalla mia discendenza sarebbe nata una strega che avrebbe potuto cambiare le sorti della fine, una strega che potava dentro di sé luce e oscurità. Tu Hellen sei quella strega. La figlia di Skaði e di Bor, nipote di Odhinn e di Loki, ultima discendente dei custodi Charter, ultima veggente e ultima asgardiana in vita. Il tuo destino non è fermare la guerra, il tuo destino è impedire che inizi.

Quella volta al lago, lei sapeva chi ero, sapeva chi era mio padre; lei non era lì per caso, io ero il suo obbiettivo, le serviva il mio sangue, il sangue di Odhinn per distruggere il sigillo delle fate, ma non si aspettava di rimanere incinta e tanto meno che dopo il suo tradimento avrei unificato le grandi famiglie di custodi. Unendo le forze di tutte le razze in una sola famiglia la guerra contro l’oscurità sarebbe stata vinta, ma Mortren non era d’accordo. Lui era umano e facilmente corruttibile.

  • Mia madre è il male assoluto. – dissi atona – E mio padre è il grande stregone dal Cuore Puro. La prima figlia di Loki e il secondo figlio di Odhinn. La mia è stata una nascita profetica e Jarl allora chi è? – non riuscivo a mettere a fuoco un punto preciso, i mei occhi riuscivano solo a vedere ciò che mi era appena stato rivelato.
  • Figlia mia – disse Bor – tu sei Hellen, figlia di Bor e Skaði, nipote del Grande Padre. Amata, ma solitaria guerriera, la tua vita è tua e non del tuo passato, non dei tuoi antenati. Quando chiesi al mio fratellastro Jarl di unirci in una sola casata con le altre razze, lui accettò, mi aiutò a non figurare tra i membri della casata, non volevo metterti in pericolo. Morten aveva dichiarato guerra a tutta la mia stirpe, tu non dovevi esistere per lui e tua madre, a lei ho detto che eri morta durante il parto. Quando sei nata avevi un simbolo sulla schiena, lo hai ancora vero? Quello non è comparso quando ho sigillato la tua magia, Yggdrasill ti ha marchiata dalla nascita, la sua magia ti appartiene; non avevi mai notato di poter vedere la sua energia? Di poter sentire la presenza dei rami di Yggdrasill?
  • Io, ecco io non credevo… perché proprio io, non lo voglio questo potere! – marchiata dalla nascita? Cosa significava? Cos’ero? Un’arma? Vuol dire che non avevo scelta, non potevo fuggire da quella guerra? Aveva la più totale confusione nella mia mente, avrei solo voluto scappare via, tornare a prima della fuga di Ívarr, dirgli di fermarsi, di smettere di bramare il potere, di accontentarsi della nostra vita, di nostro figlio, dimenticare ogni cosa, ma non potevo farlo. Avevo aspettato anni per conoscere la verità sulla mia nascita, sui miei poteri, eppure quella verità non mi piaceva.
15
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

Ad Remove Ads [X]
Skip to content