Caterina Sforza e Agrippina by Gaia Di Marco - Illustrated by  Del Sordo Daria - Ourboox.com
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Caterina Sforza e Agrippina

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Artwork: Del Sordo Daria

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Caterina Sforza e Agrippina by Gaia Di Marco - Illustrated by  Del Sordo Daria - Ourboox.com

CATERINA SFORZA

“LA LEONESSA DI ROMAGNA”

 

Chi è stata?

Gli storici la ricordano talvolta con il soprannome la tigre di Forlì. È stata signora di Imola e contessa di Forlì, prima con il marito Girolamo Riario, poi come reggente del figlio primogenito Ottaviano. Caterina Sforza nasce nell’anno 1463 a Milano, figlia di Lucrezia Landriani, amante del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, e moglie del cortigiano Gian Piero Landriani.

 

“Se si dovesse coniare un epitaffio per Caterina Sforza, potrebbe essere questo: premurosa con i figli, appassionata con gli amanti, spietata con i nemici”

-Daniela Musini

Eventi importanti della sua vita

  1. Con un colpo di mano infatti occupò con una guarnigione Castel Sant’Angelo, la fortezza papale, e puntò i canoni dritti sul Vaticano e sul concilio dei cardinali li riuniti, costringendoli di fatto a scendere a più miti consigli.
  2. Una congiura di famiglie locali uccise Girolamo Riario, facendo prigioniera Caterina ed i suoi figli ed intimando la resa alle sue guardie asserragliate nella Rocca di Ravaldino di Forlì.

    Ma di fronte al rifiuto delle sue guarnigioni di uscire dalla Fortezza forlivese ai congiurati non restò che accettare la mediazione di Caterina che, una volta arrivata all’interno della Rocca e riunitasi alla sua guarnigione, vi si asserragliò preparando la difesa della città, nonostante i suoi figli fossero ancora ostaggio dei congiurati.

    Fu questo uno degli episodi che diedero vita alla sua leggenda, che la volle donna e politico capace di sacrificare anche la sua famiglia di fronte ad un obiettivo che ella riteneva più grande.

    Celebre è infatti la frase che si dice pronunciò di fronte ai congiurati che minacciavano i suoi figli (di non certe basi storiche)

    «Fatelo, se volete: impiccateli pure davanti a me – e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il pube – qui ho quanto basta per farne altri!»

    Fatto sta che, di fronte a tanta spavalderia, i congiurati non osarono toccare i giovani Riario e Caterina poté così recuperare il governo sia di Forlì che di Imola.

  3. In una famosa battaglia contro Cesare Borgia viene descritta: “vestita con una tunica gialla sopra la corazza, quando l’assedio si tramutò in un corpo a corpo sui ponticelli della rocca, lei, brandendo la spada che era stata di suo padre, si tuffò nella mischia, impavida e furibonda. Fu solo la soverchia supremazia bellica degli assedianti ad avere la meglio sulla sua indomita inarrendevolezza e alla fine, il 12 gennaio 1500 l’animosa impresa ebbe termine. Caterina dovette capitolare, vinta ma ugualmente vittoriosa. La caduta di Ravaldino fu la fine del suo potere, alla consegnò alla leggenda.

Citazioni del libro: “Le indomabili”

di Daniela Musini

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Caterina Sforza e Agrippina by Gaia Di Marco - Illustrated by  Del Sordo Daria - Ourboox.com

Agrippina nacque il 6 novembre del 15 d.C. in quello che allora era solo un insediamento militare sulla sponda sinistra del Reno .Suo nonno Tiberio le aveva decimato gran parte della famiglia, e per questo Agrippina lo odiava, e la sua acredine si acuì a dismisura quando le impose di sposare, a quattordici anni, Gneo Domizio Enobarbo, il quale, non solo aveva trent’anni più di lei, ma era un uomo rude, crudele e vizioso che si era macchiato di turpi violenze e omicidi efferati. Lei non lo amerà mai.
Gneo, invece, era affascinato da questa ragazza alta e carismatica, intelligente e calcolatrice, astuta e volitiva.
Solo dopo nove anni di matrimonio generarono un figlio, Lucio Domizio (il futuro Nerone), nato ad Anzio il 15 dicembre del 37 d.C., che dal padre riprese i capelli rossicci e gli occhi sporgenti, e da entrambi la propensione alla spietatezza: Lo storico Plinio narra che il bambino venne alla luce in posizione podalica, cosa allora ritenuta di cattivo auspicio, e quando i rinomati sacerdoti caldei predissero alla madre che il neonato avrebbe avuto una vita gloriosa e che sarebbe assurto al potere di Roma, ma che si sarebbe macchiato di matricidio, Agrippina rispose: «M’uccida, purché diventi imperatore!».  Intessé una relazione anche con il cognato, il bello e corrotto Marco Emilio Lepido, marito di sua sorella Drusilla .Agrippina ordì una congiura per spodestare il loro fratello Caligola e sostituirlo sul trono imperiale proprio con Lepido. La congiura venne scoperta e Caligola condannò lui a morte e le due sorelle cospiratrici all’esilio.

Agrippina intanto, rimasta vedova di Gneo nel frattempo morto annegato (e molti sospetti si addenseranno su di lei quale mandante di questa morte), impalmò il facoltoso Gaio Sallustio Passieno Crispo che dopo qualche tempo fece sopprimere col veleno, non prima di averlo convinto a nominarla erede universale di tutte le sue immense fortune. L’uccisione del suo secondo marito rientrava in un disegno preciso e perverso: diventare la nuova moglie dell’imperatore Claudio, che nel frattempo era rimasto vedovo di Messalina, uccisa su istigazione di Narciso, il potente segretario personale dell’imperatore.

Furono in molti a sconsigliare a Claudio il matrimonio con quella donna dall’irresistibile capacità manipolativa, ma lui, irretito e fiaccato, la sposò nel bosco sacro della dea Diana con dei riti propiziatori, per espiare il peccato di incesto
(erano pur sempre zio e nipote).
Eventi straordinari pare accaddero nel giorno di quell’in-fausto e improvvido matrimonio: un enorme sciame di vespe si installò sul tempio di Giove Capitolino, nacquero vitelli deformi e un bimbo con due teste, e la tomba di Germanico, fratello dell’imperatore e padre di Agrippina, fu distrutta da una folgore, «sicuramente scagliata da Giove», in molti dissero. La bellissima e sventurata Lollia Paolina, la cui unica colpa era stata di aver osato competere con lei nella corsa ad accaparrarsi Claudio, fu la prima vittima della sua sete di vendetta. Agrippina convinse l’imperatore a condannarla all’esilio, con grande sdegno di tutti, e, non paga, ordinò che fosse uccisa e decapitata e che la sua testa le fosse recapitata a Palazzo. Una volta avuto davanti il macabro trofeo, Agrippina le estirpò tutti i denti, dacché il suo smagliante sorriso era stato per lei oggetto di invidia implacabile.
Poté così dedicarsi, con tigrina determinazione, a un preminente obiettivo: stendere le sue tentacolari mani su tutto l’apparato burocratico, collocando nei posti strategici dell’amministrazione e dell’esercito uomini di sua fiducia, legati a lei da intrecci torbidi e colpevoli.

Agrippina, abile simulatrice e dissimulatrice, in quel 50 d.C., era riuscita con un colpo da maestro a ottenere anche due altre straordinarie prerogative: il conferimento a suo figlio tredicenne dell’imperium proconsulare, ossia il governo delle province imperiali, e per se stessa un privilegio mai concesso neppure a Livia, la moglie di Augusto, ovvero l’omaggio dei sacerdoti sul Campidoglio. Durante quella manifestazione la folla strabocchevole scandì a più riprese il suo nome e la parola Augusta: era lei, si rese conto con sgomento Claudio, a essere considerata il vero imperatore.

Nerone, intanto, aveva scoperto il fuoco nelle vene grazie a una liberta asiatica, Atte, bellissima, molto dolce e molto esperta, che si era insinuata nel suo cuore e nel suo letto, e per la quale aveva perduto la testa. Agrippina era furibonda: non tollerava, e non poteva permettere, che suo figlio, il futuro imperatore, si innamorasse così follemente di una ex schiava lussuriosa, e che addirittura progettasse di sposarla.

Agrippina solleticò la gola di Claudio con una penna d’oca intinta nel veleno. l’imperatore morì, e lo fece fra atroci dolori. Era la sera del 13 ottobre del 54 d.C.: la strada al trono per suo figlio e per la sua indomabile sete di dominio
era spianata. I pretoriani acclamarono Nerone imperatore di Roma, Agrippina aveva vinto su tutti i fronti, anche perché Nerone, avendo soltanto diciassette anni, aveva bisogno di essere affiancato, e lei assurse a ruolo di co-reggente. Non fu difficile per lei manipolarlo e dominarlo completamen-te, dacché egli, non solo era completamente schiacciato dalla personalità di sua madre, ma era legato a lei da affetto morboso e da dipendenza psicologica .
Non passò molto tempo, però, che la sua asfissiante intromissione negli affari di governo, la sua arrogante proter-via, nonché la morbosità torbida di quel rapporto, iniziarono a turbare e inquietare Nerone, a farlo sentire sempre più stretto in una morsa inesorabile e senza scampo: dall’amore ossessivo, malsano e verosimilmente incestuoso verso sua madre, lui ben presto scivolò in un odio pervicace e distruttivo.
Il primo tentativo fu di liberarsene attraverso il veleno della famigerata Locusta, ma non aveva fatto i conti con l’astuzia serpentina di sua madre che si era demitridatizza-ta, vanificando così gli esiziali effetti delle sostanze tossi-che.
L’imperatore allora fece predisporre sopra il letto della sua genitrice una lastra di piombo che, tramite un conge-gno, sarebbe dovuta cadere appena lei si fosse coricata, ma Agrippina, guardinga com’era, aveva preso l’abitudine di non dormire mai nel proprio talamo, ordinando di sostituirla a un’ancella che infatti morì in luogo suo.
Allora Nerone, sempre più esagitato e deciso a perseguire il matricidio, ordinò che venisse costruita una nave con un meccanismo che, aprendosi all’improvviso, l’avrebbe fatta sprofondare in mare. Nerone a questo punto, atterrito da quell’aura di protezione malefica che sembrava salvaguardare sua madre, ma deciso più che mai a liberarsi della sua empia e infausta presenza, incaricò Aniceto, prefetto della flotta di Miseno, di ucciderla.
Questi si recò da lei, accompagnato dal trie-rarco Erculeio e dal centurione navale Obarito; alla loro vista, l’unica ancella che le era rimasta accanto scappò via, mentre Agrippina le gridava sdegnata: «Anche tu mi abbandoni?».
Poi, comprendendo prossima la sua fine, si rivolse spavaldamente ad Aniceto e gli intimò: «Colpisci il ventre che l’ha generato!». E lui affondò più volte il pugnale in quell’antro infido e oscuro che aveva partorito il mostruoso matricida.
Agrippina morì a quarantatré anni, con un ghigno sardonico sulle labbra.

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