Attilio Bertolucci, Fine d’estate
L’avvicendarsi delle stagioni segna inevitabilmente l’umore degli esseri umani dove c’è chi è più e chi è meno sensibile al passaggio del tempo e tutti hanno le proprie preferenze. Bertolucci narra la tristezza che trasmette la fine dell’estate la quale arriva e porta via tutta la felicità, lasciando spazio a nuove e malinconiche fasi della stagione: la pioggia, il fresco e la scomparsa di colori accesi intorno a sé.
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Come agosto finisce, la mattina
dopo una notte di pioggia si sente
(il cielo è più profondo) che l’autunno
sta per venire; ci si guarda intorno e
non si sa che fare: tutto
è fresco, rinnovato da uno smalto
malinconico di perplessità!
Allora si gironzola, si sta zitti, sappiamo che c’è tempo, ma che pure l’anno dovrà morire, ed il bel cielo, il verde verniciato delle piante, il rosso delle ruote ad asciugare, l’incudine che suona di lontano, lento cuore del giorno, tutto parla d’una partenza prossima, un addio.
La memoria è una strada che si perde
e si ritrova dopo un’ansia breve, tranquilla: già nel sole di settembre
scottante sulla schiena è un’altra estate, che le vespe
Ronzando sulle ceste
dell’uva bianca indorano, e
si mischia al loro volo il rumore nascosto
e perenne del grano che ventila
Un vecchio presso tento e polveroso.
Giovanni Fattori (Querceto, 1894)
Giovanni Pascoli, Canzone di Marzo
Canzone di Marzo di Giovanni Pascoli, una poesia contenuta nella raccolta Canti di Castelvecchio. Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura per l’Infanzia, di seguito, un componimento che annuncia il mese in cui ha luogo il risveglio della natura.
Che torbida notte di marzo!
Ma che mattinata tranquilla!
che cielo pulito! Che sfarzo
di Perle! Ogni stelo, una stilla che ride: sorriso che brilla su lunghe parole.
Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo.
Guizzavano, udendo l’estate, le
verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le bisce acquaiole.
Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento:
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l’incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.
Nell’aride bresche anco l’api
si sono destate agli schiocchi.
La vite gemeva dai capi, fremevano
i gelsi nei nocchi.
Ai lampi sbattevano gli occhi
le prime viole.
Han fatto, venendo dal mare,
le rondini tristo viaggio.
Ma ora, vedendo tremare
sopr’ogni acquitrino il suo raggio,
cinguettano in loro linguaggio, ch’è ciò che ci vuole.
Sì, ciò che ci vuole. Le loro
casine, qualcuna si sfalda,
qualcuna è già rotta. Lavoro
ci vuole, ed argilla più salda;
perché ci stia comoda e calda
la garrula prole.
Canti di Castelvecchio (Bologna, Zanichelli 1903).
Umberto Saba, Fior di neve
Il poeta Umberto Saba narra il periodo iniziale dell’inverno che precede le festività natalizie. Umberto Saba inserisce nella poesia delle figure giovanili, perché ci dice anche che gli angeli hanno preso spunto da loro e dall’amore che hanno per le cose bianche.
Dal cielo tutti gli Angeli
videro i campi brulli, senza
fronde né fiori
e lessero nel cuore dei fanciulli
che amano le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare
e allora discese lieve lieve
la fiorita neve.
Giosuè Carducci, Nevicata
L’autore Giosuè Carducci appare ripiegato su se stesso, in una meditazione della morte e sulla fugacità della vita con un ricordo ai suoi cari defunti. La città coperta dalla neve fa da sfondo al suo animo.
Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi, suoni di vita più non salgono da la città, non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d’amor la canzon ilare e di gioventù.
Da la torre di piazza roche per l’aere le ore
gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.
Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in breve – tu calmati, indomito cuore –
giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.
Published: Sep 9, 2023
Latest Revision: Sep 9, 2023
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