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Green stories

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Artwork: Classe seconda B

Attività laboratoriale di scrittura creativa a staffetta nell'ambito del Progetto "Green stories"
  • Joined Jan 2020
  • Published Books 2

LA BAMBINA IN FONDO AL MARE

 

La mia vita è in fondo al mare, so che molte persone non ci crederanno ma è così, sono una di quelle bambine che si possono definire speciali, anche se  non mi sento per niente speciale. 

In realtà mi sento diversa, anche da quelli della mia specie; io, mia madre e i miei parenti facciamo parte di una specie  evoluta di esseri umani, siamo capaci di respirare sott’acqua e riusciamo anche a comunicare con gli animali che ci circondano,  possiamo vivere anche in superficie anche se mia mamma non mi permette mai di salirci, da quando mio padre se ne è andato e si è creato una nuova famiglia.  

La nuova moglie di papà è una donna un pò in carne ma è molto simpatica, anche le mie sorellastre sono molto simpatiche e mi trattano come una sorella.

Diciamo che la mia storia è cominciata così, un giorno mio padre riuscì a convincere mia madre a farmi passare l’estate da lui,  quindi quella mattina salii per la prima volta in superficie. Era tutto  stupendo, solo che nell’aria c’era un odore strano ma non ci feci molto caso.  Sulla spiaggia vidi tanta gente che si divertiva e prendeva il sole e verso la città c’erano edifici alti, che mio padre mi spiegò essere dei palazzi.

Le prime due settimane di vacanza le passai con la famiglia di papà nella loro casa sulla scogliera, l’aveva ereditata la moglie dai genitori, era un piccolo castello ma all’interno era tutto automatizzato,  dalla torretta potevo vedere  il mare sottostante e la foce di un  fiume che scorreva lentamente con le sue acque multicolori.

Quel giorno decisi che non sarei rimasta un altro giorno  rinchiusa in quella casa ma sarei uscita, allora mi feci portare da mio padre insieme alle mie sorellastre sulla spiaggia, ma quando arrivai rimasi così delusa che mi venne da piangere:  l’acqua del mare non aveva il  colore cristallino che ero abituata a vedere dove vivevo,  ma aveva un colore verdastro che impediva di vedere il fondo. All’improvviso apparve un pesciolino che respirava a fatica, sembrava si lamentasse,  allora mi avvicinai e gli chiesi se stesse bene, lui mi rispose di no e che aveva mangiato della plastica, io per poco non mi misi a ridere e gli dissi che dentro l’acqua non ci poteva essere la plastica, fino a quando mio padre non mi indicò col dito il fiume dove galleggiava una immensità di oggetti di plastica.  Mentre guardavo stupita i rifiuti che finivano in mare, mi accorsi solo in quel momento che tante persone mi osservavano, dai loro sguardi capivo che erano indecisi tra l’ilarità e l’incredulità, in sottofondo  sentivo mormorii del tipo “ma veramente crede di poter parlare con gli animali?”, “che ridicola”, “lo fa solo per mettersi in mostra”.                                                                                                   

All’improvviso apparve un ragazzo, occhi verdi, capelli marrone scuro, alto e con in  faccia un’espressione di disgusto. Era più grande di me, aveva all’incirca diciassette anni. Capii  che quella espressione non era indirizzata a me, ma alla gente che mi derideva.  Si mise in mezzo al cerchio che la gente aveva formato intorno a me e iniziò a dire alla gente quello che pensava.   La  gente vergognandosi se ne andò con la testa bassa e il ragazzo si sentì orgoglioso di se stesso e  si avvicinò a me, mio padre si dileguò appena le mie sorello lo trascinarono via.  Quando si trovò di fronte a me trovai i suoi occhi verdi come l’acqua del mare, ma non il colore verdastro del mare che si distendeva dietro di me, ma come il verde trasparente e cristallino del mio mare.

Mi risvegliai dai miei pensieri quando il ragazzo mi disse:”Piacere, sono Alexander” e io col viso rosso risposi :“Piacere, io sono  Titania”. Poi mi chiese se mi andava di fare un giro, io accettai e ci andammo a prendere una sostanza fredda che si chiamava gelato, non ero abituata a chiamare così qualcosa che non aveva il sapore di alghe.  Quel giorno Alexander mi fece dimenticare tutto quello che avevo visto al fiume. Scesa la sera, mi accompagnò a casa, arrivati alla scogliera mi disse:”Hai visto cosa fanno loro al mare”. Io mi girai di scatto e stavo per dire qualcosa quando aggiunse: “So che sei come me”. Io alzai il sopracciglio e con una risata finta dissi: “In che senso come te, siamo tutti uguali”. Lui si girò e mi guardò con i suoi occhi profondi, con una mano mi cinse la vita e poi disse: “Sai cosa intendo, noi veniamo da sotto l’acqua”.

Seguì un lungo silenzio fino a quando non riuscii a trovare le parole e  dissi: “Non sapevo che gli umani fossero così, come fanno a non preoccuparsi di noi che viviamo nelle profondità del mare, ammetto che dove abito io non c’è un solo pezzo di plastica -rimasi un attimo in silenzio e mi girai di fronte all’orizzonte e continuai- forse è per questo che mia madre non mi ha mai fatto salire in superficie, non so se darle ragione perché forse mi voleva solo proteggere o essere arrabbiata perché mi tratta ancora come una bambina piccola!”. Alexander dolcemente mi sollevò il viso verso di lui e mi sussurrò: “So che forse non ci crederai, ma non tutte le persone in superficie sono cattive come quelle che hai incontrato oggi.  Io sono fortunato, sono un discendente della tua razza ma vivo con una famiglia di umani. Ho tutte le qualità che hai tu, ma non vado molto spesso sott’acqua. Come hai potuto vedere, qui il mare è molto inquinato a causa della plastica e dei rifiuti portati dal fiume, allora io e la mia famiglia abbiamo fondato un’associazione che aiuta l’ambiente, non so se ti può interessare, mi farebbe piacere se domani volessi venire con noi”. Senza pensarci risposi: “Forse verrò a dare un’occhiata” e rientrai a casa, dove mi aspettavano mio padre e le mie sorelle. Restai tutta la notte a rimuginare su cosa fare per il fiume, e dopo aver letto delle informazioni sulla situazione dei fiumi e del mare, decisi di svegliarmi all’alba per continuare le mie ricerche. La mattina dopo accesi il computer, avevo avuto una grande idea, decisi di aprire un blog, sono molto brava a scrivere quindi scrissi subito un articolo che parlava del fiume che avevo visto il giorno prima. Quando scesi in strada erano già passate due ore dalla pubblicazione dell’articolo e già aveva avuto un milione di visualizzazioni e tanti commenti positivi, sia su ciò che avevo scritto e sia su come scrivevo. 

Incontrai Alexander che stava venendo da me per dirmi che aveva letto il mio articolo e che lo aveva trovato molto interessante, ma che ora bisognava fare qualcosa di concreto per sensibilizzare le persone sul problema dell’inquinamento. Per questo motivo mi chiese: “Perché non organizziamo una giornata per ripulire il fiume ed il mare della città?”. Risposi subito di sì. L’idea mi entusiasmava, anche se  bisognava far capire alla gente come sarebbe stato bello far tornare il fiume e il mare come erano 100 anni fa. 

E così iniziammo a progettare un volantino per far conoscere l’evento che volevamo organizzare e il messaggio che volevamo trasmettere: non era importante solo ripulire l’ambiente, ma anche mantenerlo pulito. Per fare questo era necessario cambiare le nostre abitudini come, per esempio, acquistare il meno possibile oggetti di plastica, fare la raccolta differenziata e gettare sempre i rifiuti negli appositi cestini.

Naturalmente, io avrei pubblicizzato questa giornata sul blog che avevo aperto.

“Che ne dici se scegliamo come giornata da dedicare alla pulizia del fiume e del mare la prima domenica di luglio?” chiesi ad Alexander. Lui fu d’accordo perché le previsioni per quel giorno erano buone e poi perché di domenica avrebbero partecipato sicuramente più persone.

Alexander parlò di questa nostra iniziativa a un suo zio che era un famoso giornalista. Lo zio disse che era un progetto bellissimo e che avrebbe scritto un articolo su questo evento per farlo conoscere il più possibile.

Mentre preparavamo il volantino, Alexander mi disse: “I rifiuti si trovano anche sui fondali del fiume e del mare, quindi, per ripulirli sarebbe meglio chiedere aiuto ai ragazzi come noi che possono respirare sott’acqua. In questa città ce ne sono parecchi!”. “Giusto! Ottima idea!” gli risposi.  

Quando Alexander e io andavamo in giro a distribuire i nostri volantini, molte persone ci dicevano che erano stanche di vedere il fiume ed il mare pieni di rifiuti e di plastica e che, quindi, avrebbero partecipato molto volentieri a questa nostra iniziativa. Anzi, ci ringraziavano per la bella idea che avevamo avuto. 

Acquistammo tantissime buste di plastica biodegradabile e diverse scatole di guanti monouso ecologici, da distribuire ai volontari che avrebbero partecipato alla nostra iniziativa.

La mattina dell’evento si presentarono tantissime persone, sicuramente più di cento. Alcuni erano venuti con la barca e con delle retine per raccogliere i rifiuti che galleggiavano in acqua. 

C’erano anche tanti ragazzi speciali, come me ed Alexander, che si sarebbero impegnati a ripulire i fondali. Vennero anche dei giornalisti per intervistare me, Alexander ed alcuni volontari. L’iniziativa ebbe un grande successo, si lavorò fino alle 6 di pomeriggio e tutti si diedero da fare con grande entusiasmo ed impegno.

Alla fine della giornata il fiume, le sue rive, il mare e la spiaggia erano stati completamente ripuliti. Non si riconoscevano più, sembrava di stare in un altro posto! 

Questa giornata alla fine aveva risvegliato le coscienze degli abitanti della città che, vedendo il fiume ed il mare così puliti, si sentirono in dovere di fare tutto il possibile per impedire alle industrie di versare nel corso d’acqua sostanze inquinanti e per evitare che tornasse sporco, pieno di rifiuti e di plastica come prima. 

“Non poteva andare meglio!” dissi ad Alexander. “Verissimo!”, mi rispose entusiasta. E poi aggiunse: “Abbiamo fatto un gran lavoro, ci siamo stancati, abbiamo fatto a piedi chissà quanti chilometri per distribuire i nostri volantini, ma alla fine ne è valsa la pena!”. Eravamo contentissimi perché non solo avevamo dato il nostro contributo per ripulire l’ambiente, ma avevamo cambiato il modo di pensare delle persone che, non solo non erano più indifferenti al problema dell’inquinamento, ma non erano disposte a rinunciare al fiume ed al mare puliti. 

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Un grande disastro

 

La mattina del 13 febbraio, appena sveglio, mentre mi trovavo a Bucarest per partecipare alla Conferenza Internazionale per il clima, mi accorsi che in cielo c’era una grossa nube nera che quasi copriva il sole.

Mi resi subito conto che qualcosa di grave era successo. Alcune auto della polizia passavano per le strade annunciando qualcosa che però non riuscivo a comprendere.

Allora presi il telefono e contattai le autorità.

Cosa era successo?

Nessuno voleva darmi spiegazioni, compresi subito che cercavano d’insabbiare il fatto. Ma la gravità dell’accaduto era evidente. L’odore forte di zolfo nell’aria mi tolse ogni dubbio: da qualche parte c’era stata un’esplosione. Mentre ragionavo sul da farsi fui chiamato dal segretario del Primo ministro e fui invitato a partecipare al gruppo istituito per l’emergenza.

Le mie conoscenze fisiche e chimiche potevano essere utili per limitare i danni.

Mi fu chiarito che c’era stata una grandissima esplosione nella fabbrica chimica “Gallust” che si trovava poco lontana da Bucarest. Andai nel luogo che mi era stato indicato e mi misi al lavoro, in quanto avevo assoluta necessità di vedere con i miei occhi cosa fosse successo  e adoperarmi per limitare le tragiche conseguenze.

Una delle prime cose che feci fu quella di individuare eventuali feriti,   infatti ne trovai 43. Purtroppo, vidi anche tre morti tra cui il mio vicino di casa. L’aria diventava sempre più irrespirabile,  per questo fui costretto a mettere uno straccio bagnato sulla bocca e mai avrei pensato di collaborare con i pompieri  nello spegnere il fuoco. Una volta domato, facemmo un altro approfondito giro di perlustrazione per verificare se, tra le macerie, vi fossero altri sopravvissuti. A ogni passo percepivo uno stato di sgomento e frustrazione di fronte a una simile apocalisse in parte causata da miei simili. Disastro imprevedibile o danno umano? Anche se lo avessi chiesto disperatamente, nessuno mi avrebbe dato una vera risposta. Passammo poi a ispezionare eventuali materiali che fossero ancora recuperabili ad esempio computer, insieme ai quali trovammo quel che rimaneva di quaderni su cui erano state annotati numeri, calcoli, formule di chissà quale ritrovato, sicuramente erano i vari risultati delle ricerche scientifiche effettuate. Alla fine della giornata, esausto ma stranamente appagato, me ne tornai a casa. Avevo bisogno più che mai di sentirmi al sicuro, di riacquistare fiducia nonostante tutto, di dormire per sognare un mondo diverso.

Non ci volle poi tanto per bonificare la zona e, nel giro di pochi mesi, venne edificato un cantiere per costruire una nuova fabbrica. La logica del profitto e del guadagno nel nome della scienza e della tecnologia avevano ancora una volta vinto.

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Una ricerca inaspettata

 

Era il 17 luglio 2018 quando i cinque componenti dell’associazione “Blue Sea” si stavano preparando per la loro spedizione nell’Oceano Atlantico. Marc, il capitano della nave, era l’esperto in navigazione, Francois, invece, era un biologo marino e stava trasportando sulla nave tutta la sua attrezzatura scientifica. Anche Marianne era una biologa però specializzata nella flora marina. Poi c’era Sandrine, esperta in chimica e infine Patrick, studioso di meteorologia. I cinque scienziati erano anche sub di professione e avevano già lavorato insieme. Questa volta, però, la loro missione era più impegnativa perché dovevano analizzare le acque a nord dell’Oceano Atlantico in un punto in cui si incrociavano delle correnti marine calde e fredde.

La nave partì dal porto di La Rochelle alle 16:00 ed era diretta verso le coste del Canada. Durante il tragitto Marianne, Sandrine e Francois si occuparono di allestire il laboratorio, mentre Marc e Patrick guidavano la nave e controllavano il tempo meteorologico. 

Patrick era particolarmente preoccupato per la tempesta prevista per il giorno dopo e quindi si teneva sempre aggiornato. Il primo giorno però passò senza problemi.

Il giorno seguente la truppa si svegliò con il boato di un tuono e Marc si precipitò verso i comandi della nave e vide con terrore che non funzionava più niente: il radar non percepiva alcun segnale e il radiotelefono era fuori uso. La nave si faceva trasportare dal forte vento e dalle onde furiose. I cinque studiosi erano spaventati perché non sapevano dove stavano andando. Dopo quasi dieci ore finalmente la tempesta si calmò ma i comandi erano ancora inutilizzabili e così l’equipaggio, stanco ed esausto, andò a dormire.

La mattina successiva Marianne fu la prima a svegliarsi e quando uscì dalla cabina per prendere un po’ d’aria, vide con grande sorpresa che la nave era circondata da spazzatura, soprattutto oggetti di plastica. Andò a chiamare i suoi compagni e gli diede la brutta notizia. Marc prese il suo binocolo e vide che i rifiuti non finivano più: erano capitati in una vera e propria isola di plastica.

Francois, senza perdersi d’animo,  riempì un flacone  d’acqua e andò nel laboratorio ad analizzarlo. Confrontò il suo campione con quello di acqua in bottiglia e scoprì che il livello di sporcizia nell’acqua era del 238% sopra la media e che nell’acqua c’erano talmente tante sostanze nocive che tutti gli animali che sarebbero passati in quella zona sarebbero morti dopo poche ore.

Contemporaneamente Marc provò a far uscire la nave da quell’isola di immondizia e dopo vari tentativi, purtroppo,  il motore si impigliò nella plastica.

Quando andarono a comunicare le differenti notizie all’equipaggio, tutti erano increduli, tuttavia mentre Marianne chiese di mandare in avanscoperta il sottomarino per andare a monitorare le condizioni del fondale, Patrick provò a mandare un segnale di SOS alla guardia costiera. Quanto a Sandrine andò ad aiutare Marc a riparare il motore.

Dopo una giornata molto faticosa per tutti si decise di andare a dormire. La mattina seguente ognuno tornò a svolgere il proprio compito, così Francois e Marianne iniziarono a studiare l’ecosistema che si era formato in quella zona scoprendo che sul fondale non c’era nessuna forma di vita pluricellulare.

Patrick riuscì a far funzionare il radar e vide che la parte di oceano ricoperta da rifiuti dove navigavano era vasta la bellezza di 131 Km2.

Marc e Sandrine riuscirono a riparare il motore e idearono una specie di parafango per rifiuti in maniera che i rifiuti non si incagliassero nel motore.

A pranzo ognuno parlò di ciò che era riuscito a fare e dopo aver stabilito, come priorità, il far ripartire la nave, tutti si dedicarono al progetto ideato da Marc e Sandrine. Dopo ore e ore di lavoro riuscirono a ripartire e impostarono la rotta verso la loro base operativa a Marsiglia.

Dopo essere usciti dall’isola di plastica scoprirono che tutti i rifiuti arrivavano lì perché una nave, clandestinamente, li scaricava, sicché appena la videro, la iniziarono a fotografare. In questo modo, infatti,   non appena fossero rientrati a Marsiglia avrebbero potuto far comunicare tutte le loro scoperte dalla testata giornalistica più importante di Francia.

Quando la notizia fece il giro del mondo, molte associazioni si si dedicarono a recuperare e smaltire tutti i rifiuti da quella zona. Da quel momento tutti iniziarono a considerare la Blue Sea come un’associazione di eroi e le misure per far diminuire l’inquinamento furono sempre di più.

 

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L’ISOLA DI RIFIUTI

 

Una delle cose che mi sarebbe mancata di più di quella vacanza erano le mega colazioni della fantastica nave su cui viaggiavamo. Ogni mattina scendevo di corsa nel salone per vedere tutte le prelibatezze preparate dallo chef: crostate di ogni tipo, pancake ,muffin, cornetti e brioche ,per non parlare del bacon e del

pane tostato tanto amati dai turisti americani della cabina che era accanto alla mia. Eravamo alla fine della bellissima crociera e stavo assaporando ogni attimo che mi separava da casa.

Io e la mamma ci eravamo regalate una fantastica crociera sul Mediterraneo che non avrei mai scordato; un ultimo giro della nave e poi di corsa andai in cabina a preparare i bagagli.

Ad un tratto la voce del capitano che riecheggiò dagli altoparlanti e ci annunciò che la nave stava per costeggiare una enorme quanto spaventosa isola di plastica! Corsi sul ponte principale e rimasi sbalordita…una distesa infinita di plastica galleggiante, com’era arrivata fin lì?

Tra la folla radunata sul pontile scorsi quel simpatico istruttore di nuoto con cui avevo trascorso tanti bei pomeriggi in piscina e decisi di chiedergli qualche informazione. Venni così a sapere che la famosa isola di plastica del Pacifico, grande come un continente, esiste anche nel Mediterraneo: certo, è molto più

piccola ma danneggia comunque la vita di tutto l’ecosistema marino che scambia i rifiuti per cibo. E di chi è la colpa di tutto questo? Dell’uomo! Non pensavo fossimo così crudeli da fare una cosa del genere!

Avrei voluto continuare a parlare con l’istruttore e a guardare quell’incubo ma…proprio non potevo! Il tempo era poco e se non fossi tornata immediatamente in cabina a preparare la valigia la mamma sarebbe andata su tutte la furie.

Arrivai in cabina, ancora arrabbiata e triste per quello che avevo visto. Iniziai così a lanciare i vestiti in valigia. La mamma mi disse di fare attenzione ma io non la ascoltai e una volta finito di preparare le mie cose con la valigia quasi aperta corsi di nuovo sul ponte per osservare l’isola. Purtroppo però non feci in tempo, la nave l’aveva già superata, e mi sedetti ormai da sola sul pontile a guardare il porto di Nizza ormai vicino. La mamma mi raggiunse e dopo poco tempo eravamo di nuovo al punto di partenza.

Nizza, cara Nizza, quanto mi era mancata la mia città, la mia casa ma soprattutto la mia cagnolina Atena, che tanto piccolina non è. Ha due occhioni verdi e dolci e il manto beige.

Corsi verso la nostra macchina che avevamo lasciato davanti al porto e non appena la mamma aprì il bagagliaio buttai tutte le valigie al suo interno e salii nell’automobile.

Dopo poco arrivammo a casa nostra, che non dista tanto dal mare e scaricammo le valigie. Sulla porta ad attenderci c’erano Atena e la nonna Miranda che al momento della partenza, circa due settimane prima, si era offerta di venire a casa nostra per occuparsi del cane.

Abbracciai la nonna e la mia affettuosa amica a quattro zampe, i miei pensieri però erano ancora rivolti agli animali marini che si imbattevano e si sarebbero imbattuti nell’Isola di plastica.

Mi diressi così verso la mia cameretta per cercare qualcosa su questo problema.

Scoprii solo dopo qualche ricerca che la causa maggiore della diffusione di rifiuti in acqua sono gli oggetti abbandonati sulla spiaggia dai turisti.

Pensai allora a tutte le volte che avevo visto bambini, ragazzi ma anche adulti gettare i loro rifiuti a terra e non avevo fatto niente .Ad un tratto però, idea!Afferrai il telefono e digitai il numero di Chloe, la mia migliore amica, nonchè la figlia del sindaco di Nizza!

Ovviamente, prima mi chiese di raccontarle tutta la vacanza e quando arrivai alla mia richiesta, lei rimase sbalordita e, dopo qualche minuto di silenzio, mi disse che la mattina seguente suo padre sarebbe stato libero e avrebbe potuto ricevermi al Palazzo Comunale.

Il mattino seguente mi svegliai molto presto, saltai giù dal letto e mi precipitai al piano inferiore. Seduti sul divano trovai i miei genitori, il mio cagnolino e la mia cara nonna. Li salutai e poco dopo mi recai al Palazzo Comunale.

La sera prima avevo scritto un discorso, per facilitare l’esposizione di ciò che volevo realmente comunicare: salvare una volta per tutte l’ambiente. 

Appena entrai nell’enorme edificio, vidi una signora, alta e snella, pensai subito fosse la segretaria del sindaco e un pò titubante le dissi che avevo un appuntamento con lui. Per mia fortuna, la stessa si girò e, guardandomi in modo rassicurante, mi disse di seguirla.

Provavo, lo devo ammettere,  molta ansia. E se non fossi riuscita a far capire il mio messaggio? Se il sindaco non avesse voluto aiutarmi nella mia impresa?

Avevo mille pensieri, riuscivo a sentire il mio cuore in gola, ma ad un tratto la dolce signora si fermò e mi invitò a entrare in una stanza enorme. Senza alcun indugio, feci quello che mi era stato detto e una volta dentro, la porta alle mie spalle si chiuse.

Non c’era nessuno. Probabilmente, il sindaco, si era assentato per qualche minuto, attesi e finalmente dopo poco, una figura bassa e paffutella entrò e mi salutò e io feci lo stesso, alzandomi dalla sedia nera su cui ero comodamente seduta.. Naturalmente lo stato d’agitazione in cui mi trovavo era sempre lo stesso e credo, anche palese,  ma avrei fatto di tutto per far ascoltare il mio messaggio.

Presi un bel respiro e iniziai a raccontare ciò che avevo visto in crociera, ovvero l’enorme isola di rifiuti. Il sindaco era molto attento a ciò che dicevo e analizzava ogni mia singola parola; appena finii di parlare, mi disse che aveva compreso il concetto e mi avrebbe fatto sapere attraverso una lettera o un’e-mail, cosa avrebbe fatto e che posizione avrebbe preso. Purtroppo, però, mi disse anche che non aveva idea di come affrontare un ostacolo così grande, perché il fenomeno dell’inquinamento si era manifestato in tutto il mondo. Risposi che non doveva preoccuparsi di questo e salutandolo gentilmente, accompagnata dalla segretaria uscii dall’enorme Palazzo Comunale.

Appena tornai a casa, riferiii ai miei familiari e al mio cagnolino ciò che avevo raccontato al sindaco e spiegai anche il problema dell’inquinamento mondiale; mio padre e mia madre cercarono di darmi qualche idea, ma nessuna di queste sembrava soddisfare il problema che incombeva da secoli nelle nostre città.

Ad un tratto mia nonna mi guardò e mi disse che avrei potuto creare un gruppo per abbattere questi problemi e questa mi sembrava una ottima idea. Subito pensai a come crearlo e lei, come se mi avesse letto nella mente, mi disse che avrei potuto farlo attraverso dei volantini, con l’aiuto della mia amica Chloe. 

Mi alzai velocemente dalla sedia e, salutando tutti con un abbraccio, mi diressi al parco.

Chiamai Chloe che rispose quasi subito, le dissi di incontrarci al parco dove da piccole andavamo a giocare e, dopo poco tempo,  la vidi correre nella mia direzione. Ci abbracciammo, le raccontai l’incontro con il padre e della soluzione che mia nonna aveva trovato.

Chloe mi guardò e dal suo zainetto azzurro tirò fuori carta e penna,così iniziammo ad abbozzare qualche schizzo per far conoscere il messaggio, soprattutto attraverso uno slogan: “Salva la tua vita, salvando l’ambiente. Ci recammo subito dopo a casa mia e iniziammo a stampare i volantini. 

Una volta terminato di stamparli, andammo per le vie della città ad affiggere i nostri volantini; molte persone li lessero, ma alcune neanche ci facevano caso e questa cosa mi metteva rabbia e tristezza allo stesso tempo: come si poteva essere così crudeli e disinteressati nei confronti dell’ambiente? 

Esso ci donava la vita e noi lo continuavamo a distruggerlo con tutti i mezzi a disposizione; Chloe ed io eravamo soddisfatte del nostro lavoro perchè nei giorni seguenti riuscimmo a creare un gruppo, costituito da amici, parenti, compagni di scuola, cittadini di Nizza e addirittura insegnanti, eravamo stupite dalla forza di volontà di queste persone.

Nei giorni successivi, ripulimmo Nizza, soprattutto le spiagge e gli ambienti naturali, come boschi e parchi, eravamo felicissime, finché un giorno Chloe suonò al campanello di casa mia e mi portò una lettera. Pensai che probabilmente fosse da parte del padre, il sindaco, eravamo ansiose dalla risposta che avrebbe dato, sicché aprimmo la lettera insieme e rimanemmo stupite dal prodotto dei nostri sforzi! Eravamo felici e soddisfatte allo stesso tempo, era un’emozione meravigliosa.

Nella lettera il sindaco ci informava del fatto che i lavori svolti insieme al gruppo da noi creato, aveva prodotto molti risultati positivi, così egli decise di fondare un’associazione per aiutare il nostro pianeta.

 

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