IL CASO DI BIANCANEVE

by azzurra mauri

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IL CASO DI BIANCANEVE

  • Joined Jan 2023
  • Published Books 3

Guardai rassegnata l’orologio e mi resi conto che era tardi, perciò mi alzai controvoglia e andai in cucina a bere la mia solita cioccolata, mentre rimuginavo sulla nottataccia passata a pensare all’orrendo tema del giorno prima. Dopo andai in bagno, così da poter iniziare a prepararmi, ma guardandomi allo specchio notai le due splendide occhiaie che la notte insonne mi aveva regalato. Decisi di non coprirle con il trucco, così da non perdere tempo. Poi presi il mio zaino e andai in fermata. Dopo venti minuti di bus raggiunsi la mia fermata e mi affrettai a scendere, ma uscendo mi accorsi di aver calpestato una rosa bianca. Non era la sola lì; infatti c’era un vero e proprio sentiero che conduceva davanti all’entrata posteriore della scuola. Guardai in alto, notando che tutta la scala era ricoperta di fiori.

Decisi di seguire il percorso; e dopo quattro rampe vidi

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un’enorme distesa di rose in mezzo al corridoio. Mi avvicinai e, con grande sgomento, notai che la ragazza giaceva in mezzo alla distesa di fiori.

Si chiamava Tamara Coccioli ed era una mia compagna di classe. Aveva il rossetto rosso e un fondotinta troppo chiaro per la sua carnagione. Tamara era a braccia conserte e in una mano stringeva una mela rossa morsicata. Accanto a lei era stato sistemato un biglietto scritto a computer in rossi, il quale recitava “il principe non verrà mai a svegliarmi dal mio sonno”.

Mi paralizzai con lo sguardo che passava dalla mela al biglietto e, piangendo, gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. Tamara era morta.

Improvvisamente sentii una voce che mi diceva: “portate la ragazza nell’aula 207, così appena si riprenderà la potrò

 

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interrogare”.

Interrogarmi? Il quadrimestre era appena finito, i professori non avrebbero dovuto iniziare a spiegare i nuovi argomenti? Iniziai a piangere chiedendomi cosa avessi sbagliato, ma l’uomo in divisa mi tranquillizzò dicendomi che doveva interrogarmi per un altro motivo. Così venni scortata nell’aula 207 per l’interrogatorio. Mi ritrovai in una stanza buia completamente da sola, finché il commissario non tornò per iniziare: mi chiese se conoscessi la ragazza. “Si chiama Tamara Coccioli”, poi se avessi toccato qualcosa. “Non ho toccato nulla”; se avessi visto qualcuno “Non ho visto nessuno”. Infine perché fossi entrata prima dell’orario. “Sono entrata prima perché stavo gelando”:

Mentre lasciavo l’aula 207 realizzai che sul corpo di Tamara non c’erano segni di violenza, quindi dedussi che la causa di morta era la mela, questa storia mi ricordava Biancaneve.

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Tornai nella 207 e vidi un telefono sulla scrivania che stava registrando, d’impulso cliccai il bottone rosso e nella stanza venne riprodotta la conversazione che prima avevo avuto con il commissario.

Non avevo raccontato niente a nessuno ma il giorno dopo la storia di Biancaneve era stata messa sul giornale;  a scuola era sulla bocca di tutti. Mi guardavano come se fossi l’assassina, però avevano paura di me.

Nei giorni successivi all’accaduto dedicai le ore di studio a fare ricerche, e ad allestire la bacheca con le foto e il filo rosso che le collegava, come nei film polizieschi. Decisi inoltre di non andare più a scuola così tanto presto. Mi sentivo quasi sollevata quando arrivavo in ritardo. Ma non oggi. Ero stata così presa per il caso che andai a letto alle due di notte.

Mi svegliai tardi. Arrivai alle nove e un quarto, subito dopo il

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prof Scaccabarozzi mi portò nella 207, dove incontrai il poliziotto “allora Azzurra, hai novità?” feci segno di sì con la testa e porsi il mio telefono con la foto della mia bacheca: “mi sono concentrata sul giorno prima dell’avvenimento, ovvero il 17 Dicembre, abbiamo fatto due ore di tema, ma nel mezzo delle due ore sono successe due cose strane; la prima è che un compagno scriveva più veloce del solito, la seconda è che ci fu un sassolino che andò contro la finestra e questa cosa mi ha fatto molto riflettere, così ho pensato di andare nella 203; ovvero la classe in cui eravamo quel giorno e ispezionai il perimetro.

Ho trovato il sassolino e la finestra aperta, da questo ho dedotto che il sassolino è stato lanciato dall’interno, non dall’esterno, perché lanciare un sasso contro la finestra? Per distrarre ovvio. Mi sono anche accorta che Tamara alla prima

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ora scriveva, ma alla seconda dormiva. Quindi ho pensato: la persona che scriveva veloce stava scrivendo anche per lei. Spiegazione: il ragazzo che scriveva veloce stava facendo il tema anche per Tamar, quindi il sassolino è stato lanciato per passare il tema, infatti se lo guardiamo sarà visibilmente scritto in fretta, ma non lungo…” poi feci vedere una foto di Filippo Midili e continuai “può convocare il signor Filippo Midili?”.

Dopo che fu arrivato gli chiesi dov’era la sua penna blu “l’ho persa”; mi parve strano che non fosse minimamente preoccupato della sua penna, così dissi “l’ho trovata sai?” il suo viso divenne visibilmente angosciato “e dove? me la puoi ridare?” gliela misi davanti senza la mina “e la mina?” presi anche quella “sai caro Filippo, non si lanciano le penne dalla finestra del secondo piano, potrebbe rompersi” presi il

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telefono e feci vedere la foto che avevo fatto alla penna quando era rotta “sembrava blu, ma era nera?” a no aspetta, quello era veleno!” sbattei i pugni contro il tavolo “stai freneticando!” disse, tutto sudato “hai scritto il tema per Tamara con questa penna e le hai detto che glielo avresti passato solo se dopo avesse fatto sparire le prove, e quale miglior modo se non farglielo mangiare?”

“Non mi dica che devo ancora rispondere” disse rivolto al commissario “devi” fece lui “sei stato bravo Filippo, peccato per la penna” sgranò gli occhi “e quale sarebbe il motivo per cui l’avrei uccisa? sentiamo” presi il mio telefono e cercai una foto, era lui che sorrideva “immagino sia per questo no?” non capiva, così gli spiegai meglio “senza Tamara potevamo essere i migliori della scuola.. senza i suoi trenta e quaranta potevamo vincere”

 

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mise le mani sul tavolo “si”

“Quello delle classi modello?” lui fece cenno di si “non c’entrava niente con noi.. eravamo una così bella classe”. Il poliziotto lo portò via ed io e il commissario percorremmo insieme il corridoio, sentendo solo il rimbombo delle nostre scarpe “beh signorina.. sarei contento di avere una figlia come te.. sarebbe.. no, non ne sono proprio sicuro” sorrisi “è più o meno quello che pensa il mio papà”.

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