Il Caso by Beni Culturali - Illustrated by Anna Maria Gaetano - Ourboox.com
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Il Caso

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Artwork: Anna Maria Gaetano

  • Joined Nov 2016
  • Published Books 34
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
     Le cortesie, l’audaci imprese io canto,
     Che furo al tempo che passaro i Mori
     D’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
     Seguendo l’ire e i giovenil furori
     D’Agramante lor re, che si diè vanto
     Di vendicar la morte di Troiano
     Sopra re Carlo imperator romano.
     
 [2]
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
     Cosa non detta in prosa mai, né in rima:
     Che per amor venne in furore e matto,
     D’uom che sì saggio era stimato prima;
     Se da colei che tal quasi m’ha fatto,
     Che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
     Me ne sarà però tanto concesso,
     Che mi basti a finir quanto ho promesso.
     
 [3]
Piacciavi, generosa Erculea prole,
     Ornamento e splendor del secol nostro,
     Ippolito, aggradir questo che vuole
     E darvi sol può l’umil servo vostro.
     Quel ch’io vi debbo, posso di parole
     Pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
     Né che poco io vi dia da imputar sono,
     Che quanto io posso dar, tutto vi dono.
     
 [4]
Voi sentirete fra i più degni eroi,
     Che nominar con laude m’apparecchio,
     Ricordar quel Ruggier, che fu di voi
     E de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
     L’alto valore e’ chiari gesti suoi
     Vi farò udir, se voi mi date orecchio,
     E vostri alti pensier cedino un poco,
     Sì che tra lor miei versi abbiano loco.
     
 [5]
Orlando, che gran tempo innamorato
     Fu de la bella Angelica, e per lei
     In India, in Media, in Tartaria lasciato
     Avea infiniti ed immortal trofei,
     In Ponente con essa era tornato,
     Dove sotto i gran monti Pirenei
     Con la gente di Francia e de Lamagna
     Re Carlo era attendato alla campagna,
     
 [6]
Per far al re Marsilio e al re Agramante
     Battersi ancor del folle ardir la guancia,
     D’aver condotto, l’un, d’Africa quante
     Genti erano atte a portar spada e lancia;
     L’altro, d’aver spinta la Spagna inante
     A destruzion del bel regno di Francia.
     E così Orlando arrivò quivi a punto:
     Ma tosto si pentì d’esservi giunto:
7]
Che vi fu tolta la sua donna poi:
     Ecco il giudicio uman come spesso erra!
     Quella che dagli esperi ai liti eoi
     Avea difesa con sì lunga guerra,
     Or tolta gli è fra tanti amici suoi,
     Senza spada adoprar, ne la sua terra.
     Il savio imperator, ch’estinguer volse
     Un grave incendio, fu che gli la tolse.
     
 [8]
Nata pochi dì inanzi era una gara
     Tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
     Che entrambi avean per la bellezza rara
     D’amoroso disio l’animo caldo.
     Carlo, che non avea tal lite cara,
     Che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
     Questa donzella, che la causa n’era,
     Tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
     
 [9]
In premio promettendola a quel d’essi,
     Ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
     Degl’infideli più copia uccidessi,
     E di sua man prestasse opra più grata.
     Contrari ai voti poi furo i successi;
     Ch’in fuga andò la gente battezzata,
     E con molti altri fu ’l duca prigione,
     E restò abbandonato il padiglione.
10]
Dove, poi che rimase la donzella
     Ch’esser dovea del vincitor mercede,
     Inanzi al caso era salita in sella,
     E quando bisognò le spalle diede,
     Presaga che quel giorno esser rubella
     Dovea Fortuna alla cristiana fede:
     Entrò in un bosco, e ne la stretta via
     Rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.

2
I versi vengono dal primo capitolo dal capolavolo de «L’Orlando Furioso» di Ludovico Ariosto, pubblicato nel 1532.
Il poeta racconta gli argomenti della sua opera (le donne, i cavalieri, l’arme e gli amori) e poi inizia la narrazione con una fanciulla, l’oggetto del desiderio di molti, che in sella ad un cavallo va verso al bosco, dove si trova in preda del «caso». Infatti ogni personaggio che entrerà in quel bosco sarà in preda a questa magica forma che è il Caso. Si scontreranno, si perderanno e si rincontreranno; senza una necessità nel farlo, ma tutto secondo casualità; nella faticosa speranza di incontrare Angelica. Il soggetto che muove tutto ed da inizio a 46 canti di avventura.

In principio c’è solo una donna che fugge per un bosco in sella al suo palafreno. Sapere chi sia importa sino a un certo punto: è la protagonista d’un poema rimasto incompiuto, che sta correndo per entrare in un poema appena cominciato. Quelli di noi che ne sanno di più possono spiegare che si tratta d’Angelica principessa del Catai, venuta con tutti i suoi incantesimi in mezzo ai paladini di Carlo Magno re di Francia, per farli innamorare e ingelosire e così distoglierli dalla guerra contro i Mori d’Africa e di Spagna. Ma piuttosto che ricordare tutti gli antecedenti, conviene addentrarsi in questo bosco, dove la guerra che infuria per le terre di Francia non si fa udire se non per sparsi suoni di zoccoli o d’armi di cavalieri isolati che appaiono e scompaiono.
Intorno ad Angelica in fuga è un vortice di guerrieri che, accecati dal desiderio, dimenticano i sacri doveri cavallereschi, e per troppa precipitazione continuano a girare a vuoto. La prima impressione è che questi cavalieri non sappiano bene cosa vogliano: un po’ inseguono, un po’ duellano, un po’ giravoltano, e sono sempre al punto di cambiare idea.
(Calvino, L’Orlando furioso) 

3

Il caso: Filosofia

(Dal latino «Casus» caduta, ci cade di fronte)
In Filosofia ci sono due interpretazioni di caso:
una che è quella che abbiamo già cominciato a trattare nell’Orlando Furioso; è l’assenza di cause definite. Come gli scontri dei personaggi nella vicenda trattata. Nessuna causa specifica per gli eventi che avvengono.
La seconda è porre ad ogni evento una causa che però non riusciamo a determinare. Ma la causa esiste. Ignoranza dell’uomo.
Le antiche filosofie (deterministiche) rifiutavano la prima interpretazione; infatti queste si chiamano anche filosofie della necessità. Ogni evento succedeva per necessità, e se non si riusciva a dare una spiegazione significava un’ignoranza delle cause.
Altre filosofie, invece, sostenevano come l’evoluzione cosmica era un’alternanza di caso che rinnova e necessità che conserva.
In questo percorso sosterremmo la prima interpretazione, l’assenza di cause per un determinato fenomeno.
Questa teoria del caso si allontana dai significati di altre parole come Destino, Fato, Provvidenza; che per molti, anche a seconda delle credenze; equivalgono tutte al medesimo concetto.
4

Il caso: Scienza

Con l’illuminismo e l’affermazione della scienza moderna muta sia la visione della realtà e sia quella del caso. Il caso non è più il mistero divino ma soltanto l’ignoranza dell’uomo sulle leggi che regolano l’universo quindi affermando la seconda interpretazione del caso. Nella visione scientifica si afferma il determinismo, ogni trasformazione può essere interpretata con assoluta certezza tramite leggi semplici e universali, spetta comunque all’uomo il compito di indagare e scoprire le leggi e i nessi tra gli eventi. Anche nei primi anni del Novecento lo stesso Einstein si pronuncia sull’argomento con la famosa frase “Dio non gioca a dadi”. Il caso diventa così il sinonimo dell’ignoranza.
Nel corso del Novecento la visione scientifica del caso viene però rivalutata. Le nuove scoperte scientifiche delineano un mondo sorretto da leggi complesse. La stessa realtà si presenta a strati e non sempre è interpretabile tramite leggi semplici e universali. In questo nuovo contesto la complessità non è più soltanto il riflesso dell’ignoranza ma anche l’essenza stessa dei fenomeni. Negli anni ’30 inizia ad affermarsi la scienza della complessità e, pochi decenni dopo, la teoria del caos deterministico. La conoscenza delle leggi non implica più necessariamente la prevedibilità del fenomeno. Il caso non è più soltanto l’ignoranza dell’uomo ma, molte volte, anche una parte intrinseca della natura stessa della realtà. Ad esempio, non si può prevedere con estrema certezza il cammino di un asteroide o prevedere a lungo termine le condizioni meteorologiche di un luogo. Parafrasando le parole di Einstein, nel corso del Novecento l’uomo si accorge che “Dio gioca a dadi”. Il caso e la casualità entrano così a far parte del linguaggio scientifico e della stessa scienza.
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Il caso: Arte

( DA DA DA, le prime sillabe di un bambino)
Il dadaismo è un movimento culturale artistico e letterario che parte dalla Svizzera nel corso della prima guerra mondiale.
In questo ambiente crescono artisticamente personalità come Hans Arp, Tristan Tzara, Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Hans Richter e il loro esordio ufficiale viene fissato al 5 febbraio 1916, giorno in cui fu inaugurato il Cabaret Voltaire.
Chi conosce già questo movimento può confermare come può sembrare inutile cercare di spiegare questo movimento. Siccome, confermando l’argomento di base, la base di tutto è il “Caso”. Fare arte disfacendo arte. Fare arte senza un vero significato. Non avendo nulla a cui a affidarsi e rifiutando persino la razionalità umana, i dadaisti si affidano alla casualità. A questo mito dell’inconscio umano. Hans Arp afferma: «La legge del caso, che racchiude in sé tutte le leggi e resta a noi incomprensibile come la causa prima onde origina la vita, può essere conosciuta soltanto in un completo abbandono all’inconscio. Io affermo che chi segue questa legge creerà la vita vera e propria». Possiamo dedurre che per i dadaisti la vita è determinata dall’azione del caso.
L’unica legge che si pongono è rifiutare ogni atteggiamento razionalistico. Il rifiuto della razionalità è ovviamente provocatorio e viene usato come una clava per abbattere le convenzioni borghesi intorno all’arte. Pur di rinnegare la razionalità i dadaisti non rifiutano alcun atteggiamento dissacratorio, e tutti i mezzi sono idonei per giungere al loro fine ultimo: distruggere l’arte.
Ma la vita del movimento è abbastanza breve. Del resto non poteva essere diversamente. La funzione principale del dadaismo era quello di distruggere una concezione oramai vecchia e desueta dell’arte. E questa è una funzione che svolge in maniera egregia, ma per poter divenire propositiva necessitava di una trasformazione, e ciò avvenne tra il 1922 e il 1924, quando il dadaismo scomparve e nacque il surrealismo.
6

Il Caso, Dadaismo, Storia

A Zurigo nacque il dadaismo, un movimento artistico e letterario il cui scopo era lottare contro quei valori culturali che, secondo i dadaisti, avevano condotto alla Prima guerra mondiale.
I dadaisti pubblicarono libri e realizzarono quadri e sculture. Fu però attraverso attività ed eventi che il dadaismo espresse il suo vero spirito: spettacoli di cabaret, manifestazioni, dichiarazioni, prove di forza, distribuzione di volantini, piccole riviste, giornali e altre attività che oggi sarebbero definite un “teatro di guerriglia”.
Nello stesso periodo nascono anche i futuristi, questi hanno caratteristiche in comune, ma riguardo alla storia e alle influenze sono separati. Infatti i futuristi sono favorevoli alla guerra, diversamente come già detto ai dadaisti. Quindi si può intuire che i futuristi siano un movimento di destra e i dadaisti di sinistra.
« Per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi, da una parte, lo stato d’animo di un gruppo di giovani in quella prigione che era la Svizzera all’epoca della prima guerra mondiale e, dall’altra, il livello intellettuale dell’arte e della letteratura a quel tempo. Certo la guerra doveva aver fine e dopo noi ne avremmo viste delle altre. Tutto ciò è caduto in quel semioblio che l’abitudine chiama storia. Ma verso il 1916-1917, la guerra sembrava che non dovesse più finire. In più, da lontano, sia per me che per i miei amici, essa prendeva delle proporzioni falsate da una prospettiva troppo larga. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra se non estirpandone le radici. L’impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l’assurdo superavano di gran lunga i valori estetici. Non bisogna dimenticare che in letteratura un invadente sentimentalismo mascherava l’umano e che il cattivo gusto con pretese di elevatezza si accampava in tutti i settori dell’arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa aveva di più odioso… » (Tristan Tzara)
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Man Ray

“Non si può far meglio degli antichi maestri, si può solo essere diversi. Non so che cosa sia originale o moderno. Non sono in anticipo rispetto al mio tempo: vivo solo nel mio tempo e cerco di essere me stesso.”

(Man Ray, Le violon d’Ingres, 1924 pagina seguente)

 

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Schizzi e bozzetto: Fra l’ideale e il reale

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Schizzi e Bozzetto: Trasparenza

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Fra L’ideale e il reale

In quest’opera intitolata «fra l’ideale ed il reale», la casualità può sembrare in secondo piano, essendo nelle spatolate del fondo; ma in realtà ha un compito ben preciso e determinante.
Infatti l’opera presenta due figure di spalle, una è la schiena della famosissima statua classica del Laoconte l’altra invece è una semplice schiena di un uomo reale. La prima figura, trionfale nei suoi, anche se posteriori, tratti è realizzata in bianco e nero, mettendo in luce la muscolosità del personaggio; quindi rappresenta l’idealizzazione, l’ideale, il perfetto da sempre ricercato, quindi raffigura tutte le regole dell’arte da sempre imposte. L’altra figura, leggermente più grande della prima, rappresenta la realtà, l’uomo vero, il pensiero così com’è, l’arte senza vincoli e limiti. I colori usati, sono il giallo, il blu e il rosso primari, quest’ultimi sottolineano la completezza dell’uomo vero, senza regole; infatti come dai primari si possono ottenere tutti i colori, dall’uomo reale può venir fuori tutta l’arte anche quella più libera.
Ora, lo sfondo, che come già dicevo può essere messo in ombra delle due figure, ha un ruolo dominante. Infatti è lui a far emergere le massicce schiene dei due personaggi, lui determina cosa far emergere e cosa no, utilizzando una casuale spatolatura.
Le dimensioni dell’opera sono 60×24 cm, è realizzata ad acrilico su tavola ed è pensata per essere posta appesa ad un muro, isolata da altre oggettistiche.

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Relazione Finale

Il percorso che ho presentato si concentra sul significato di Caso» in vari ambiti del pensiero, tutto questo lo ho racchiuso in una ricerca divisa a seconda dei diversi ambienti. Infine passando per l’arte del caso per eccellenza, il dadaismo, sono arrivata all’idea della mia opera. Quest’ultima si è ispirata alle spalle ritoccate dalle mani di Man Ray della «Violon D’Ingres», per le figure di schiena, pensando che questa parte possa racchiudere molte particolarità, non trovate in altre.
Ho affrontato uno studio di ricerca attraverso schizzi e bozzetti di varie idee ed infine ho concluso con l’opera «Fra l’ideale ed il reale».

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Bibliografia e sitografia

Wikipedia.it
francescomorante.it corso di storia dell’arte
swissinfo.it
Barbarainworldart.it

Orlando Furioso, Calvino
Orlando Furioso, Ariosto

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