IL GIORNO PERDUTO

by thomas casiraghi

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IL GIORNO PERDUTO

  • Joined Nov 2020
  • Published Books 5

Ed ecco il suono della sveglia questo snervante suono acuto e ripetitivo che si aggiunge alla voce di mia madre che urla:

  • Tommy è ora di andare, vestiti.

Io li con uno sguardo vitreo che mi alzo con fatica, per dirigermi verso l’armadio privandomi del calore delle coperte per incamminarmi sulle piastrelle fredde del pavimento.

Messi i miei vestiti che mi forniranno il calore per combattere il freddo invernale, mi dirigo al piano terra per preparare la cartella con i quaderni e libri noiosi e pesanti.

2

Mentre chiudo la cartella alzo lo sguardo e vedo mio padre con gli occhiali sulla testa, sempre con il rischio che cadano. Proprio mentre indossa il suo nero e pesante cappotto sfiora gli occhiali con la manica facendoli cadere, poi un brutto rimbombo come quando cade un bicchiere dal tavolo e si rompe seguito dalla voce di mio padre che dice:

  • Cavolo, ci sono pezzi di vetro dappertutto, Tommy dì a mamma di pulire che io intanto vado a prendere la macchina

E io replico:

  • Okay, ma ora come fai?

Mio padre:

  • Per fortuna ne ho un altro paio in macchina, e sbrigati a prepararti che siamo già in ritardo

Prendo il telefono, guardo l’ora e spalanco gli occhi. Tutto agitato indosso la giacca, infilo lo zaino e corro verso la macchina che mi aspetta davanti al cancello di casa, metto lo zaino nel bagagliaio e una volta salito guardo dal finestrino il paesaggio innevato di gennaio.

3

E’ il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale e sono felice di rivedere i miei compagni ma non so, ho una sensazione strana. E’ come se il mio sesto senso dicesse che sia successo un qualcosa. Questo mi turba e mi fa passare la voglia di andarci, però è il primo giorno e sono costretto. Mi dico di fare uno sforzo.

Sono arrivato, sono nel parcheggio dell’ Iperal e dal finestrino vedo i miei compagni raggruppati in capannelli come al solito. Saluto tutti ma ecco di nuovo l’inquietudine mi assale, l’ ansia e la paura salgono minuto per minuto e non so cosa fare se non scappare via da tutti. Inizio a correre come un ossesso finché all’improvviso mi tranquillizzo. Mi guardo intorno e noto che sono in classe insieme a tutti. E’ la terza ora dall’inizio della giornata scolastica, possibile mi sia perso tre ore? Possibile che sia stata tutta un’allucinazione?

4

Sono finite le lezioni e vado in bagno per sciacquarmi la faccia. Uscito dal bagno, lungo il corridoio scivolo battendo la testa e da quel momento mi ricordo tutto……

Era appena finito l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale e siccome quel giorno avevamo laboratorio, ci dirigevamo verso lo spogliatoio per toglierci le divise sudaticce a causa dei forni accesi da ore e del costante movimento.

Nello spogliatoio maschile ci accorgemmo che mancava Edoardo, un nostro compagno di classe: stavamo parlando poco prima di quello che avremmo fatto durante le vacanze, quando disse che sarebbe dovuto tornare in laboratorio per recuperare il suo quaderno, ma era passato troppo tempo ed io e i ragazzi iniziavamo ad essere un po’ preoccupati della sua assenza.

5

Insieme a Iruka e Kevin andammo nell’aula 205 per vedere cosa fosse successo, lo avevamo cercato dappertutto ma non lo avevamo trovato, quando udimmo un rumore sospetto provenire dal laboratorio.

Iruka coraggiosamente si fiondò nell’aula ma dopo un attimo cacciò un urlo e lo vedemmo cercare di fuggire, pallido in viso… vabbè più chiaro del solito e con gli occhi sgranati. Aveva appena passato la porta quando un lungo braccio peloso lo ghermì alla gola e cominciò a tirarlo verso l’interno. Rimanemmo inebetiti per un attimo ma poi ci lanciammo in soccorso del nostro amico che stringeva gli stipiti della porta ed emetteva dei grugniti soffocati.

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Lanciammo un’occhiata all’interno  e ci si presentò una scena raccapricciante: il professor Binda con un ghigno satanico, a cavallo di un enorme panettone stringeva al collo Iruka e cercava di portarlo nel laboratorio…. Ma il panettone era vivo, si muoveva come un enorme budino e aveva una bocca enorme, con denti di canditi e uvette, e cercava di mangiarsi il nostro malcapitato compagno. Kevin urlò “aiutiamolo!” mentre io pensavo che in fondo in fondo avrebbe anche potuto mangiarselo.

Afferrammo Iruka per le braccia e cominciammo a tirarlo verso di noi, mentre il poveraccio diventava cianotico (vabbé… cianotico per modo di dire) per la mancanza d’aria.

Riuscimmo a strapparlo dalla presa del professore che emise un grido gutturale… strudeeeelll… mentre il panettone si contorceva rovesciando un cabaret di bignè e croissant che si sparsero per tutto il pavimento.

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In quel momento apparve la preside: era tutta vestita di nero, con occhiali neri e scarpe nere e nonostante la situazione concitata pareva la calma fatta persona. Con un sorrisetto beffardo andò incontro al panettone e gli disse: “io sono Teacher in Black e di panettoni mostruosi e disgustosi come te ne ho visti a migliaia qui dentro”. Estrasse un sifone per la panna montata dalla tasca interna della giacca e ne spruzzò il contenuto nella bocca dell’orribile dolce, che si smontò all’istante. Poi guardò il professore che rantolava sul pavimento e disse: “avvelenamento da lievito madre, non è la prima volta che capita. Starà meglio tra un paio d’ore”.

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Noi eravamo tutti attoniti: nel frattempo erano arrivati tutti i compagni e osservavamo la preside con gli occhi sgranati. Le ci guardò con aria di sufficienza e disse che quello era niente. Aveva appena debellato una rivolta di rossetti e lacche per le unghie extraterrestri in una seconda di estetica, che avevano conciato l’aula in una maniera vergognosa.

Non avremmo potuto ricordare quello che era successo, altrimenti i nostri genitori ci avrebbero trasferiti in massa all’ENAIP. Cavò da un’altra tasca un cilindro di metallo che emise una luce blu intensa e cademmo tutti addormentati. Al nostro risveglio nessuno si ricordava nulla.

Solo Eleonora dichiarò di avere un forte mal di testa… e che le sembrava di aver visto un maccaron nascondersi dietro al forno… ma conoscendola nessuno la prese sul serio.

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